IL SUD SPENDE POCO E MALE I FONDI EUROPEI
LE RISORSE EUROPEE SI PERDONO IN UNA VORAGINE DI GARE IRREGOLARI E INCAPACITA’ GESTIONALI
La spesa “cattiva”. Quella del Mezzogiorno, dove i fondi europei si perdono in una voragine fatta di gare irregolari e incapacità gestionali.
Di chi è la colpa? Non tutto risiede nelle responsabilità di chi amministra le Regioni del Sud. Anche la macchina centrale, chiamata a guidare le Regioni nell’utilizzo delle risorse che arrivano da Bruxelles, l’Agenzia per la Coesione territoriale, si è inceppata.
Nata con il governo Letta e confermata nella sua struttura da Matteo Renzi, l’attività dell’Agenzia non sembra sufficientemente capace a invertire il trend negativo.
Un numero su tutti: a luglio 2016 è stato speso solo il 2,16% dei fondi strutturali previsti per il periodo 2014-2020, che ammontano a un totale di 64 miliardi di euro. Considerando che a luglio si è esaurito già il 40% dei 7 anni a disposizione per la spesa, il forte ritardo è evidente.
Un affresco infelice, che si inserisce nella cornice di un quadro che vede il Sud fanalino di coda in molti settori.
Il Pil, l’indicatore per eccellenza del benessere economico-sociale, è emblematico: secondo quanto emerge dai conti economici territoriali dell’Istat, nel 2015 il prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno è risultato inferiore del 44,2% rispetto a quello registrato nel Nord. In soldi fanno una media di 17.800 euro per chi vive al Sud, 33.400 euro per chi vive nel Nord-Ovest. Come sta il paziente Sud?
Non è vero che al Sud non ci sono risorse per la crescita
Se si prendono in considerazione i fondi strutturali per il periodo 2014-2020, l’Italia ha disposizione 64 miliardi di euro che per più di 2/3, pari a 44 miliardi, provengono dal bilancio della Commissione europea. Quasi 2/3, ovvero 42 miliardi, devono essere spesi nelle Regioni del Sud (Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata).
Si tratta di una cifra enorme e per rendersi conto basta fare qualche breve confronto. L’Italia e la Commissione europea litigano da mesi per uno scostamento tra il deficit previsto dal Patto di stabilità e il deficit proposto dalla legge di stabilità che è pari allo 0,5% del Pil. Lo 0,54% del Pil è pari circa 6 miliardi di euro, circa otto volte i 44 miliardi di euro dei fondi strutturali per la sola parte che viene interamente dall’Europa.
Alla luce di questi dati, la discussione che anima i rapporti tra Roma e Bruxelles è riassumibile in una considerazione: chiediamo all’Europa di poter spendere di più soldi che sono dell’Italia e nessuno si preoccupa di come l’Italia spende molti più soldi che sono invece dell’Europa.
Il paradosso dei fondi strutturali. Il Pil al Sud potrebbe crescere del 2,3% all’anno
Quarantadue miliardi di fondi strutturali da spendere al Sud in sette anni che sono, circa 6 miliardi all’anno: una cifra che è pari al 2,3% della somma del Pil delle cinque Regioni del Sud messe insieme.
Ciò equivale a dire che se i fondi strutturali potessero essere distribuiti in maniera automatica, senza alcuna intermediazione, all’inizio di ogni anno direttamente a ogni cittadino del Sud, avremmo un aumento del Pil di quelle Regioni superiore al 2% all’anno.
Ed invece ad occuparsi della spesa c’è una Pubblica amministrazione pagata per aggiungere valore e non per sottrarlo: il risultato finale è che, invece, il Sud sta crescendo (0,4%) quattro volte di meno rispetto ad un’ipotesi di distribuzione automatica. In altre parole, l’intermediazione della Pubblica amministrazione, che pure costa, riesce a farci perdere un punto e mezzo di Pil all’anno.
Ma questi soldi non riusciamo a spenderli
Per spendere questi 42 miliardi bisogna passare attraverso la macchina dell’Agenzia della Coesione, nata per accelerare la spesa.
Peccato che fino a luglio 2016 sia stato speso solo il 2,16% dei 64 miliardi a disposizione dal 2014 al 2020. Un valore molto inferiore rispetto a quello previsto dalla stessa Agenzia per la fine del 2016.
Nelle slide della stessa Agenzia si rende evidente che invece avremmo dovuto spendere già quasi 6 dei 44 miliardi che la Commissione europea mette a disposizione dell’Italia. Invece la spesa non arriva a un miliardo.
La spesa “cattiva”…
Lo dimostrano i numeri relativi, sempre ai fondi strutturali, ma che fanno parte della programmazione relativa al periodo 2007-2013.
A fine 2013 c’era un forte non speso e il governo italiano ha dovuto fare i salti mortali per recuperare. I dati della Ragioneria Generale dello Stato dicono che nel 2015 le cinque Regioni del Sud hanno “speso” più di 14 miliardi di euro (sette volte di più di quello che avevano speso nel 2014).
La Svimez ha recentemente celebrato come un successo il 2015, che ha visto una ripartenza del Sud con un aumento del Pil dell’1% (che però ritorna ad essere lo 0,4% nel 2016, la metà del tasso di crescita del Centro Nord). Peccato che 14 miliardi di euro sono il 5% quasi del Pil totale del Mezzogiorno: come dire le Regioni del Sud hanno effettuato nel 2015 investimenti pari al 5% del proprio Pil (a cui si aggiungono gli investimenti fatti dai ministeri che spendono fondi strutturali nel Sud), ma di 4 di questi 5 punti si è persa qualsiasi traccia.
