IL DUELLO D’ALEMA-GIACHETTI IN UN CLIMA INFUOCATO E TRA LE DUE FAZIONI MANCA POCO CHE SI VENGA ALLE MANI
TRA LE DUE ANIME DEL PD DUE CONCEZIONI OPPOSTE DELLA POLITICA
“Aò ma che stai allo stadio? Leva quel fischietto, cretino!”. Il secondo match in due giorni tra il Sì e il No al referendum costituzionale è ancora più infuocato del primo. Dopo l’acceso faccia a faccia a Bologna tra il premier Renzi e il presidente dell’Anpi Smuraglia, alla Festa dell’Unità di Roma ci sono, uno di fronte all’altro, Roberto Giachetti e Massimo D’Alema.
Il clima è surreale nella Capitale del lider Maximo e del più romano tra i renziani.
Si parla della consultazione di novembre ma la posta in gioco è un’altra. E’ una prova di forza e lo si capisce dall’aria tesa che si respira sotto i gazebo: urla, fischi, applausi, buuuu, insulti sono un controcanto costante al dialogo tra i due esponenti Pd.
Il palco diventa il campo da gioco, la platea una curva di ultrà contrapposti. Gli animi si accendono, le grida dei militanti coprono a più riprese la voce dei due interlocutori. A un tratto alcuni militanti litigano violentemente rinfacciandosi gli errori della sinistra del passato: ci manca poco e arrivano a darsele di santa ragione.
“Io fascista? Sciacquati la bocca, buffone! Io a Renzi non l’ho votato”.
Decine di persone sono accorse a Pietralata per assistere al dibattito. Sotto la pioggia, che a tratti si fa diluvio, a guardarsi in faccia non ci sono solo due posizioni diverse sul referendum, ma due anime del Pd lontane, incompatibili; due modi di interpretare il partito, due declinazioni inconciliabili della sinistra, due concezioni opposte della politica.
E gli interlocutori chiamati a rappresentare le ragioni del Sì e del No non ne fanno mistero.
“Le uniche due cose che abbiamo in comune io e Giachetti sono l’iscrizione al Pd e la Magica”, dice D’Alema scherzando ma neanche tanto.
L’ex premier subito mette in chiaro la sua posizione rispetto alle accuse che gli arrivano da buona parte del partito: “Io non guido nessuna corrente, do semplicemente il mio contributo alla campagna referendaria perchè c’è una parte della sinistra che non vuole votare sì. Mi sono mosso perchè nessuno lo faceva”.
Il candidato alle comunali di Roma punzecchia: “Gli italiani si sono stufati di aspettare riforme che da trent’anni non arrivano”. Richiama la Commissione Bicamerale guidata da D’Alema e per la prima volta il clima si infiamma: arrivano buuu e fischi dalla platea.
“Leva quel fischietto, cretino!” grida un militante a chi gli sta davanti.
D’Alema allora rivendica i risultati ottenuti dalla sinistra negli ultimi trent’anni, perchè “abbiamo fatto lotta politica, altro che chiacchiere”.
Li mette in fila: “Abbiamo introdotto l’elezione diretta dei sindaci, è stata fatta la riforma del Titolo V nonostante io fossi contrario. E poi abbiamo modificato l’articolo 81 mettendo il pareggio di bilancio in Costituzione, abbiamo introdotto il giusto processo. Non sono chiacchiere. Il D’Alema del ’97 non avrebbe votato questa legge neanche per idea”, dice l’ex presidente del Consiglio.
E poi attacca: “Questa riforma è un pasticcio. Per citare Onida è una stravaganza ai limiti dell’amenità ”.
Giachetti non ci sta e rivendica la riforma come una battaglia storica della sinistra: “Massimo, ti ricordo che nel programma del Pds si parla già di superamento del bicameralismo perfetto. Ed è quello che stiamo facendo noi oggi. Sei stato un leader storico e questa riforma discende dalla storia della sinistra che però troppo spesso si è risolta in chiacchiere”.
