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IL VERDE PUBBLICO E’ SEMPRE PIU’ MARCIO: SENZA FONDI E A CORTO DI PERSONALE, I COMUNI NON RIESCONO A GARANTIRE LA MANUTENZIONE

IN CAMPAGNA ELETTORALE NESSUNO NE PARLA, EPPURE I SINDACI SAREBBERO TENUTI PER LEGGE A PRESENTARE IL LOTO “BILANCIO ARBOREO”

La rappresentazione plastica del disastro sono le centinaia di portavasi lasciati vuoti nel semenzaio comunale di San Sisto, a Roma.
Sopra c’erano piante di azalea ora sparite, depredate dalle coop di Mafia Capitale con la complicità  ben retribuita di funzionari infedeli.
È l’esempio, il peggiore certo, di quello che può accadere quando, con i Comuni senza più nè uomini nè risorse per far fronte alla manutenzione ordinaria e straordinaria, i 550 milioni di metri quadrati di alberi, prati, fiori, viali e parchi che compongono il verde pubblico italiano (dati riferiti ai 120 capoluoghi di provincia) vengono dati in gestione ai privati.
Un patrimonio che diviso per il numero di italiani corrisponde a 30,3 metri quadrati per abitante, un dato che non ci metterebbe nemmeno male in un’ipotetica classifica mondiale.
A New York, per dire, ogni cittadino ha a disposizione 23,1 metri quadrati, a Parigi 11 e mezzo: ma provate a cercare un arredo rotto o rifiuti abbandonati a Central Park o nel Giardino delle Tuileries.
O nei parchi di Londra, che sono comunque immensi e fanno dei londinesi dei cittadini fortunati con i loro 105 metri quadrati a testa.
Ai romani ne toccano 16,5 a testa, ma ci sono 20mila alberi ridotti a un mozzicone che aspettano di essere sostituiti, panchine spaccate, prati che sembrano giungle. Consola poco quindi il recentissimo rapporto Istat sul verde urbano che segnala qualche progresso quantitativo (nel 2014 ogni cittadino italiano che vive nelle città  capoluogo disponeva in media di 31,1 metri quadri, con forti differenze regionali) ma non lo stato qualitativo.
La foto sfocata delle statistiche.
“Il problema è proprio questo: il degrado del verde pubblico. I dati statistici non riescono a cogliere l’aspetto decisivo della qualità  di prati, alberi, attrezzature. Anche i dati che pubblichiamo nel nostro rapporto annuale ‘Ecosistema urbano’ ci dicono, per esempio, che Matera ha quasi mille metri quadrati di verde per abitante, ma non ci dicono in che condizioni si trovano e se per raggiungerlo devo prendere la macchina o ci posso andare a piedi, non ci dicono se le panchine ci sono o sono devastate”, sottolinea Alberto Fiorillo, responsabile Aree urbane di Legambiente.
La riprova sta nelle centinaia di comitati a difesa del verde che si contano in Italia. E sta nei dati del sondaggio fatto nel 2013 da Eurobarometro in 79 città  e 4 agglomerati urbani europei sulla precezione della qualità  del verde urbano. Il 71% dei napoletani e 6 palermitani su 10 si dichiarano insoddisfatti dello stato dei loro parchi e giardini.
Un tesoro urbano.
Eppure il verde urbano è un bene prezioso. “È importantissimo per i comportamenti della popolazione. Il verde è il colore della calma — dice Mariella Zoppi, dicente di Urbanistica, presidente del corso di laurea magistrale in Architettura del paesaggio all’Università  di Firenze – quindi svolge una funzione psicologica, sociale. Sotto il profilo ambientale, poi, ha effetti benefici sulla qualità  dell’aria. Io credo che sia un elemento fondamentale nella transizione verso una nuova società . Per questo considero sbagliato il taglio della spesa pubblica in questo settore”.
Legge quadro.
Da tre anni è in vigore la legge 10/2013, una vera e propria legge quadro sullo sviluppo e la salvaguardia del verde pubblico in Italia.
Il fulcro è il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito presso il ministero dell’Ambiente. E’ al Comitato che è demandato il controllo sulle norme che riguardano la tutela degli alberi monumentali, del rispetto dell’obbligo per i Comuni sopra i 15mila abitanti di piantare un albero per ogni bambino nato o adottato.