Ci sono solo due possibili spiegazioni: o la “spesa” era falsa (è frequente la pratica di portare a rendicontazione dei programmi fatture relative a progetti finanziati con spesa pubblica nazionale per non subire l’onta del definanziamento da parte della Commissione) o, invece, la spesa era di così pessima qualità che non ha avuto alcun effetto.
…dipende in buona parte dalla gare che sono, quasi sempre, irregolari
Qui ci sono i dati dell’Economist che forniscono una chiave di lettura. Nel numero di fine novembre è contenuta un’analisi che fa luce su questo aspetto. Se nel 2006 in Italia il 15% delle gare per affidamento di lavori pubblici riceveva una sola offerta, nel 2015 ciò ha riguardato un terzo degli affidamenti.
Questo fenomeno è in crescita in tutta l’Europa, ma – come dice il giornale britannico citando studi di Oecd e dell’Università di Cambridge – riguarda specialmente i programmi cofinanziati dalla Commissione europea, come i fondi strutturali e specialmente l’Italia.
In Italia, poi, particolarmente, è pesante nelle gare per l’affidamento della consulenza alle amministrazioni pubbliche. Le gare presentano, sempre di più, anche solo per poter essere ammessi alla procedura, requisiti di fatturato sulla consulenza sui fondi strutturali talmente elevati da essere alla portata di pochissime società “incumbent”, come dimostrano i dati del ministero dell’Economia sulla distribuzione assai concentrata di tali contratti.
In pratica laddove ci sarebbe bisogno di ricambio, i consulenti già presenti nelle amministrazioni si cuciono addosso capitolati in maniera da escludere tutti gli altri. Con danni enormi sulle regole della concorrenza. Sulla necessità di fare innovazione. Sulla possibilità delle amministrazioni di poter scegliere.
E, infine, sui risultati che cittadini meridionali e contribuenti europei hanno dalla spesa dei fondi strutturali. Questa situazione, peraltro, riguarda non solo le Regioni. Ma anche i ministeri che spendono fondi strutturali sul Sud. E anche gare fatte da quella Consip che pure nacque per razionalizzare i processi di appalto.
Di chi è la colpa?
I punti evidenziati richiamano responsabilità . Il neo governo Gentiloni ha scelto di guardare al Sud con attenzione, conferendo all’ex sottosegretario Claudio De Vincenti l’incarico di guidare il ministero senza portafoglio con delega al Mezzogiorno. Dovrà partire da qui. Da una spesa “cattiva” su cui sarebbe opportuno accendere un faro.
Che fare?
Huffington Post ha chiesto una “ricetta” a Francesco Grillo, docente di politica economica e visiting scholar all’università di Oxford, dove ha appena scritto un libro (“Innovazione, democrazia ed efficienza: il caso delle politiche regionali di innovazione in Europa”, edito in inglese da Palgrave) su cosa rende le Regioni europee più o meno capaci di mettere in campo politiche di sviluppo efficaci.
“A mio avviso – sottolinea Grillo – dovremmo innanzitutto partire dalla consapevolezza che il problema del Sud non è in termini di risorse: i finanziamenti sono ingenti e la questione della loro spesa efficace deve diventare oggetto di dibattito in grado di coinvolgere le opinioni pubbliche che ne pagano il conto. Anche perchè spendere bene questi soldi può essere sufficiente per fare una differenza significativa in termini di crescita dell’intera Italia”.
“Dovremmo poi – aggiunge – rinunciare alla retorica e all’ideologia. Spendere bene queste risorse non ha un colore politico. Per riuscirvi abbiamo bisogno di organizzazione. Di persone competenti e di incentivi che premino chi ottiene risultati e scoraggino chi spreca. Ed invece troppo spesso abbiamo mantenuto sempre le stesse squadre (dirigenti pubblici e consulenti) nonostante le sconfitte. A questo proposito ci sono eccezioni: Regioni come la Puglia, ad esempio, che ha ottenuto risultati migliori. Anche se recentemente ci sono state accelerazioni poderose per evitare di perdere finanziamenti abbiamo sempre la stessa squadra per colpa delle regole sul turnover nell’amministrazione pubblica che impedisce l’ingresso di nuove persone. Ma anche perchè gli apporti di professionalità esterne vengono fatte con gare che premiano la continuità e escludono l’innovazione”, prosegue.
“C’è, a suo avviso, un fattore che più degli altri incide sul fatto che al Sud la spesa sia gestita in modo sbagliato?”, chiediamo.
Risponde Grillo: “Ormai il ritardo di sviluppo sembra essere vissuto dai cittadini meridionali come condizione permanente. A cui consegue la dipendenza dall’aiuto pubblico. Una specie di metadone che tiene in vita classi dirigenti (fatta di politici, consulenti, commercialisti, avvocati, formatori e altri mestieri nati attorno ai fondi strutturali) e che hanno fatto da tappo allo sviluppo del Sud, espellendo la parte migliore di tante generazioni. In realtà per gestire le politiche di sviluppo – che, sempre, di più sono fondate sull’innovazione e sulla specializzazione di Regioni e città – occorrono competenze nuove, in alcuni casi sofisticate. Ovviamente maturate in contesti internazionali. Perchè se non sai cosa fanno le altre Regioni o le altre città europee sarà impossibile capire, ad esempio, su quali clienti può puntare un’azione di rilancio del turismo a Catania su cosa può realisticamente competere un distretto dedicato all’aerospazio in Puglia”.
(da “Huffingtonpost“)
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