IL GRANDE BLUFF DI GIORGIA: LA MELONI FA FINTA DI SFILARSI DALLA TRATTATIVA PER LE NOMINE EUROPEE, LA VERITÀ È CHE È SONO GLI ALTRI AD AVERLA MESSA ALL’ANGOLO
LA PREMIER ITALIANA È STRETTA TRA DUE FUOCHI. DA UN LATO CI SONO MACRON, SCHOLZ E IL POLACCO TUSK CHE L’HANNO ISOLATA E VOGLIONO NEUTRALIZZARLA (MISSIONE COMPIUTA). DALL’ALTRO GLI ALLEATI DI “DETTA GIORGIA” IN ECR, I POLACCHI DEL PIS E I FASCI DA OPERETTA IN MODALITÀ INCIUCIO. E MINACCIANO ADDIRITTURA DI MOLLARE I CONSERVATORI
Alle otto della sera, in un “Europa building” ancora attraversato da una luce intensa, Giorgia Meloni fa la sua mossa a sorpresa. Decide di sfilarsi dall’intesa in cantiere sul nome di Ursula von der Leyen, risponde a muso duro a Olaf Scholz e Donald Tusk che l’hanno messa all’angolo, segnalandone l’irrilevanza: «Non accettiamo accordi preconfezionati. A questo punto ne riparliamo fra dieci giorni», dice la premier.
È il culmine di una giornata difficile, in cui l’inquilina di Palazzo Chigi si trova ai margini del negoziato per i top jobs e vede da vicino il rischio che il suo gruppo europeo, quello dei Conservatori, si disgreghi.
L’opzione scelta è quella della frenata improvvisa, comunicata dopo gli incontri bilaterali, prima della cena dei 27 capi di governo dell’Ue. «Se popolari, socialisti e liberali hanno davvero i numeri vadano avanti da soli», è il senso del ragionamento fatto filtrare da Meloni. Che, evidentemente, non ha ottenuto quel che chiedeva: la concessione di una vicepresidenza della commissione e di un commissario di peso.
Di una delega identitaria come l’immigrazione, che la premier vuole affidare a Elisabetta Belloni, «neanche si è parlato»: ad affermarlo è il vicesegretario del Ppe Antonio Tajani. L’alternativa, quella di un portafoglio economico, è in sospeso. Il problema, che è affiorato in questi giorni a Bruxelles, è la penuria di nomi spendibili
La premier è costretta a tirarsi indietro. Dopo aver ribadito ai suoi interlocutori che l’Italia, per l’importanza di un Paese fondatore e perché ha un governo che rappresenta una destra uscita più forte dalle Europee, merita maggiore considerazione. Rimane convinta, Meloni, che un’alleanza che fa perno su Ursula non può fare a meno di lei. Fa sapere che sarebbe un azzardo. Ma in realtà è rimasta fuori, sinora, da un negoziato che poggia sulla logica dei numeri. Almeno sulla carta Ppe, Pse e Liberali sono autosufficienti.
D’altra parte, le trattative sul nome di von der leyen hanno creato non pochi malumori all’interno di Ecr. Il gruppo, in queste ore, è in fibrillazione: il polacchi del Pis e gli spagnoli di Vox non vedono di buon occhio un bis di Ursula. E non piace certo la proposta del socialista portoghese Costa per la presidenza del Consiglio. Non piace la disponibilità della prima ministra italiana a chiudere in fretta il negoziato
Ma la questione è più ampia: fino a qualche mese fa, Meloni lavorava per federare la destra, chiamando sotto la stessa insegna “moderata” Marine Le Pen e Orbán. L’idea era quella di un grande gruppo che potesse superare, per consistenza, il Pse. Dopo le Europee l’inquilina di Palazzo Chigi ha tentato di accelerare, per chiudere l’operazione. Ma è arrivata una doccia gelida
Non convince la prospettiva di aggregarsi – seppur non ufficialmente – alla coalizione di Ursula von der Leyen. Meloni vuole rendere la destra più presentabile, farla entrare nel circuito istituzionale europeo. Ma non è in grado di dare garanzie in questo senso. Il sospetto è che la leader di FdI voglia incassare qualche poltrona di peso per il governo italiano senza poter dare nulla in cambio.
Così ieri, mentre altri capi di governo cercavano un accordo sui top jobs, nelle stanze dell’Amigo, Meloni si cimentava nel tentativo di evitare lo sfarinamento del suo gruppo: ha visto tra gli altri l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, che ha un canale aperto con Le Pen per la costituzione di un raggruppamento autonomo, con la presenza di Orbán. Del progetto, teoricamente, farebbe parte pure FdI, ma Meloni perderebbe lo scettro, sarebbe schiacciata dalla convivenza con la paladina del Rassemblement national
Morawiecki non ha negato alla premier italiana la possibilità che il Pis (20 eurodeputati su 77) lasci il gruppo di Ecr. Se ciò accadrà si darà vita comunque a un coordinamento dei gruppi della destra. Su Ecr, d’altronde, aleggia anche lo spettro di Orbán: se entrasse il leader ungherese, se ne andrebbero venticinque deputati di radice moderata.
(da la Repubblica)
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