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IL RITOCCHINO AL SENO? PAGA L’OSPEDALE

RIFARSI IL SENO A SPESE DEL SERVIZIO SANOTARIO NAZIONALE, CIOE’ DEI CONTRIBUENTI

Avevamo lasciato Carmine Alfano, primario di Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’ospedale universitario di Salerno San Giovanni e Ruggi d’Aragona, a naufragare fra le onde burrascose da lui stesso create con gratuiti insulti ai medici specializzandi. È L’Espresso a pubblicare, il 18 giugno, gli audio in cui il professore insulta, minaccia e tormenta i medici in formazione. E gli omosessuali, secondo lui, «dovrebbero andare tutti dentro il forno crematorio di Cava de’ Tirreni. E abbiamo risolto il problema».
Parole che gli stanno costando care. C’è stata una levata di scudi dal mondo dell’università, sdegno dall’ordine dei medici e dall’associazione dei medici specializzandi Als. È già stato sospeso dal suo incarico, mentre la procura di Salerno ha aperto un’indagine a suo carico per concussione, falso ideologico e truffa. Ma dall’inchiesta giudiziaria potrebbe emergere anche altro.
In base alla documentazione riservata e visionata da L’Espresso e dal Fatto Quotidiano, il chirurgo salernitano ha utilizzato più di una volta le sale operatorie dell’ospedale pubblico per interventi chirurgici a fini estetici, assegnando classi di priorità generalmente riservate ai casi più gravi. Fra i beneficiari di tale generoso trattamento ci sarebbe anche una magistrata.
A metà dicembre 2023 la togata – di cui per motivi di privacy non riveleremo il nome – effettua un’ecografia mammaria presso un ambulatorio della Regione Campana dove si evidenzia che la paziente, che nel 2001 ha effettuato una mastoplastica additiva, cioè un intervento per aumentare il volume del seno, presenta «profili irregolari alla mammella con presumibile rottura intracapsulare». Sei settimane dopo, la donna si presenta in ospedale a Salerno per una visita presso il dipartimento di Chirurgia plastica ricostruttiva, diretto da Carmine Alfano e che dovrebbe prioritariamente occuparsi di ridare una vita dignitosa soprattutto alle donne affette da carcinoma mammario. La magistrata viene visitata da Alfano per «complicazioni meccaniche di protesi mammarie» e viene inserita in lista d’attesa per l’intervento chirurgico da effettuare con priorità d’urgenza, quindi entro 30 giorni: un codice riservato ai casi gravi, spesso oncologici. Il ricovero e l’intervento avvengono a inizio marzo, in linea con le indicazioni di priorità d’urgenza. E chi l’ha detto che la sanità campana ha liste d’attesa troppo lunghe? Verrebbe da dire, cinicamente.
L’intero costo del servizio offerto – la stima è di 7mila euro per l’intervento, più la degenza – è tutta a carico del Ssn e nel giro di tre giorni la donna può lasciare l’ospedale: con un seno nuovo. Chissà, magari uscendo da lì la magistrata è stata costretta a passare attraverso il corridoio di qualche ambulatorio, dove altre donne attendevano pazienti il proprio turno per una visita. Chissà. Di attesa, la magistrata, ne ha fatta davvero poca: in quattro mesi la togata scopre di avere un difetto a una protesi, si fa visitare in ospedale e se ne esce con un seno rifatto e rialzato. Poteva questa donna essere operata a carico del Servizio sanitario nazionale? L’Espresso lo ha domandato a un chirurgo plastico di massima fama nazionale, che è anche perito del tribunale di Milano: «In base alla documentazione la donna non poteva usufruire del Ssn: essendo la protesi impiantata nel 2001 a fini additivi, doveva essere rimossa e sostituita in struttura privata, al di fuori del contesto ospedaliero pubblico. Inoltre, la problematica insorta, cioè la rottura intracapsulare, non è una motivazione sufficiente per ricorrere a un intervento urgente in regime di Ssn».
Non si tratterebbe di un caso isolato. In base alla documentazione in possesso de L’Espresso e del Fatto, anche in altre occasioni si è consentito a determinati pazienti di scavalcare la lista d’attesa. Al reparto arriva anche una bambina, figlia di un amico di Alfano, e viene inserita nella lista d’attesa di massima urgenza (priorità A, con un intervento da effettuare entro 30 giorni) per una cisti sebacea, operata in meno di un mese e compiendo un sorpasso alla lista d’attesa difficilmente giustificabile.
In uno degli audio di Alfano pubblicati a giugno da L’Espresso, il medico diceva agli specializzandi: «Questo qua è un amico mio e se la figlia ha una complicanza, non è che chiama il magistrato. Ci prende e ci porta sopra la Sila, ci attacca vicino a una pianta e ci fa stare nudi per una settimana e non lo viene a sapere nessuno». La figlia sarebbe una giovane donna inserita negli interventi ordinari urgenti, nonostante fosse a fine estetico. Una mastopessi, cioè un rialzamento del seno, e un impianto di protesi bilaterale per asimmetria mammaria. Come ci spiega il medico intervistato da L’Espresso, per essere un intervento garantito dal Ssn, l’asimmetria deve essere invalidante al punto tale da impedire alle braccia di muoversi. La procura di Salerno sta indagando e ha massimo interesse su queste vicende. Contattato dal giornale, Alfano non ha risposto alle nostre domande.
