SALVINI E MELONI RISCHIANO DI FARSI MALE A VICENDA
LA LORO RIVALITA’ SCATENA UNA DERIVA ESTREMISTA CHE METTE IN FUGA I POCHI LIBERALI SOPRAVVISUTI A DESTRA… “URLARE FORA I NEGHER NON BASTA PIU'”
Diamo tempo a Salvini di capire cos’è successo, di riassorbire il colpo e riordinare le idee dopo la prima mancata vittoria della carriera. A caldo se l’è presa con le «vecchie facce» dei candidati al Sud, come se il fiasco fosse colpa dei Fitto o dei Caldoro e di chi glieli ha messi sul piatto (leggi Meloni e Berlusconi); ma tra qualche giorno, non appena sarà sbollita la delusione e riuscirà a leggere i risultati con più giudizio, Matteo vedrà che in fondo non ha fatto scintille nemmeno la sua candidata in Toscana.
Si accorgerà che la Lega è arretrata ovunque rispetto al trionfo delle scorse elezioni europee. E magari prenderà atto che nelle Regionali hanno pesato fattori su cui è inutile giocare allo scaricabarile con gli alleati del centrodestra.
Anzitutto, ha influito il Covid: tutti i governatori uscenti ne sono stati aiutati. Nemmeno Mandrake avrebbe sconfitto De Luca in Campania o Emiliano in Puglia, proprio come nessuno di sinistra avrebbe potuto battere Toti in Liguria e Zaia in Veneto. Erano partite perse in partenza.
Ma Salvini si è dato la zappa sui piedi annunciando un sette a zero che forse poteva riuscirgli un anno fa, adesso non più. Lo dice pure l’Ecclesiaste: «Per tutto c’è il suo momento, un tempo per ogni cosa sotto cielo». Le Regionali sono arrivate troppo tardi.
Lo stesso vale per il governo: finchè dura l’epidemia, e purtroppo non sarà breve, qualunque tentativo di spallata è destinata a infrangersi contro un muro. C’è l’ossessione del virus che ha trasformato in gregge filo-governativo un popolo di anarco-individualisti. Ci sono 209 miliardi europei da distribuire sotto forma di aiuti, bonus, mance e sussidi: alzi la mano chi non spera di guadagnarci qualcosa.
Prevale la voglia di tirare a campare che, come avvertiva il cinico Andreotti, è sempre meglio di tirare le cuoia. Conte incarna ciò che passa oggi il convento, che nella mediocrità nazionale corrisponde al meglio dei premier possibili; difatti nei sondaggi supera tutti e perfino papa Francesco.
È saldo al potere, blindato da una maggioranza che, specie dopo il taglio di deputati e senatori, avrà come unico scopo resistere, resistere, resistere sulle poltrone fino alle prossime elezioni nel 2023. Difficile immaginare mossa più inutile, per non dire peggio, dell’intimazione leghista a Mattarella perchè ci rimandi alle urne. Perfino i sassi sanno che il presidente non lo farebbe mai.
In sintesi: Conte ce lo terremo; e se per qualche incidente di percorso dovesse cadere, al posto suo ne arriverebbe un altro simile a lui.
Ma nel frattempo, cosa farà Salvini? Come impiegherà i prossimi 30 mesi, in attesa che il Parlamento vada a scadenza? Da un personaggio che dà il meglio nei tweet, nei comizi, nei bagni di folla e nelle bicchierate di partito, è difficile aspettarsi qualcosa di diverso da una campagna elettorale permanente.
Probabilmente raddoppierà gli sforzi e la propaganda, come se nulla fosse accaduto. Eppure, volendo, avrebbe tante altre cose cui dedicarsi. Una gliel’ha suggerita Toti, con amicizia e rispetto: potrebbe provare a diventare il leader del centrodestra. Per adesso Salvini comanda la Lega ma non Forza Italia, tantomeno i Fratelli d’Italia. Nonostante il berretto di Capitano, deve vedersela con la Meloni che non prende ordini da nessuno e pure alle Regionali gli ha mangiato nel piatto.
Continuando così si faranno male entrambi; e comunque la loro rivalità , che si traduce nel giocare d’anticipo, nel fare sempre «più uno» perfino quando non serve, scatena una deriva estremistica che mette in fuga i pochi liberali sopravvissuti a destra.
Matteo e Giorgia dovrebbero inventarsi qualcosa. Patto di non belligeranza, federazione, partito unico: le formule sono mille, vedano loro quella più adatta. Hanno due anni e mezzo per trovarla.
Dovrebbero profittarne pure per aggiornare il programma. Gridare «fòra i nègher, delinquenti in galera e l’Azzolina a casa» è venuto a noia alla gente, non appaga più quest’Italia in bolletta dove le priorità sono diventate altre per le famiglie e le imprese. Invece del populismo vociante, servirebbe un po’ di rigore al servizio del Paese.
Ci vorrebbe un piano da destra, ma da destra storica, contro le mangiatoie di Stato, contro le mani bucate, contro le fughe in avanti, contro i tentativi (eccome se ci saranno) di creare consenso con i quattrini del Recovery Fund.
Nei mesi e anni a venire Salvini potrà svoltare in politica estera e riqualificarsi agli occhi della prossima amministrazione Usa dove lo considerano un troll di Putin. Idem l’Europa: col tempo e coi comportamenti giusti potrà farsi qualche nemico in meno. Ma soprattutto, se nel 2023 vorrà battere una sinistra tornata competitiva, dovrà cambiare il messaggio politico, tararlo su sogni e speranze anzichè solo su incubi e rabbie. Potrà far dimenticare il negazionismo sul Covid, nascondere in tasca quel rosario ostentato come una provocazione, allargare la cerchia dei consiglieri, dar retta a qualche voce moderata e di buon senso. Lo dice il solito Qohèlet nel Vecchio Testamento: «Tempo di piantare, tempo di sradicare; tempo di gettare, tempo di raccogliere; tempo di piangere, tempo di ridere».
E se Salvini rifiutasse di fermarsi per un «pit stop», insistendo su comizi e propaganda? Potrà emergere nel centrodestra una classe di amministratori locali che sta dando prova di equilibrio, competenza e sano pragmatismo. Due anni e mezzo rappresentano un’occasione pure per loro.
(da “Huffingtonpost”)
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