INTERVISTA AD ANNE APPLEBAUM, PREMIO PULITZER: “L’ATTACCO ALL’IRAN E’ IRRESPONSABILE, IN ISRAELE LA DEMOCRAZIA E’ A RISCHIO”
“NON MI FIDO DI NETANYAHU, VUOLE SOLO UNA ESCALATION”… “L’EUROPA E’ UN FARO DI LEGALITA’”
“Sono scioccata”, dice su Zoom Applebaum appena tornata dalla palestra. “I raid sono stati lanciati alludendo già a un intervento Usa. E Trump non sa come condurlo. Diffido delle intenzioni della cricca estremista che guida Israele: ha creato deliberatamente una situazione pericolosa”. L’attacco sull’Iran punta a scatenare la guerra totale e non a liberare gli iraniani dagli ayatollah, secondo la storica e giornalista. Che è preoccupata per l’involuzione autoritaria nello Stato ebraico.
E ne teme una negli Usa: “Persone intorno a Trump potrebbero voler rinviare le elezioni di mid-term”. In questo scenario, “l’Europa è un faro della legalità e ha grandi opportunità”. Anche se ha la guerra alle porte. E, con tutto l’Occidente, ha di fatto tradito l’Ucraina: “Nell’autunno del 2022 poteva vincere, non l’abbiamo aiutata”.
L’esperta di regimi illiberali è stupita di come in Italia molti pensino che la guerra vada avanti perché vogliono continuarla gli ucraini: “Non capisco, sono posizioni che non ho sentito altrove e che non si fondano sulla realtà. La Russia si è sempre opposta al cessate il fuoco e a compromessi”.
Anne Applebaum, cittadina americana e polacca, firma di punta della rivista The Atlantic, ha vinto il premio Pulitzer nel 2004 per il saggio Gulag: A History. Il suo lavoro più recente, Autocrazie, è edito in Italia da Mondadori. Documenta come una rete di regimi autoritari si sta consolidando oltre le divisioni ideologiche e culturali, minando le democrazie e approfittando delle loro contraddizioni.
Anne, l’attacco israeliano all’Iran è solo un colpo a una teocrazia? O segnala che le pulsioni autocratiche e guerrafondaie hanno contagiato anche Stati con istituzioni finora considerate democratiche?
L’Iran rappresenta una delle principali fonti di instabilità globale. Finanzia gruppi terroristici. Ha dato origine a organizzazioni come Hezbollah, Hamas e gli Houthi. È un regime repressivo, discrimina le donne. E ha ordinato omicidi extragiudiziali, anche fuori dai propri confini. Conosco persone che sono state prese di mira dai servizi segreti iraniani all’estero. Insieme alla Russia, Teheran costituisce una delle minacce più gravi all’equilibrio mondiale. D’altra parte, Israele è governato da Netanyahu con una cricca di estremisti pericolosi e inaffidabili. Non mi fido del loro giudizio, né della loro capacità di gestire un conflitto circoscritto all’Iran.
Vuol dire che con la sua azione Israele diventa destabilizzante quanto l’Iran?
Colpisce l’irresponsabilità di chi lancia un attacco e allo stesso tempo fa capire che gli Stati Uniti dovrebbero intervenire. È scioccante. E l’idea di un cambio di regime non è realistica. Non credo l’obiettivo sia creare un Iran democratico e orientato all’Occidente. Diffido profondamente delle intenzioni del governo israeliano. Penso che stia creando deliberatamente una situazione estremamente pericolosa.
Gli oppositori di Netanyahu temono che stia cancellando la democrazia israeliana. È così?
La democrazia in Israele è in grave pericolo, riferiscono le mie fonti. Netanyahu sta accentrando il potere e politicizzando la magistratura. Già prima dell’attacco all’Iran, molti erano convinti che stesse prolungando la guerra a Gaza solo per restare al potere. Perché non appena la guerra finirà, gli israeliani chiederanno conto delle sue responsabilità.
Cosa pensa della possibilità che Vladimir Putin faccia da mediatore tra Netanyahu e l’Iran?