Si passa ai contenuti: per D’Alema “viene fuori un pasticcetto dato che avremo un Senato proporzionale e una Camera ultramaggioritaria, con rischi seri di paralisi nel caso venissero fuori due diverse maggioranze”.
Giachetti allora ricorda che la riforma “prevede una clausola di supremazia” perchè “non è che una Camera può sconfessare l’altra”.
“Ma come no?!” esclama l’ex premier, e dal pubblico c’è chi gli dà man forte: “A Giachè, te stai a incartà !”.
Non solo il merito, D’Alema contesta anche il “metodo”: “Questa è una riforma costituzionale di governo, approvata da una ristretta maggioranza eletta con il Porcellum che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Non c’è nessun mandato elettorale”.
Il vicepresidente della Camera fa presente che “riforme e Italicum erano il cuore del programma su cui Renzi ha ottenuto la fiducia delle Camere. Sono allibito dal tuo discorso”.
Poi arriva l’affondo: “Vedo che Massimo si adopera per dare consigli ai grillini”.
Una parte del pubblico non ci sta: partono altri fischi, una signora urla “Giachetti stai sereno!”. Un anziano prima sbraita, poi mugugna: “D’Alema ha detto l’esatto opposto due minuti fa, ora basta, è tutta la vita che fa così, non se ne può più”.
Le tifoserie fanno a gara a chi urla più forte e i due interlocutori a stento sentono le parole l’uno dell’altro.
Si fa fatica a comprendere come mondi così distanti possano convivere nello stesso partito. Giachetti rinfaccia a D’Alema i lavori della Bicamerale che “davano al Presidente del Consiglio poteri enormi anche per un sistema semipresidenziale mentre la nostra riforma riduce i poteri del premier”.
Il lider Maximo non è d’accordo: “Con l’indicazione del presidente del Consiglio introdotta nella legge elettorale si cambia la forma di governo del Paese”.
Ed esprime forti perplessità sui capilista bloccati e sulle preferenze.
Giachetti si spazientisce: “Voi quando c’era il Mattarellum volevate le preferenze, quando c’erano le preferenze volevate il Mattarellum. Non si capisce mai cosa volete”.
“Guarda — dice D’Alema — che il Mattarellum noi lo abbiamo scritto, se l’obiettivo del tuo digiuno era l’Itaicum era meglio se mangiavi la porchetta”.
I due si provocano a vicenda. E sotto i gazebo è una bolgia: un sostenitore di D’Alema perde la calma e arriva quasi a ridosso del palco urlando contro Enrico Mentana che fa da moderatore del confronto: “Giachetti non può provocare sempre – grida — Mentana! Devi moderarlo! Hai capito?”.
Dall’altra parte della platea un militante grida come un forsennato: “Massimo, di’ qualcosa di sinistra! Dilla Massimo, ce la puoi fare!”.
Non si sa come, si arriva al momento degli appelli finali.
Giachetti elenca i punti di forza della legge costituzionale (“è una riforma che semplifica e permetterà alle istituzioni di lavorare meglio per i cittadini”).
Poi, all’ultimo secondo utile, sferra un “colpo basso”, tirando fuori il Patto della Crostata tra D’Alema e Berlusconi: l’accordo stipulato a casa di Gianni Letta per portare a termine i lavori della Bicamerale.
La folla perde la calma, ancora una volta. “Buffone!” e partono altri fischi. “Se questi sono i vostri argomenti allora voto No”, si sgola un militante.
Tocca a D’Alema: “Non ci fu nessun patto e non ci fu nessuna crostata”, ribatte al vicepresidente della Camera. Infine tira le somme: “L’insieme di queste riforme, quella costituzionale e quella elettorale, riduce la sovranità popolare”.
Cala il sipario sul confronto, i due esponenti del Pd scendono finalmente dal palco mentre i militanti si allontanano alla spicciolata.
Si formano dei capannelli qua e là e Giachetti e D’Alema vengono raggiunti dai rispettivi sostenitori. Non piove più, il clima si fa disteso.
E’ arrivato il momento di farsi selfie.
(da “Huffingtonpost”)
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