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INTERVISTA A CHIARA GRIBAUDO, VICE-PRESIDENTE PD: “REFERENDUM MOSTRA UN MALCONTENTO VERSO MELONI IN CRESCITA”

“SULLA CITTADINANZA TROPPE BUFALE ANCORA DA SMONTARE” (E TROPPA IGNORANZA ANCHE A SINISTRA)

La vicepresidente del Pd Chiara Gribaudo ha commentato a Fanpage.it i risultati dei referendum: “Questi 14 milioni di votanti dimostrano che c’è un pezzo di elettorato che inizia a sentire un malcontento nei confronti di Meloni. Sulla cittadinanza troppe fake news difficili da smontare, dopo anni in cui è stato costruito un clima di terrore”.
Il quorum del 50% più uno ai referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza non è stato raggiunto. L’affluenza alle urne si è fermata appena sopra il 30%. Il centrodestra ha letto il risultato come una sconfitta per la sinistra, che avrebbe voluto dare una “spallata” al Governo ma ha fallito. Le opposizioni invece hanno evidenziato gli “oltre 14 milioni” di elettori che sono andati alle urne, e la segretaria del Pd Elly Schlein ha fatto notare come siano “più di quelli che hanno votato la destra” alle politiche del 2022 (in quel caso 12,4 milioni). Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha promesso comunque che “La battaglia non finisce oggi”, perché ci sono oltre 14 milioni di votanti che chiedono risposte, e sono “un punto di partenza”. Ne abbiamo parlato con Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd.
Onorevole, il risultato dei ballottaggi è sicuramente positivo per il centrosinistra. Dopo Genova, Assisi e Ravenna, avete vinto anche a Taranto. Si piange con un occhio solo, visto il mancato quorum referendum?
È stato un ottimo turno amministrativo e per la prima volta abbiamo una sindaca donna a Genova. Dispiace per Matera: non ci aspettavamo la vittoria del candidato di centrodestra Nicoletti, che però avrà il Consiglio comunale contro, perché non ha la maggioranza. In generale i risultati confermano il lavoro che si sta facendo sulle amministrative, grazie al forte radicamento del Partito Democratico sui territori, e la costruzione di un nuovo fronte a
partire dai temi, nonostante l’esito referendario.
Perché secondo lei gli elettori non hanno sentito l’urgenza di andare a votare, nonostante il traino del secondo turno delle amministrative e della manifestazione contro il massacro a Gaza?
Su Gaza c’è un’attenzione molto forte, le immagini di bambini uccisi e senza cibo, sono strazianti e non possono lasciare indifferenti. Sulla bassa partecipazione ai referendum credo che c’entri molto il modo in cui sono state diffuse le informazioni. C’è stata forse una semplificazione eccessiva, una strumentalizzazione e una disinformazione spinta dal Governo. E quando stai al Governo sei più forte e puoi garantirti più ascolto. Le tv di Stato inoltre non hanno parlato del referendum per settimane. Su quanto avviene nella Striscia invece c’è un’indignazione forte verso il Governo che non dice niente di fronte al massacro di civili innocenti e di Netanyahu, la cui condotta criminale è stata censurata anche dalla Corte Penale Internazionale.
Però quest’indignazione poi non si è trasformata in una mobilitazione contro il Governo. Forse c’è stata un’eccessiva politicizzazione dei quesiti?
Penso abbia sbagliato chi ha cercato di politicizzare eccessivamente i referendum, così come chi ha cercato di strumentalizzarli, da una parte e dall’altra, proprio per la delicatezza dei temi, che meritavano invece cautela ed attenzione. Io credo abbia vinto la disinformazione, sulla cittadinanza soprattutto, ma non solo. Su certi argomenti, come le materie del lavoro, non credo che i referendum abrogativi siano lo strumento migliore da utilizzare. I quesiti non erano certo rivoluzionari, ma potevano essere un punto di chiarezza per alcuni, anche all’interno del Pd. Non per chi, come me, ritiene che certe cose siano state già ampiamente superate dalla storia. Ora
si tiri una riga, e mettiamo insieme ciò che nel mondo del lavoro cambiato, frammentato, non rappresentato, disilluso e stanco, merita invece di essere ascoltato e merita risposte serie e complessive. Penso a chi lavora nella logistica, sulle piattaforme, le partite iva o i giovani ingabbiati tra stage con poche prospettiva di crescita.
