IL CASO DELLA GIORNALISTA RAI STEFANIA BATTISTINI, IL DG ROSSI E L’AD USCENTE SERGIO HANNO VOLUTO A TUTTI I COSTI RIPORTARE IN ITALIA LA REPORTER, MENTRE IL DIRETTORE DEL TG1 CHIOCCI ERA CONTRARIO
I SERVIZI ITALIANI, D’ACCORDO CON MOSCA, AVEVANO TROVATO UN COMPROMESSO: LASCIARE BATTISTINI IN UCRAINA, SPOSTANDOLA A KIEV… LA DUCETTA È INCAZZATA NERA CON IL FEDELISSIMO ROSSI, PERCHÉ LA SCELTA DI RIMPATRIARE LA GIORNALISTA APPARE UN CEDIMENTO AI DIKTAT RUSSI
Un enorme pasticcio aziendale, capace di trasformare uno scoop mondiale in una fuga. Una decisione assunta dal dg della Rai Giampaolo Rossi e dall’ad Roberto Sergio, ostinatamente. Che interpreta forse un sentimento crescente in settori dell’esecutivo, critici verso l’attacco ucraino sul suolo russo. E che adesso, però, imbarazza l’Italia con gli alleati e infastidisce Palazzo Chigi.
È un giallo politico e diplomatico, quello del rientro precipitoso a Roma imposto a Stefania Battistini. Nato da un servizio esclusivo nelle campagne di Kursk, ma diventato caos ai piani alti della tv pubblica. Ricostruiamolo, avvalendoci di fonti interne a viale Mazzini, agli Esteri e alla Presidenza del Consiglio.
È estate piena e Battistini agisce con discrezione e rapidamente. Grazie ai suoi contatti, riesce a entrare in Russia – nella porzione di territorio occupato dagli ucraini – e racconta per immagini a bordo di un tank di Kiev le enormi falle nella difesa di Mosca. Il Cremlino è furioso. Minaccia. È il primo bivio, un caso mediatico che diventa diplomatico e politico.
Ai vertici di viale Mazzini – raccontano fonti aziendali – la preoccupazione è massima. La paura è che tutto sfugga di mano. Si ipotizza perciò quasi immediatamente un rientro anticipato dell’inviata in Italia. A premere per questa soluzione è soprattutto Rossi. Il direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci – da tempo in profondo freddo proprio con il dg – è invece per una linea di compromesso e favorevole a lasciare Battistini sul terreno, spostandola però da Sumy a Kiev. Si media e si raggiunge un’intesa di massima.
Si muovono ovviamente anche i servizi, si apprende. Considerano la soluzione costruita per Battistini praticabile. Come sempre in questi casi, parlano con la controparte russa. L’obiettivo è evitare ritorsioni. Tra queste, anche possibili restrizioni – o addirittura la chiusura – della sede Rai di Mosca. La Farnesina si muove in questa direzione, con la stessa soluzione in tasca: Battistini nella capitale ucraina, qualche segnale distensivo al Cremlino per alleggerire il clima.
E invece, è proprio a questo punto che i vertici Rai imprimono un’improvvisa accelerazione. Rossi e Sergio decidono di far rientrare Battistini. La cronista, raccontano varie fonti sul campo, non la prende bene. Vorrebbe restare. Lavora sul fronte da più di due anni e viene invitata alla ritirata dopo un colpo giornalistico del genere. Il segnale è evidentemente deflagrante, perché si inserisce in un quadro di enorme difficoltà diplomatica che sta già lacerando il governo italiano dal giorno dell’invasione di Kursk.
L’esecutivo, infatti, sbanda paurosamente fin dalle prime notizie del contrattacco di Kiev. Il primo a esporsi è Guido Crosetto: nessun Paese, dice, deve invaderne un altro, «è un principio generale». Uno smarcamento che mette in difficoltà Meloni e spinge Palazzo Chigi a far esporre alcuni parlamentari a favore dell’offensiva di Kiev, giudicato utile alla futura trattativa di pace. Ma non basta.
Il governo ribadisce di non voler consentire l’utilizzo di armi italiane per colpire target in Russia, facendo storcere il naso agli alleati occidentali. La Lega intanto, per bocca del capogruppo Massimiliano Romeo, critica duramente l’azione dell’Ucraina: «Il tentativo di incrementare il proprio capitale spendibile al tavolo negoziale con gli attacchi sul suolo russo potrebbe comportare un’escalation militare che allontana una soluzione pacifica».
Ecco il quadro in cui si inserisce la decisione dei vertici aziendali Rai. Una mossa che, almeno secondo fonti diplomatiche a lei vicine, non sarebbe piaciuta a Giorgia Meloni. La ragione sta nell’enorme rischio di mostrarsi troppo cedevoli di fronte alle pressioni di Mosca.
Sia chiaro, la premier si muove su questo terreno con enorme cautela e non esiterà, se necessario, a ricalibrare la linea dell’esecutivo in caso di vittoria di Donald Trump. Già da qualche settimana difende le ragioni di Kiev con un po’ meno intensità di un tempo. Al momento, però, non può e non vuole scoprirsi sul fronte atlantico. E potrebbe manifestare questa linea già nei prossimi giorni.
(da Repubblica)
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