IN ITALIA 40.000 RIFUGIATI POLITICI
SONO A CARICO DI COMUNI E PROVINCE, MA MOLTI VENGONO DA PAESI DEMOCRATICI… UN BUSINESS TUTTO ITALIANO TRA ASSOCIAZIONI, AVVOCATI, SINDACATI….ANCHE SE NON VIENE ACCETTATO LO STATUS, RESTANO IN ITALIA PER ANNI FACENDO RICORSO
Un vero e proprio business, di dimensioni colossali, che coinvolge associazioni umanitarie, sindacati, avvocati: è quello dei rifugiati politici, una vera e propria industria a carico dei bilanci dello Stato. Lo status di rifugiato politico, quando è autentico, ovviamente merita il massimo rispetto ed è tutelato dall’art. 10 della Costituzione che sancisce che “lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio delle libertà democratiche, ha diritto di asilo”. Una norma rafforzata dal diritto internazionale e da varie convenzioni cui l’Italia aderisce.
Per evitare abusi, a livello europeo, ci si è attrezzati appositamente.
La Convenzione di Ginevra chiarisce che non sono rifugiati, ad esempio, coloro che fuggono da calamità naturali, economiche o da rivolgimenti politici e bellici del proprio Paese di origine.
Il rifugiato è tale solo nel caso di “persecuzione individuale”.
L’Italia, manco a dirlo, è divenuta il buco nero della rete, il Paese dove è più facile raggirare le norme internazionali e le direttive europee. Contiamo ben 40.000 rifugiati, quasi superiamo la Francia e la Gran Bretagna che sono pure ex grandi imperi coloniali.
La Svizzera per capirci ha 123 rifugiati, la Norvegia 234.
Da noi il rifugiato deve inoltrare domanda alla Questura del luogo di approdo e chiedere lo status, essa viene trasmessa quindi a una delle sette commissioni territoriali previste ( Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani). Si valuta la richiesta scritta e si procede ad audizione del richiedente.
Nel 2007, in Italia, sono state avanzate 14.053 richieste: il 9,5% ha avuto subito il riconoscimento di “rifugiato politico”, al 46,8% è stato concesso uno status intermedio di “protezione umanitaria” di rifugiati a tempo (nessuno però torna mai indietro…). Spesso le Commissioni, oberate di lavoro, accordano protezione a chi proviene da Paesi che il nostro Ministero degli Esteri e l’Unione Europea giudicano perfettamente democratici.
Sono saltate fuori domande di asilo, accettate, in cui il richiedente affermava di essere perseguitato da dittatori morti da tempo. A Torino la polizia ha scoperto un giro di “preparatori di storie” che per 300 euro scrivevano i dettagli inventati di persecuzioni e torture.
Chi ottiene il riconoscimento viene mantenuto poi dallo Stato, in strutture ad hoc. Ma quelli che non ottengono il riconoscimento (circa il 43%) mica vengono espulsi…
Ecco il grande affare che coinvolge presunte organizzazioni umanitarie, sindacati e avvocati. In caso di domanda respinta si può chiedere un riesame o fare ricorso al Tribunale civile ordinario competente per territorio. La via giudiziaria è quella preferita e ormai collaudata perchè, in attesa di un esame nel merito che richiede anni, porta quasi sempre alla sospensione del provvedimento di espulsione, motivata dalla ormai nota formula: “ Ritenuto presumibile che il ricorrente non sia stato messo in grado, in sede di provvedimento amministrativo, di illustrare la propria posizione, in quanto non assistito da interprete della lingua specifica dallo stesso parlata”…
Per l’assistenza legale ormai standard un avvocato chiede 4.000 euro. Dovrebbe pagare l’immigrato, ma, non avendo lui un euro, sapete chi paga?
Comuni e Province di competenza, con fondi statali.
L’aspetto più esilarante l’ ha introdotto il governo Prodi col decreto 251 del 2007 che fa venire meno l’obbligo della tempestività ….Ovvero un immigrato potrà ricordarsi quando vuole di essere un perseguitato politico, non obbligatoriamente nel momento in cui mette piede in Italia. Quindi anche dopo uno o due anni vissuti da clandestino per capirci…
Siamo o non siamo il bel Paese?
Leave a Reply