Anche secondo lei quindi questi referendum guardavano un po’ al passato?
Il tema dei diritti sul lavoro è sempre attuale, oggi forse più che mai. Serve una nuova grammatica dei diritti sul lavoro: penso al tema della disconnessione, la necessità di mettere l’ia a servizio anche del lavoro sicuro e di qualità. Bisogna trasformare le solitudini del lavoro in una vera e propria piattaforma politica e bisogna ricordare che questo governo vuole liberalizzare le forme più precarie del lavoro. E poi c’è il grande tema dei salari: siamo il Paese in Europa al fondo della classifica per la crescita dei salari reali negli ultimi quindici anni. Il referendum è stato una scommessa per la Cgil che noi abbiamo sostenuto, ma la verità è che servono politiche serie a livello di Governo, scelte necessarie per un’Italia in cui anche chi lavora è povero. E servono politiche industriali che sono totalmente assenti in questo governo. C’è stata una partecipazione forte, anche se non sufficiente e questo ci fa dire che bisogna riaprire un cantiere della sinistra più dialogante e più capace di costruire buone norme, a partire anche da una legge sulla rappresentanza. Credo ci sia una credibilità e una dimensione collettiva da ricostruire piano piano, nelle piazze e nei luoghi di elaborazione politica, superando l’individualismo che regna anche nei luoghi di lavoro e ha vinto nella nostra società dove ognuno pensa prevalentemente a sopravvivere e non guarda ai problemi degli altri. Proseguiamo da qui.
L’affluenza si è fermata poco sopra il 30%. Sono stati 14 milioni i
votanti, e secondo l’interpretazione del centrosinistra questi voti sono la base per far partire una rimonta che potrebbe mettere in difficoltà il centrodestra alle prossime elezioni. Però bisogna anche considerare che non si tratta soltanto di elettori del centrosinistra, ma in questo bacino ci sono anche elettori del centrodestra che ai seggi sono andati comunque, nonostante l’invito all’astensione da parte della maggioranza…
Questi 14 milioni di votanti dimostrano che c’è un pezzo di elettorato, per la verità molto volatile, che inizia ad esprimere un malcontento nei confronti di Meloni e vuole un’alternativa. Questo malcontento si riscontra anche tra gli elettori di centrodestra, nonostante i sondaggi. Perché tutti i decreti legge, dalle norme sui rave party al decreto Sicurezza, che sono vergognosi, non stanno rispondendo alle esigenze concrete della vita di tutti i giorni delle persone che non arrivano a fine mese, ma vogliono solo reprimere il dissenso. Niente risorse per le forze dell’ordine che si occupano della sicurezza, solo reati e carcere sono la risposta del governo in un Paese dove com’è noto le carceri sono sovraffollate e non sono comunque la risposta adeguata. La destra al governo non sta facendo politiche per aumentare i salari, per migliorare l’occupazione, che se aumenta è per via del PNRR, non certo per merito di quest’esecutivo, che non ha nessuna visione per il Paese. Il malcontento dunque cresce, perché vede la destra confusa sulla politica estera e senza visione sul Paese salvo propaganda, repressione, vittimismo. Certo l’alternativa ancora non è definita e questo non va bene. Dobbiamo lavorare con più forza: c’è un popolo che aspetta di essere coinvolto, che chiede coerenza, unità, meno primedonne e più contenuti. Serve essere più determinati.
