ILVA, SI VOTA PER LA CHIUSURA, AI SEGGI 4.300 TARANTINI
VIA AL REFERENDUM CONSULTIVO, SI SCEGLIE SE LASCIARE APERTO TUTTO O PARTE DELLO STABILIMENTO SIDERURGICO… L’OBIETTIVO DEGLI AMBIENTALISTI, LE RAGIONI DELLA CITTA‘
Comunque vada, non cambierà nulla.
Eppure, dicono, potrebbe cambiare tutto
Alle 12 di oggi aveva votato al referendum consultivo cittadino pro o contro la chiusura parziale o totale dell’Ilva di Taranto, il 4,4 per cento degli elettori.
Lo si apprende dal Comune di Taranto.
La percentuale corrisponde a circa 4300 elettori.
Perchè il referendum sia considerato valido deve raggiungere il quorum del 50 per cento più uno degli elettori, ovvero 86.351 su un corpo elettorale totale di 173.061 di cui 91.101 donne e 81.960 uomini.
I seggi sono aperti da oggi alle 8 e chiuderanno alle 22.
Per ragioni di costo economico, il Comune di Taranto, che per il referendum affronterà una spesa di circa 400mila euro, ha compattato i seggi elettorali, riducendoli da 190 a 82.
Il Comune ha costituito 82 sezioni, in 19 scuole e una nell’ospedale Santissima Annunziata.
Gli elettori di Taranto sono chiamati alle urne per dire se vogliono la chiusura di tutto lo stabilimento dell’Ilva “per tutelare la salute vostra e dei lavoratori dall’inquinamento” o se invece preferiscono la chiusura della sola area a caldo.
In sostanza viene chiesto ai cittadini di risolvere quello che la politica negli ultimi 30 anni non è riuscita a fare: sciogliere la dicotomia più odiosa e assurda, quella tra il diritto al lavoro e diritto alla salute, ammettendo di fatto l’incapacità a realizzare quello che in tutto il resto del mondo accade.
Fare cioè convivere i due diritti, producendo acciaio senza produrre malattie.
Il referendum è consultivo.
Dal risultato il Comune dovrebbe trovare spunto per decidere come comportarsi con l’azienda, pur avendo l’amministrazione comunale solo un potere sanitario.
Ha votato anche il sindaco Ippazio Stefà no alla guida di una maggioranza di centrosinistra: non ha indicato la sua preferenza, ma ha invitato i cittadini ad andare alle urne.
Due sono le schede che vengono consegnate agli elettori, una chiede un sì o un no alla chiusura totale della fabbrica, l’altra un sì o un no alla chiusura parziale.
L’elettore, se lo vuole, può anche chiedere di votare solo per uno dei due quesiti referendari.
Alla chiusura dei seggi si procederà allo spoglio.
Se si dovesse arrivare a una cifra di votanti che va dal 20 al 30 per cento, sarebbe un trionfo, dicono: tutti i partiti politici, con l’esclusione del Movimento 5 stelle e Radicali, parlano di libertà di scelta.
Stessa indicazione dei sindacati. Sel è per la chiusura della solo area a caldo.
Solo i movimenti ambientalisti spingono per il voto, con due sì.
Il significato che c’è dietro quelle schede è fortissimo: c’è la prova della consapevolezza, quella che negli ultimi 20 anni è mancata a Taranto.
Quando Riva veniva condannato a fine anni ’90, le aule di giustizia erano vuote, i giornali lasciavano in pagina un colonnino per riportare la notizia.
Nelle scuole quando chiedevi ai ragazzi cosa volessero fare da grandi, ti dicevano senza pensarci un secondo Ilva.
Oggi alla stessa domanda, “qualcuno vorrebbe lavorare al siderurgico?”, in una scuola superiore nessuno alzerebbe la mano. L’llva era un dogma.
Da qualche tempo è diventato un mostro.
Andare al voto oggi significa oggi per la città esorcizzare una paura, scegliere è probabilmente una sconfitta (“contrapporre diritto alla salute e diritto al lavoro significa fare il gioco dell’azienda, significa far passare il messaggio che le due cose non possono convivere, approvare una bugia” dicono gli avversari più lucidi del referendum oggi), ma fino a qualche anno fa ipotizzare un referendum a Taranto era assurdo, una cosa che potevano dire i pazzi.
Prova ne sia quanto la vecchia Ilva temesse questa consultazione.
Tanto sapevano che il referendum da un punto di vista pratico non avrebbe portato a nulla, tanto però ne conoscevano la portata evocativa.
Non è un caso la telefonata del 29 luglio del 2010 tra il pr dell’Ilva, Girolamo Archinà (oggi in carcere) e il sindaco Ippazio Stefano (che oggi sarà alle urne, ma non ha indicato cosa voterà ).
Dice Archinà : «La data del referendum… la più lontana possibile».
E Stefà no: «Va bene».
Archinà : «Per farci stare un po’ tranquilli».
Stefà no: «Tranquilli, va benissimo, ciao Girolamo».
Si vota oggi.
Chissà se stanno un po’ tranquilli.
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica“)
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