Va detto che il medico ha più d’un procedimento giudiziario in corso: a Perugia, dove il professore ha lavorato dal 2005 al 2019 come direttore della scuola di specializzazione di Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’azienda ospedaliera, è accusato di truffa perché, nonostante avesse un contratto di esclusiva con l’ospedale, «con artifici e raggiri» eseguiva interventi chirurgici in altre cliniche private, «senza comunicarlo all’azienda ospedaliera e non rilasciando ai pazienti le ricevute fiscali». Il procedimento penale è finito in prescrizione un mese fa, mentre quello civile prosegue: Alfano è stato condannato a risarcire parte del dovuto all’ospedale. Somme e indennità insoddisfacenti per l’ospedale, che ha quindi fatto ricorso alla corte d’Appello di Roma. Un ex specializzando della scuola di Perugia, contattato da L’Espresso, racconta che un decennio fa era stato chiamato in procura per testimoniare sull’attività di Alfano: «Avevo risposto alle domande, molto semplici e generiche, dei magistrati. Ma non ne ho più saputo nulla. Un anno e mezzo dopo Alfano fu trasferito alla Sapienza di Roma: la situazione a Perugia era ingestibile. Di lui è rimasto solo un pessimo ricordo». A proposito dell’attività in reparto dice: «C’erano minacce continue agli specializzandi, trattamenti disumani. Richieste indegne, tipo quella di pulirgli l’auto. Ma soprattutto ambigui interventi chirurgici, dove a fronte di diagnosi di asimmetria mammaria, venivano inserite protesi di uguali dimensioni sui due seni. La maggioranza degli interventi era su pazienti campani, per lo più di chirurgia mammaria e rinoplastiche».
Al noto chirurgo plastico Paolo Santanchè, socio della Sicpre e dell’Aicpe, le associazioni di categoria dei chirurghi plastici ed estetici, abbiamo chiesto se possa capitare che interventi a fini estetici finiscano per essere realizzati in regime di Ssn: «Capita di frequente di incappare in ricostruzioni del setto nasale eseguite in regime di Ssn, mentre molto probabilmente erano ritocchi estetici. Capita che piccole asimmetrie mammarie “passino” come interventi sanitari nel Ssn. E non è insolito che casi di abuso di questo tipo si verifichino anche all’interno di ospedali pubblici. E diciamo anche che, su questo fronte, i legali delle assicurazioni sanitarie private non hanno davvero modo di annoiarsi. I casi abbondano».
A porre un freno a questa cattiva prassi, dovrebbe pensarci il registro nazionale degli impianti protesici mammari, in gestazione dal 2012, uscito a metà 2023 dalla fase di sperimentazione, oggi obbligatorio per tutti i medici (ma chi dovesse sorvolare sulla registrazione dell’intervento verrebbe soltanto sanzionato con un’ammenda da 500 a 5mila euro). In base alle attività di sorveglianza effettuate dal ministero della Salute, le pazienti sono circa 41mila l’anno e sono circa 57mila le protesi mammarie impiantate mediamente ogni anno tra il 2011 e il 2022. Secondo i dati di vendita delle protesi, il 63% risulta impiantato per finalità estetiche, il 37% per finalità ricostruttiva. Mentre, in base ai dati, seppur parziali, del monitoraggio sperimentale il 53,4% degli interventi è a fine ricostruttivo. Quindi, o alcuni interventi vengono fatti “passare” come ricostruttivi, ma sono estetici, oppure quelli estetici non vengono registrati. In merito, il ministero della Salute, contattato da L’Espresso, non ha risposto. Mentre il dottor Santanchè, a proposito dell’introduzione dei registri per gli impianti protesici mammari, commenta: «Si tratta di sicuro di un ottimo sistema di controllo e monitoraggio. Ottimo soprattutto qualora si verificassero dei richiami. Vedremo se tutti i medici lo utilizzeranno perché ci potrebbero essere carenze nel sistema di verifica e controllo, sia a livello centrale sia a livello regionale. Inoltre resta irrisolto il problema della professionalità: quello che manca in Italia è la certezza di chi mette queste protesi, perché non c’è l’obbligo della specializzazione. La legge, infatti, dice che – a fini estetici – il medico che può intervenire può essere un chirurgo plastico, un chirurgo toracico, un ginecologo, un chirurgo di chirurgia generale o aver svolto attività chirurgica equipollente a quella svolta in chirurgia plastica nei cinque anni antecedenti all’entrata in vigore della normativa 86 del 2012. Insomma, c’è una vasta pletora di camici bianchi non specialisti in chirurgia plastica che fa questo mestiere. E non si è ancora capito quali sarebbero le attività equipollenti e come certificarle: tanto più che si accontentano di un’autocertificazione. Abbiamo assistito a interventi di mastoplastica additiva eseguiti dall’oculista o dal cardiologo che hanno lasciato danni non indifferenti».
(da lespresso.it)

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