I SUOI NON SI CAPACITANO: “PERCHE’ SALVINI NON ROMPE? E’ UN UOMO LIBERO DI DECIDERE O HA PAURA DI QUALCOSA?”
GLI SERVE IL VIMINALE COME SCUDO PERCHE’ PRIMA O POI TANTE COSE VERRANNO A GALLA
L’enigma chiamato Salvini. Perchè così viene vissuto, imperscrutabile come il volto della sfinge, stufo da giorni anche del solito pressing dei suoi: “Anche questo film — dicono quelli attorno al capo della Lega — può bastare. Matteo fa le sue riflessioni da solo. Punto”.
L’enigma alimenta il sospetto che ogni attimo potrebbe essere quello giusto “se non si fanno le cose”, spaventa e incassa sui provvedimenti, alimenta la narrazione fuori dal palazzo, oggi Bibbiano domani chissà .
Perchè la sua leadership è un referendum permanente, si nutre di questo elemento psicologico del Palazzo che non capisce le sue mosse e vive nell’incertezza di una decisione vissuta come il giudizio di Dio che arriva all’improvviso, quando meno te l’aspetti.
Ma, al dunque, la crisi non ci sarà , almeno per ora, basta un po’ di sguardo freddo all’agenda di questi giorni: la fiducia sul decreto sicurezza, l’annuncio di una commissione d’inchiesta su Bibbiano, il governo che rimette nelle mani di Pillon la restaurazione del diritto di famiglia…
La crisi non ci sarà , dicevamo, ma la domanda resta: perchè Salvini non rompe, why not?
Chi, dentro la Lega, ha in mano il pallottoliere racconta che sono almeno un’ottantina i parlamentari che vorrebbero la crisi subito. E c’è l’intero gruppo dirigente, perchè ormai è chiaro che anche i ruggiti di Zaia sull’autonomia sono un modo per parlare a nuora (Conte) perchè suocera (Salvini) intenda: “Sabato — racconta l’ex sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo — eravamo a Venezia con la Gelmini. La Lega del Veneto è una Repubblica Autonoma, in parecchi venivano a parlare con noi perchè non capiscono dove voglia andare a parare Salvini”.
È una sensazione diffusa questa forte spinta che arriva dai territori, dal ceto politico diffuso. Però in ciò che non si spiega con le categorie tradizionali c’è anche il segno di una novità dei tempi.
Pier Luigi Bersani è uno che le orecchie a terra le ha sempre tenute. Ci dice: “Ma il punto è proprio questo. Non c’è paesello, città , comune dove questi della Lega non facciano accordi con Forza Italia, perchè poi stanno bene assieme. Quelli di Berlusconi sono rotondi, aiutano a smussare gli spigoli. Ma quello là , Salvini, è un’altra cosa, è un grillino di destra che ha costruito il suo consenso contro Bossi e Berlusconi. La spieghi così questa cosa”.
La spieghi così, ma forse non solo così. Perchè prima o poi arriverà il momento in cui questo consenso andrà monetizzato: perchè, si chiedono i suoi, non coglie l’attimo, visti i sondaggi?
E chissà se nella forza alimentata dal mistero non ci sia anche una grande insicurezza e, forse, qualche paura.
Perchè il mistero è denso. In parecchi, senza farsi vedere, sono andati dal parlamentare del Pd Emanuele Fiano che, ospite di Agorà , ha pronunciato una frase che ha colpito i leghisti: “Siccome razionalità dice che, numeri alla mano, dovrebbe andare a votare e non lo fa, evidentemente non è un uomo libero”.
Già . È chiaro che lo spin leghista accredita la versione secondo cui l’uomo che non deve chiedere mai non sarà in Aula sul Russiagate perchè ha altro da fare, più che occuparsi di un caso che non esiste.
Ma resta la fuga, dall’Aula e dal caso su cui indaga la procura di Milano, liquidato con battutacce da bar di provincia. E restano le tante domande senza risposta, su Savoini, sul suo ruolo, sui rapporti con Salvini, su tutte le ombre che avvolgono i rapporti della Lega con Putin, maldestramente coperte con la drammatizzazione sul futuro del governo, per eludere la questione di fondo.
Ed è chiaro che lo spin leghista accredita che il caso Arata non esiste, anche dopo il diluvio di intercettazioni che rivelano le sue pressioni per mettere al governo Siri, e anche in questo caso restano senza risposte le domande sui rapporti con Arata, che per la Lega si occupa di eolico e il cui figlio avrebbe dovuto lavorare a palazzo Chigi al fianco di Giorgetti.
Insegnano le vecchie volpi di Palazzo che, in situazioni come queste, la libertà di lasciare il Viminale quando la magistratura è così attiva è sempre un rischio, perchè è chiaro che queste inchieste sono solo all’inizio ed è difficile prevedere dove vadano a finire. Comunque il Potere è uno scudo.
Raccontano che c’è un momento in cui la sicumera del leader leghista è stata soppiantata dai dubbi su un’eventuale accelerazione verso la crisi.
Ed è stato quando il sottosegretario leghista è sceso dal Quirinale sabato, dopo il colloquio col capo dello Stato: “La crisi — sussurra una fonte leghista — è sempre un’incognita. Un conto è se si dimette Conte. Ma se la chiediamo noi, ci sta che il capo dello Stato la parlamentarizzi. E qui la questione si complica, perchè la devi spiegare agli italiani mentre gli altri si dicono disponibili ad andare avanti”.
Ecco, nell’enigma di Salvini c’è anche l’enigma altrui. E non è sfuggito al capo della Lega che sia iniziata, sui cosiddetti giornali dell’establishment, una sorta di “montizzazione di Conte”: il premier responsabile, che si è ritagliato un ruolo da protagonista nel post-europee, che offre la prospettiva di tenuta della legislatura, attorno a cui si intensificano le voci di un “suo” partito (non smentite), terminale di un’offerta da parte di Franceschini di un nuovo “arco costituzionale” per eleggere il successore di Mattarella:
“Come nel basket — dice il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi — se fai velo, rischi che gli altri facciano canestro”.
E se non c’è una trama c’è almeno una suggestione se è vero che Piero Fassino ha ricevuto parecchie telefonate da parlamentari dei Cinque Stelle per manifestare il proprio interesse e sondare che aria tira nel Pd dopo l’uscita dell’ex segretario.
I fautori della crisi subito, da Giorgetti andando giù per li rami pensano che proprio tutti questi elementi suggeriscono di evitare la cottura a fuoco lento. E di accelerare subito.
Però Salvini ha fatto capire che per ora si va avanti. E c’è un’altra domanda che resta senza risposta, in un partito che non può permettersi di parlare a chi lo ha portato al 35 per cento, ma comincia a non capire il suo leader: “Ma Salvini è un uomo libero di scegliere o ha paura di qualcosa?”
(da “Huffingtonpost”)
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