C’è chi, anche all’interno del Pd, cito per esempio Pina Picierno, ritiene che i referendum siano stati un boomerang e un enorme regalo a Meloni. Condivide qualcosa di questa posizione?
Penso che sui temi del lavoro serva una discussione profonda e di merito dentro il Partito Democratico.
Come spiega invece il fatto che le percentuali dei Sì sui quesiti del lavoro sono al di sopra dell’80%, mentre per il quesito relativo alla cittadinanza, i No hanno superato il 34% e solo poco più del 65% dei votanti si è detto favorevole?
Non mi stupisce, perché quando parlavo con le persone ai banchetti, due erano le questioni che tendenzialmente mi poneva chi vota a sinistra, ma si informa sui social oltre che attraverso le trasmissioni televisive: da un lato le persone erano preoccupate che i referendum sul lavoro avrebbero fatto fallire le piccole aziende e dall’altra manifestano paura per gli stranieri, che avrebbero ottenuto la cittadinanza ‘facile’ dopo 5 anni, e ripetevano la solita fake news dei ‘tanti soldi’ che ricevono dallo Stato. Questo tipo di disinformazione è difficile da smontare dopo anni in cui è stato costruito un clima di terrore, creando nemici ad hoc, quindi è comprensibile che la paura alimenti i sentimenti dell’elettorato, anche di centrosinistra. Bisogna ammettere che su questi temi il Partito Democratico non è mai andato fino in fondo. Penso al superamento della Bossi-Fini, all’allargamento del decreto flussi o alla revisione delle politiche migratorie. Mi auguro che anche su questo si faccia chiarezza nel partito. Credo che la strada giusta sia chiudere le rese dei conti sul passato ed inaugurare una nuova stagione del centrosinistra, contemporanea, coerente, che dice quello che pensa e fa quello che dice. E la sinistra non deve aver paura di parlare di sicurezza dei cittadini e nemmeno di cittadinanza
Qual è la vostra proposta per riformare la cittadinanza?
L’opzione maggioritaria nel Pd oggi direi che è lo ius soli.
Come si può convincere chi ha paura degli immigrati che lo ius soli sia una buona soluzione?
Bisogna ragionare con molto pragmatismo. In questo Paese intanto abbiamo un problema di natalità e già oggi, se non ci fossero persone di origine straniera che lavorano regolarmente e versano i contributi, avremmo grossi problemi con le pensioni e con la sostenibilità del welfare state. Poi ricorderei che aggiungere a qualcuno diritti non li toglie a noi. Non dimentichiamoci inoltre le questioni prettamente economiche: senza i migranti le casse dello stato saltano ed il PIL va sotto lo zero. Questi sono dati di fatto, come è oggettivo che interi settori produttivi stanno in piedi solo grazie alle persone migranti. È un percorso difficile, sono stati commessi troppi errori, ma bisogna anche spiegare agli italiani che non si possono buttare al vento quasi un miliardo di euro di soldi pubblici per fare dei centri di detenzione in Albania. Dobbiamo far capire a tutti che gli egoismi e i nazionalismi non stanno aiutando a cambiare le cose. Su questo la sinistra deve essere più coraggiosa.
Lo strumento referendum va ripensato?
Probabilmente va ripensato, magari abbassando il quorum, anche se un quorum serve. Non mi preoccupa nemmeno la raccolta delle firme, si può anche ragionare di raccoglierne di più. Quello che è vergognoso è ciò che ha detto Tajani, secondo cui per la consultazione referendaria sono stati spesi tanti soldi inutilmente. Si preoccupi semmai di sprecare meno risorse per i centri di detenzione in Albania, visto che quei soldi potevano essere usati per fare una Finanziaria a favore della sanità pubblica. Alcuni dati: per questo referendum sono stati spesi 88,3 milioni, per i centri in Albania (del tutto inefficaci oltre che moralmente discutibili) 670 milioni. Per un
ipotetico ponte

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