E’ il Comitato, ancora, che emana circolari attuative della legge e che indica i criteri che le amministrazioni territoriali devono seguire in materia di urbanizzazione per mantenere e incrementare il verde pubblico con particolare riferimento agli alberi.
Le sanzioni, amministrative e penali, sono previste solo nei casi di abbattimento o danneggiamento delle piante monumento dei Parchi della rimembranza nati dopo la Prima Guerra mondiale, ma ci si sta attrezzando anche per gli alberi monumentali (anche se la definizione “monumentale” è ancora oggetto di dibattito) il cui censimento nazionale è a buon punto, mentre per quanto riguarda il rispetto della norma “un albero per ogni nato o adottato” la sanzione può essere solo “politica”.
“La legge — spiega Massimiliano Atelli, presidente del Comitato — introduce il ‘Bilancio arboreo’, ovvero il computo di quanti alberi ha trovato un sindaco al suo insediamento e quanti ne lascia alla fine del mandato. Saranno poi i cittadini, con il voto, a sanzionare o premiare il suo operato”.
Strumenti ignorati.
Le amministrazioni locali hanno tre strumenti di governo per parchi e giardini: Censimento del verde, Regolamento del verde e Piano del verde.
Il primo fa una fotografia precisa di quello che c’è in una città : quanti alberi, di che specie e in quale condizione di salute si trovano.
A redarlo sono stati 53 capoluogo di provincia sui 73 analizzati dal X rapporto Ispra. Il Regolamento deve indicare invece prescrizioni e indicazioni tecniche sulla progettazione del verde (sia pubblico che privato).
Lo hanno adottato solo 36 Comuni, 7 dei quali solo per ciò che riguarda il verde pubblico.
Poi c’è il Piano, lo strumento più ignorato. Dovrebbe integrare la pianificazione ubanistica per dare una “visione strategica sullo sviluppo del sistema del verde urbano e peri-urbano”, come si legge nella Relazione 2015 del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico.
In Italia lo hanno approvato solo sei comuni capoluogo (Savona, Reggio Emilia, Bologna, Ravenna, Forlì e Taranto), mentre Milano e Bergamo hanno norme in materia nel Piano per il governo del territorio.
Il tradimento dell’albero per ogni nato.
In attesa del giudizio elettorale, però, sono pochi i Comuni che piantano un albero per ogni neonato. Nella legge è previsto che i municipi inviino a chi ha registrato il proprio figlio all’anagrafe un certificato in cui si dice che tipo di albero è stato piantato e dove. Fantascienza.
A Firenze si pianta un albero per ogni classe d’età : c’è quello del 2001, del 2002 ecc. A Torino si è esteso il concetto anche agli arbusti, in altre città  della norma si è persa traccia.
“A Roma ci sono 25mila nuovi nati all’anno. Non saprei come pagarli considerando che ognuno costa 300 euro fra impianto e manutenzione nei primi due anni. E poi in 10 anni fa 250mila alberi, una foresta. Dove li mettiamo?”, si giustifica Antonello Mori, direttore del dipartimento per la Gestione ambientale e del Verde del Comune di Roma.
“Quella del territorio a disposizione è una scusa — sostiene Massimiliano Atelli — la legge prevede che che si possano chiedere terreni in prestito al Demanio. O che si usino gli alberi previsti per i neonati per sostituire quelli abbattuti”.
E comunque 250mila alberi in dieci anni non possono spaventare se Sadiq Khan, neosindaco di Londra, ha annunciato di voler piantare due milioni di alberi in 10 anni. “In Cina ne vogliono piantare un miliardo da qui al 2020”, chiosa Atelli.
Risorse scarse.
A preoccupare sono le risorse, sia in termini di soldi che di personale, con cui i responsabili del verde pubblico dei vari Comuni devono fare i conti. “Le faccio l’esempio del mio Comune — dice Stefano Cerea, presidente dell’Associazione italiana direttori e tecnici dei pubblici giardini — Da trent’anni lavoro a Treviglio, 30mila abitanti, provincia di Bergamo. Lo scorso anno per far fronte a tutta la gestione del nostro verde pubblico avevo un budget di 230mila euro, quest’anno saranno 150mila”. “Noi – aggiunge Mori — oggi abbiamo mezzo centesimo per ognuno dei 40 milioni di metri quadrati di verde che gestiamo a Roma”.