Putin è parte del conflitto, non vedo come possa mediarlo. È il partner di Teheran. Che gli ha venduto i droni Shahed in cambio di tecnologia, forse anche nucleare. Russia e Iran hanno un obiettivo comune: minare il mondo democratico. Putin non è un mediatore credibile.
Donald Trump potrebbe ordinare l’intervento americano. Secondo il Wall Street Journal, il presidente ha già approvato i piani d’attacco ma ha sospeso la decisione finale. Che combinerà?
Sull’Iran, Trump non ha alcuna strategia. Non ha idea di come condurre una guerra, né di quale ne sarebbe l’obiettivo. Non ha un piano per sostituire il regime iraniano. Attorno a lui ci sono persone con idee conflittuali. Se è incoerente o contraddittorio, è anche perché viene tirato in più direzioni. Lui ha solo istinti, non una visione. È imprevedibile.
E in politica interna Trump ce l’ha una strategia? Sta orchestrando uno stato di emergenza prima delle elezioni di mid-term?
A Los Angeles si è scelta la provocazione. Di fronte alle proteste, le autorità federali hanno esasperato la situazione. Hanno fatto intervenire la Guardia nazionale e poi, addirittura, i Marines. E non si trattava di disordini gravi. Si è creata così una narrazione televisiva: Marines che affrontano manifestanti neri nelle strade di L.A. Non so se sia un’idea di Trump, ma so che ci sono persone intorno a lui che vorrebbero creare un conflitto. Forse per rinviare le elezioni. Non posso dimostrarlo, ma è plausibile. Questi tipi non vogliono perdere. Stanno centralizzando il potere, minando le istituzioni, violando leggi.
Le istituzioni americane sapranno resistere alle pressioni autoritarie?
In California, il governatore si è rivolto alla magistratura per bloccare il dispiegamento della Guardia nazionale. I tribunali
unzionano. E così altri settori dello Stato. Non funziona il Congresso: il Partito repubblicano è remissivo, non esercita le proprie prerogative costituzionali. Il banco di prova sarà il voto. Vedremo se elettori e parlamento riusciranno a riprendersi il potere che spetta loro.
La sfida autocratica non risparmia l’Europa. Che lei descrive come vulnerabile. Ma è davvero così debole? La culla dello stato di diritto resta la terza economia mondiale. Sta diventando la star dei mercati finanziari. Non è che la Autocracy Inc. rischia di sbatterci il muso?
Non penso affatto che l’Europa sia debole. È vero che movimenti autocratici esistono in alcuni Paesi. Minano lo stato di diritto, la magistratura, i media, modificano le costituzioni per mantenere il potere. È il caso di Fidesz in Ungheria e di Diritto e Giustizia in Polonia.
Ma se queste forze verranno contenute, l’Europa ha il potenziale per diventare una potenza guida globale. È più che mai un faro di stabilità e legalità, capace di attrarre investimenti. Potrebbe anche divenire il rifugio di accademici e scienziati in fuga da autocrazie, autoritarismi e persecuzioni. Come fu l’America negli anni Trenta. Ci sono grandi opportunità per l’Europa, se saprà vivere i propri valori e promuoverli.
Come affrontare gli Stati membri che mantengono legami ambigui con regimi autoritari? È necessaria un’Europa “a due velocità”?
Oggi si usa l’espressione “coalizione dei volenterosi”: Paesi che decidono di agire insieme. È la strada da seguire. L’Ungheria è un caso speciale. L’Ue deve limitarne il diritto di voto, quando c’è di mezzo il suo leader. Orbán è alleato di Putin. Agenti ungheresi hanno spiato installazioni militari in Ucraina. Non si può parlare di tradimento, nel contesto europeo. Ma è un comportamento contrario
agli interessi comuni dell’Unione. E bisogna intervenire. Il tempo della tolleranza è finito.
I movimenti illiberali in Europa sono alimentati dalla propaganda del regime al potere in Russia?
La Russia amplifica tendenze già esistenti, ma certo non le crea dal nulla.
Pensa che la verità sia sotto assalto, nel mondo? Parecchia gente preferisce il falso al vero, la finzione alla realtà —per parafrasare Hannah Arendt. Basta un minuto su qualsiasi social per rendersene conto.
