IL COSTITUZIONALISTA PALLANTE: “REFERENDUM OSCURATI, TEMONO CHE IL LAVORO RITORNI UN DIRITTO”
“SU JOBS ACT, PRECARIATO E CITTADINANZA EFFETTI IMMEDIATI, MA CONTA PURE IL VALORE SIMBOLICO”
“Vivere da cittadini, lavorare con dignità” è il titolo di un appello che tenta di squarciare il silenzio sui referendum dell’8-9 giugno: lo hanno firmato intellettuali e accademici come il premio Nobel Giorgio Parisi, Nadia Urbinati, Silvio Garattini, Gaetano Azzariti, Salvatore Settis e Tomaso Montanari. Tra loro c’è anche Francesco Pallante, ordinario di Diritto costituzionale a Torino.
Professore, c’è un gran silenzio attorno all’appuntamento di giugno: perché?
I referendum mirano, nel loro complesso, ad aprire una breccia negli attuali equilibri di potere che vedono la finanza e l’impresa dominare in campo economico, al contrario di quel che prevede la Costituzione. Consci dello squilibrio di potere tra datori di lavoro e lavoratori, i Costituenti si erano posti l’obiettivo di riequilibrare i rapporti di forza. Per questo la Repubblica è “fondata sul lavoro”, diversamente dalle Costituzioni ottocentesche che erano “fondate sulla proprietà”, persino quanto al diritto di voto! Le riforme degli ultimi 30 anni hanno ricreato una situazione ottocentesca e chi ne beneficia non
vuole perdere gli enormi vantaggi di cui gode. In quest’ottica anche il referendum sulla cittadinanza è importante: ricompone l’unitarietà della categoria dei lavoratori superando, almeno in parte, la contrapposizione tra lavoratori italiani e stranieri.
Puntano a non raggiungere il quorum?
Sì, purtroppo è oramai invalsa la prassi per cui i contrari all’abrogazione approfittano parassitariamente dell’astensionismo per far fallire i referendum, evitando di mettersi democraticamente in gioco.
Come cambierebbe la legge sulla cittadinanza?
La regola generale è che la cittadinanza possa essere concessa agli stranieri che risiedono in Italia da almeno 10 anni; nel caso degli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani vale una regola speciale, per cui è sufficiente un periodo di 5 anni. Il quesito mira ad abrogare la regola generale dei 10 anni unitamente al riferimento all’adozione in quella speciale, trasformando la residenza quinquennale in regola generale (com’era fino al 1992).
Poi ci sono i referendum sul lavoro. Uno riguarda la sicurezza: i morti aumentano ma, chiacchiere a parte, la politica sembra disinteressarsene…
La mancata sicurezza sul lavoro è una ferita costituzionale sanguinante. Il lavoro non solo è precario e povero, oramai sempre più spesso è anche mortale. Gli esperti spiegano che le catene di appalti e subappalti rendono impossibile assicurare la sicurezza a chi lavora nei cantieri. È chiaro che è lì che occorre intervenire, ma sinora la politica è rimasta inerte. Il referendum mira a sanare questa ferita.
Precarietà: l’esempio della Spagna, che è tornata indietro, non è servito…
Il caso spagnolo è interessante perché dimostra che, contrariamente a quanto viene ripetuto, rafforzando i diritti dei lavoratori si rafforza il sistema economico nel suo complesso. Per questo i referendum che puntano a ostacolare i licenziamenti e a ridurre i contratti a termine sono fondamentali: procurano beneficio a tutti, non solo ai lavoratori dipendenti.
L’abolizione del Jobs Act crea imbarazzo nel Pd. È solo una questione simbolica o cambierebbe davvero qualcosa?
I referendum sui licenziamenti e sui contratti a termine produrrebbero cambiamenti immediati e importanti nella vita dei lavoratori, inclusi quelli che lavorano nelle piccole imprese (la gran parte di quelle italiane). Per i datori di lavoro il licenziamento disposto in violazione della legge sarebbe più costoso e si amplierebbero le ipotesi di reintegra. Quanto ai contratti a termine, il loro utilizzo sarebbe circoscritto a situazioni connotate da esigenze produttive oggettive. Chiaramente tutto ciò avrebbe anche un’enorme portata simbolica. L’idea alla base del Job Act (ma, ancor prima, del “pacchetto Treu” e della “legge Maroni”) era che il lavoro fosse un mero costo di produzione, da ridurre al minimo. I referendum puntano a tornare alla concezione del lavoro come diritto: quella della Carta.
(da agenzie)
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