IRAN, DALL’ANTRACE DI SADDAM A TEHERAN NUCLEARE: LE FALSE PROVE PER ATTACCARE
QUANDO SI PERMETTE A UN GOVERNO DI ATTACCARE SEI STATI SOVRANI IN BASE A BALLE SMENTITE DAI SERVIZI USA
“Non m’importa quello che dice lei. L’Iran è molto vicino a produrre armi nucleari”. È sprezzante, Donald Trump, con Tulsi
Gabbard, la sua direttrice della National Intelligence. Lo scorso marzo Gabbard aveva testimoniato davanti a una Commissione del Senato, spiegando che “i nostri servizi continuano a ritenere che l’Iran non stia costruendo un’arma nucleare e che la Guida Suprema Khamenei non abbia autorizzato un programma di armi nucleari”.
Questa è rimasta la posizione dell’intelligence Usa fino all’attacco israeliano a Teheran, la settimana scorsa. Tra l’altro, come racconta la Cnn citando almeno quattro fonti dell’intelligence, non solo l’Iran non starebbe attivamente perseguendo la costruzione di un’arma nucleare, ma ci sarebbero voluti almeno tre anni prima che Teheran fosse stata in grado di produrne una e lanciarla contro un obiettivo.
La posizione israeliana è ovviamente diversa – “le informazioni che abbiamo ricevuto e condiviso con gli Stati Uniti sono assolutamente chiare, gli iraniani stavano lavorando a un piano segreto per trasformare l’uranio in un’arma. Stavano
procedendo molto rapidamente”, ha spiegato Benjamin Netanyahu – ed è questa valutazione che Donald Trump fa propria, affermando che Teheran è “molto vicina” alla produzione del nucleare militare.
La mossa del presidente ha uno scopo piuttosto chiaro. Giustificare l’intervento militare israeliano, che a suo giudizio serve a indebolire militarmente e politicamente l’Iran e portarlo ani militari davanti all’opinione pubblica globale. Le “prove” delle armi di distruzione di massa nelle mani di Saddam Hussein, portate da Colin Powell all’Onu con una serie di fiammeggianti PowerPoint, sono solo l’ultimo episodio – quello a noi più noto – di una lunga serie di bugie, depistaggi, alterazioni, falsificazioni che le amministrazioni americane, ma non solo, hanno messo in atto per “gestire il messaggio”, controllare l’opinione pubblica e andare, possibilmente, in guerra
Il precedente più vicino a quanto succede oggi – con la
trasmissione di intelligence, forse non completamente veritiera, da Gerusalemme a Washington – risale al 12 maggio 1915, quando gli inglesi fecero uscire il Bryce Report – dal nome del visconte James Bryce che presiedette la Commissione sui misfatti tedeschi in Belgio, occupato dalla Germania l’anno prima. Il rapporto parlava di sistematico massacro della popolazione, di donne violentate, di bambini usati come scudi di guerra, di case bruciate e saccheggiate da parte dei soldati prussiani “per i quali la guerra è una sorta di sacra missione”. Si trattava di atrocità completamente inventate, con le quali gli inglesi cercavano di orientare le opinioni pubbliche europee e statunitensi alla guerra contro la Germania. Da Londra furono inviate per nave 41 mila copie da distribuire negli Stati Uniti. Il 27 maggio 1915 tutti i giornali di New York riportarono I passi più brutali del rapporto. Gli stessi giornali furono peraltro invitati dal Committee on Public Information, l’organo di propaganda del governo, a non pubblicare nulla che potesse
mettere in discussione quanto arrivato da Londra.
Va detto che, a quel punto, gli americani non avevano comunque bisogno dell’esempio inglese per produrre (falsa) propaganda. Negli anni Quaranta dell’Ottocento, il presidente James Polk dichiarò al Congresso che il Messico aveva invaso gli Stati Uniti. Non era vero. È vero invece che nel 1846 la sua amministrazione ordinò ai soldati statunitensi di occupare un’area del Messico vicina al confine con il Texas. Quando i soldati messicani attaccarono le forze Usa, Polk dichiarò che si trattava di un attacco contro gli Stati Uniti. Il risultato fu la guerra tra Messico e Stati Uniti.
Mezzo secolo più tardi fu William McKinley a spararla grossa. Nel 1898, l’allora presidente Usa dichiarò che la Spagna aveva attaccato una nave da guerra statunitense a Cuba, la Uss Maine, uccidendo 355 marinai. La vera causa dell’affondamento non è mai stata davvero provata. L’ipotesi che gli spagnoli fossero i responsabili portò alla guerra ispano-americana. Un po’ meno di mezzo secolo, ed è la volta di Franklin D. Roosevelt, che nel 1941 sostenne che un sottomarino tedesco aveva attaccato una nave statunitense, la Greer, senza alcuna provocazione. La verità è che la Greer stava proteggendo navi britanniche che attraversavano l’Oceano Atlantico e aveva anzi seguito il sottomarino tedesco, informando gli inglesi della sua rotta. La presunta provocazione servì al presidente per preparare gli Stati Uniti all’ingresso nella Seconda guerra mondiale.
Bufala dopo bufala, si arriva ai due episodi oggi più ricordati. Il 4 agosto 1964 Lyndon B. Johnson annunciò che navi da guerra Usa erano state attaccate da motosiluranti della Repubblica Democratica del Vietnam nel Golfo del Tonchino e che c’era stato uno scontro, durante il quale quattro marinai vietnamiti erano stati uccisi e sei feriti. Il Congresso approvò immediatamente la cosiddetta “Risoluzione del Golfo del Tonchino” che dava a Johnson l’autorità di attaccare il Vietnam del Nord senza dichiarazione di guerra formale. Nel novembre
2005 la National Security Agency declassificava una serie di informazioni che rivelavano come, quel giorno d’agosto, non ci fosse stato nessuno scontro. Come spiegò un soldato Usa, i cacciatorpediniere spararono 400 proiettili di artiglieria e 5 bombe di profondità contro un bersaglio completamente immaginario, “in direzione dell’acqua nera”. L’incidente servì per giustificare l’escalation militare americana in Indocina.
Il volto forse oggi più celebre delle “bugie” americane è però quello di Colin Powell, che davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu spiegò le ragioni dell’intervento contro l’Iraq di Saddam Hussein (che peraltro l’amministrazione di George W. Bush aveva a quel punto già deciso). Dalle “fabbriche del veleno” dove gli iracheni avrebbero prodotto le armi chimiche e batteriologiche alla rete terroristica di Abu Musab al-Zarqawi ospitata in Iraq fino alla visita di alti dirigenti di Bagdad a Osama bin Laden in Afghanistan, l’allora Segretario di Stato rivelò i legami del regime iracheno col terrorismo e la minac
che esso portava al mondo. Era tutto falso. Il rapporto che Powell lesse distorceva completamente le informazioni fornite dall’intelligence americana ed era stato prodotto negli uffici del vicepresidente Dick Cheney.
(da ilfattoquotidiano.it)
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