Non condividiamo più una realtà comune. Non siamo d’accordo nemmeno su cosa sia accaduto ieri. È grave: in democrazia diventa impossibile confrontarsi se non si riesce nemmeno a concordare su quale tema discutere. Le sfere pubbliche sono sempre più polarizzate e frammentate. Colpa proprio dei social. Che non sono testate giornalistiche. Regolarli e sottoporli a un controllo democratico non significa censura. Mi sorprende che democrazie europee abbiano lasciato che questi strumenti minassero i propri sistemi politici. Gli algoritmi dei social sono progettati per polarizzare, e lo fanno in modo del tutto opaco. Twitter, Facebook e simili non creano contenuti o idee: producono algoritmi per vendere pubblicità. Non sono pensati per favorire un confronto fondato sui fatti. Certo, si può immaginare un altro tipo di social media per il futuro. Ma oggi abbiamo questa roba qui.
Perché l’Occidente non ha voluto credere all’involuzione del regime russo che ha portato all’invasione dell’Ucraina?
Oh, alcuni di noi l’avevano prevista. Ma era legittimo sperare in un cambiamento. Se non altro perché molti russi lo volevano. Non è irragionevole neppure oggi pensare che la Russia possa un giorno
essere un paese diverso. Io lo credo ancora. Ho passato un bel po’ di tempo in Russia. Tante persone che ho incontrato volevano un futuro migliore. Non voglio togliere valore a quelle speranze. Erano reali.
E che abbiamo fatto per aiutare quelle speranze a concretizzarsi?
Leader europei come Angela Merkel credevano che il cambiamento potesse arrivare attraverso il commercio, il dialogo, il contatto. Dopo tutto, è così che crollò il muro di Berlino. E poi c’erano i soldi. In Russia si poteva guadagnare molto. Soprattutto i grandi gruppi del petrolio e del gas. Società con un enorme potere politico. E che volevano mantenere legami stretti con Mosca.
Democrazie occidentali complici di Putin, quindi. La city di Londra ha fatto miliardi, in Russia. E come agisce finanziariamente la “Internazionale delle autocrazie”, questa Spa globale protagonista del suo libro?
L’interdipendenza finanziaria tra Russia e Cina è ben documentata. La Cina esporta componenti elettronici che finiscono nella produzione militare russa. E vende sempre più beni di consumo in Russia. I legami sono profondi. Stiamo assistendo anche all’emergere di un sistema di pagamenti alternativo al dollaro e alle istituzioni occidentali, con Paesi come Iran, Venezuela e Russia impegnati a costruirlo. Ci sono investimenti incrociati tra Iran, Venezuela, Russia e Cina in Africa. Dove la Russia è molto presente nell’estrazione dell’oro e in traffici illeciti legati a questo metallo, spesso tramite Abu Dhabi e soprattutto Dubai. Si tratta di una rete vasta e complessa, ampiamente documentata.
Qual è stato il più grave errore delle democrazie occidentali riguardo alla guerra in Ucraina? Se dopo oltre tre anni la pace non è in vista, dobbiamo aver fatto qualche brutto sbagli
Quello di non aver aiutato l’Ucraina a vincere rapidamente. Nell’autunno 2022, con la riconquista di Kherson e parte della regione di Kharkiv, c’era l’occasione per porre fine alla guerra. Oggi si parla di negoziati e cessate il fuoco, ma in modo fuorviante. In Italia si sente dire che la guerra finirebbe se solo l’Ucraina rinunciasse alla Crimea o al Donbass. Ma i russi non hanno mai fatto proposte del genere, né mostrato in alcun modo la volontà di far tacere le armi. Attribuire la responsabilità agli ucraini che non vogliono smettere di combattere è assurdo. La guerra prosegue perché lo vuole la Russia. Gli ucraini sono pronti a negoziare da almeno due anni.
Il suo libro Autocrazie, anche se è scritto in modo brillante, tratta argomenti cupi. Eppure lo dedica “agli ottimisti”. Perché?
Perché molti dei miei amici sparsi per il mondo sono ottimisti. Persone che hanno lottato per la democrazia e per il progresso nei loro Paesi. Conosco tanti russi e iraniani che continuano a credere che un cambiamento sia possibile. E li ammiro profondamente.
(da Fanpage)
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