IL PRECARIATO FA MALE AL VOLONTARIATO: NEGLI ULTIMI 8 ANNI I VOLONTARI SONO DIMINUITI DEL 15,7% (900 MILA PERSONE)
I GIOVANI CHE HANNO UN LAVORO NON HANNO TEMPO PER IL VOLONTARIATO E LE ASSOCIAZIONI DEL TERZO SETTORE RISCHIANO DI FINIRE A GAMBE ALL’ARIA (E COME AL SOLITO CI RIMETTONO I PIÙ BISOGNOSI)
Paralizzati dall’incertezza di un futuro gravido di incognite, schiacciati dalla precarietà di un lavoro spesso senza orari che lascia poco spazio ad altro, scoraggiati da una burocrazia che a volte vanifica l’impegno verso il prossimo, i giovani sono sempre più in fuga dal volontariato. Dal 2015 ad oggi, complice anche la pandemia, il loro numero è sceso del 15,7%, ovvero 900 mila volontari in meno. Al di sotto del livello del 2011, certifica l’ultima rilevazione dell’Istat, che ne conta pur sempre tanti: 4 milioni e 661 mila.
«A pesare non è tanto l’assenza di valori quanto l’incertezza sul futuro. Minacce come la guerra o i cambiamenti climatici disincentivano a investire su impegni a medio e lungo termine», riflette Laura Milani, che è anche responsabile del servizio civile nella Comunità Papa Giovanni XIII, «dove purtroppo oltre la metà dei giovani non si sono presentati al momento di dare vita ai nostri progetti».
«Ma non parlerei di disaffezione verso il mondo dell’associazionismo, perché a incidere in realtà sono i cambiamenti nel modo di socializzare che hanno reso più complesso il relazionarsi con gli altri», afferma a sua volta Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale terzo settore.
Che punta anche l’indice contro la precarietà del lavoro, «con orari che rendono complicato trovare tempo per dedicarsi ad attività come quelle del volontariato». E poi, è inutile negarlo, «la cultura civica ha perso smalto, a causa anche della crisi dei corpi intermedi, partiti politici in testa, documentata dall’astensione alle urne».
E se i cambiamenti sociali generano la fuga dal volontariato, le associazioni no profit finiscono per ingrossare le schiere dei propri dipendenti, tanto che dal 2015 al 2020 se ne contano 82 mila in più. Con il rischio di rendere più burocratiche le istituzioni no profit. Anche se la burocrazia che allontana i volontari «è quella che obbliga i giovani a tutta una serie di adempimenti senza poter avere un contatto diretto con l’Ente presso cui vorrebbero prestare la loro opera», rivela sempre Laura Milani.
Le istituzioni che operano grazie al contributo dei volontari si concentrano infatti nei settori delle attività culturali e artistiche, sportive, ricreative e di socializzazione, che insieme aggregano il 65,2% delle istituzioni no profit. Ma pesano anche i settori dell’assistenza sociale e della protezione civile con il 10% di istituzioni, oltre che quello della Sanità con il 4,4%. Per non parlare del fatto che i giovani acquisiscono così competenze utili a trovare in seguito un lavoro, mentre intanto con il servizio civile ricevono un rimborso di 439 euro mensili.
(da la Stampa)
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