IL RICHIAMO ALLA REALTA’ DI MATTARELLA: L’IMPERATIVO DI GOVERNARE E NON PERDERE TEMPO
SERVONO “RESPONSABILITA’ E SENSO DEL DOVERE” PERCHE’ “E’ IL TEMPO DEI COSTRUTTORI”
Il messaggio è già nell’immagine, prima ancora che nelle parole. Il “fuori” che entra “dentro”, attraverso le vetrate aperte del Quirinale.
La realtà che irrompe nel Palazzo, con il suo bisogno di normalità da riconquistare e con l’immane angoscia che suscita l’anno più orribile della storia recente: la tragedia di una pandemia nella quale siamo ancora immersi, il dolore di comunità spezzate, di disuguaglianze crescenti, in definitiva la profonda solitudine del popolo italiano che, in questa emergenza, ha dimostrato un senso di autocontrollo migliore della sua rappresentanza politica.
Luogo senza orpelli, decorazioni, alberi di Natale, parole crude, asciutte, “senza chiudere gli occhi di fronte alla realtà ” e con la “necessità di dare memoria di quello che abbiamo vissuto in questo anno”.
Parole senza autocompiacimenti retorici, come usa chi ha il senso del proprio ruolo.
Nel discorso di Mattarella di fine anno c’è tutta la gravitas del momento e la capacità di incarnare questo animo profondo degli italiani, con lo stile di chi questa crisi l’ha accompagnata passo dopo passo, senza l’ansia da palcoscenico, anche di fronte all’eccesso degli altrui protagonismi.
Un presidente solo in un paese solo, che entra nell’ultimo anno del proprio mandato, annunciando che non ce ne sarà un altro, e che vive nella tensione tra la speranza di salutare, nel prossimo discorso, un paese che si è rialzato e una certa non troppo celata disillusione rispetto alla situazione politica.
Nello stile di questo presidente non c’è mai una critica esplicita, un “non ci sto”, un “monito”, ma tutto racconta di una profonda diversità rispetto all’andazzo dei tempi, con i suoi picchi narcisistici sul “modello italiano”, il culto della comunicazione, il presentismo senza orizzonte.
Quanto è distante il chiacchiericcio della crisi strisciante che rimbomba nei palazzi della politica dal richiamo all’“unità civile e morale degli italiani”.
Unità che gli italiani hanno già dimostrato di avere e che va perseguita senza “annullare diversità di idee, ruoli e interessi”, ma ricercando quelle “convergenze di fondo per superare momenti storici di drammatiche difficoltà ”.
E quanto è distante l’ammissione, con la forza dell’umiltà , di “errori” che sono stati commessi, anche in buona fede, anche perchè a un certo punto la storia è stata più forte degli uomini chiamati a gestirla. Ma errori, non trionfi, come il “diffuso rilassamento” estivo.
Quattordici minuti, gli auguri più brevi del settennato, per squadernare la realtà , che sollecita “ancor di più la responsabilità ” delle istituzioni, della politica, dell’intera classe dirigente, proprio ora che scienza, attraverso il vaccino, fornisce l’arma più forte, “prevalendo su ignoranza e pregiudizi”: “Serietà , collaborazione e anche senso del dovere”.
Insomma, volendo tradurre in modo un po’ tranchant, ma efficace, il senso delle parole di Mattarella è: governate (se siete capaci). O meglio, l’imperativo, senza alternative, è “governare”, ove per governo si intende la capacità di assumere decisioni, scelte, nell’ambito di una visione del futuro.
Non è una difesa acritica dell’esistente, della stabilità a prescindere a tutti i costi — spetterà alle forze politiche trovare le modalità più consone per andare avanti – ma certo, nel richiamo, c’è l’invito a scongiurare una crisi come un’avventura. E, sempre a voler tradurre in modo prosaico, se questo è il messaggio rivolto al Governo, alle forze politiche, avvitate in un dibattito a tratti incomprensibile, l’invito è a “non perdere tempo” sprecando “energie per inseguire illusori e vantaggi di parte”.
Insomma, Mattarella non suggerisce una formula: rimpasto, riassetto, avanti così o in modo diverso.
Suggerisce però di acquisire una buona volta la consapevolezza della sfida e le aspettative degli italiani che meritano una classe dirigente di “costruttori”.
Non a caso parla di “ripartenza” ma sempre accompagnata alla parola “ricostruzione”, e non è un vezzo lessicale, ma un concetto politico. Perchè la pandemia non è una parentesi, dopo la quale tutto riprenderà come prima, ma uno tsunami che ha scavato solchi profondi nelle nostre vite, ha acuito fragilità del passato, ha aggravato vecchie disuguaglianze e ne ha generate di nuove, come il solco, sempre più profondo, tra garantiti e non garantiti.
Questo impone la capacità di immaginare il futuro, a partire dal Recovery plan cui è dedicato uno dei passaggi più incisivi del discorso.
Dietro l’auspicio di un’azione “concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse”, che evoca le parole di Draghi sul debito buono e cattivo, c’è la tutta l’incertezza di un piano che, al momento non c’è, se non come collage di vecchi progetti. E da cui dipenderà gran parte del nostro futuro.
Non è una bestemmia ridiscuterlo, anzi dice Mattarella “cambiamo ciò che va cambiato”, in relazione al dibattito in corso, il che — è il non detto — può anche aiutare a stemperare le tensioni. Ma fate presto.
A proposito di sobrietà , i tweet del discorso si contano sulle dita di una mano (scelta voluta), a conferma che popolarità può far rima con serietà .
Buon anno.
(da “Huffingtonpost”)
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