L’associazione che Cerea presiede è nata 60 anni fa e conta 400 iscritti in rappresentanza di 200 Comuni.
Prima erano ammessi solo i dipendenti degli enti locali, da tre anni è stata aperta ai funzionari delle municipalizzate perchè spesso i Comuni ricorrono a loro per la gestione del verde.
“Non sempre con grandi risultati — ammette Antonello   Mori — a Roma con Ama, per esempio, si è aperto un contenzioso sulla gestione delle aree per i cani nei giardini pubblici. Chi deve raccogliere gli escrementi e disinfettare l’area? Per noi loro, si tratta pur sempre di rifiuti speciali. Ma Ama non la pensa così”.
Responsabili Servizio giardini nel mirino.
“Poche risorse, ma oneri immensi per i responsabili dei Servizi giardini — dice ancora Stefano Cerea — perchè se un albero cade, in città , stia sicuro che fa danni. A volte, purtroppo anche delle vittime. E’ accaduto ultimamente a Roma, a Catania, a Napoli. E l’avviso di garanzia dopo il sindaco colpisce il responsabile tecnico. Non solo, siamo anche indicati spesso come nemici del verde dagli ambientalisti, magari perchè abbiamo tagliato degli alberi potenzialmente pericolosi. Tre anni fa il dirigente del verde pubblico di Padova si è visto recapitare una busta con un proiettile”.
Pochi e invecchiati.
Sul fronte delle risorse umane il problema arriva da lontano, dal 1975 quando la chiamata diretta nella pubblica amministrazione è stata cancellata e non è stato più possibile assumere chi usciva dalle scuole giardinieri, le scuole di formazione dei Comuni.
Dal 2001, poi, nel Pubblico Impiego c’è il blocco del turnover, è possibile un’assunzione ogni 5 pensionamenti.
E questo ha riflessi sull’organico in termini quantitativi. “Ma da noi a Roma il blocco è iniziato prima, di fatto non ci sono assunzioni dal 1990 e dei 1800 addetti del Servizio Giardini presenti nel 1980 oggi di operativi ne restano 250, con un’età  media che supera di gran lunga i 50 anni”, dice ancora Antonello Mori.
E’ vero però che a Roma nel 2004 ci fu una corsa a trasformare i giardinieri in personale tecnico, così sul campo rimasero 270 persone in meno. Fu di fatto l’apertura agli appalti esterni, molto spesso per affidamento diretto, un meccanismo che ha permesso al sistema di Mafia Capitale di fare man bassa.
Sponsor e mecenati.
Problemi di gestione che appaiono insormontabili, quindi, anche se proprio la legge 10 permette di affidarla ai privati.
Due le strade che si possono seguire.
La prima è quella della sponsorizzazione: un’azienda sceglie un giardino o un parco e si impegna nella sua manutenzione o al suo ripristino presentando un progetto all’amministrazione comunale che lo approva e poi controlla che tutto venga fatto secondo i criteri decisi. In cambio lo sponsor può utilizzare lo spazio per eventi, campagne pubblicitarie e altre iniziative, garantendo però sempre la fruibilità  pubblica. Una modalità  applicata con successo in particolare a Milano.
La seconda strada la indica Antonello Mori, del servizio Verde pubblico di Roma: “E’ quella del mecenatismo. Ben vengano i privati, le aziende, ma niente uso esclusivo del bene. Un cartello ricorderà  chi ha finanziato la manutenzione del giardino. Di più non concediamo. Sta funzionando.
L’esempio più recente è il ripristino del Giardino degli aranci sull’Aventino”. “Su questo — precisa Atelli — noi siamo a disposizione per consigli e aiuti pratici. Purtroppo molti ci ignorano, preferiscono fare da soli, o anche non fare niente”. E intanto parchi e giardini vanno in malora.

(da “La Repubblica”)

This entry was posted on mercoledì, Maggio 25th, 2016 at 14:24 and is filed under Ambiente. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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