ISTAT, SEGNALI DI RIPRESA, MA PEGGIORA LA SITUAZIONE PER CHI E’ IN DIFFICOLTA’
NON SOLO SIAMO SOTTO LA MEDIA EUROPEA, MA AUMENTANO LE DISEGUAGLIANZE
Nel Rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia dell’Istat il ritratto che emerge del Paese è ancora di forti disuguaglianze e contrapposizioni, tra Nord e Sud, ricchi e poveri, uomini e donne, anziani e giovani.
“Dopo la grande tempesta del 2013 e le criticità presente dal 2008, – spiega LInda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat – il 2014 è un anno di transizione. Si ferma la caduta e ci sono addirittura segnali di miglioramento. Le reti sociali, che hanno rappresentato un importante riferimento nella crisi, migliorano. Però tra Nord e Sud c’è una situazione speculare, in particolare rispetto a lavoro e sicurezza: il Sud si colloca ai livelli più bassi e con una dinamica peggiore per il lavoro, e la forbice è aumentata in questi anni, sia per la qualità che per la quantità del lavoro”.
Aumenta il reddito, ma non per tutti.
Nel 2014 all’aumento dello 0,7% della spesa per consumi, che prosegue anche nel 2015, si aggiunge il leggero aumento del reddito totale disponibile.
Però crescono le disuguaglianze nella distribuzione: il rapporto tra il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi raggiunge il 5,8, dal 5,1.
Risale la propensione al risparmio, anche se il 12% precrisi è ancora lontano, e si riducono notevolmente le “azioni di contenimento della spesa”, per la prima volta dall’inizio della crisi.
La povertà non si riduce, ma almeno quella assoluta nel 2014 smette di salire, anche se affligge ancora notevolmente le famiglie con cinque o più componenti.
E per i più poveri non ci sono miglioramenti.
Il disagio delle persone con gravi difficoltà economiche però non si attenua: la ripresa non raggiunge le famiglie in situazioni di “grave deprivazione materiale”.
Si tratta di una serie di situazioni che limitano fortemente il benessere: il 15% della popolazione maggiore di 16 anni (il 20,6% della popolazione del Mezzogiorno) non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non può svolgere attività di svago fuori casa per ragioni economiche, un terzo non può permettersi di sostituire mobili danneggiati.
E ci sono anche indici di deprivazione costruiti su misura per i bambini: oltre il 7% non può permettersi di festeggiare il compleanno o di invitare a casa gli amici.
Nel Mezzogiorno il 16% dei bambini non può permettersi di partecipare a una gita scolastica e il 14,7% non dispone di uno spazio adeguato per studiare.
Il Mezzogiorno in generale, pur mostrando miglioramenti nelle situazioni di grave deprivazione, mantiene livelli superiori di tre volte al resto del Paese.
Più famiglie “a bassa intensità lavorativa”.
Anche se gli indicatori del lavoro migliorano, aumenta il numero di persone che vivono in famiglie “a bassa intensità lavorativa”, che cioè nell’anno precedente hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale.
Diminuiscono invece le famiglie che dichiarano di essere in difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ma anche in questo caso c’è un abisso tra il 30,3% del Mezzogiorno e il 10,4% del Nord.
Dopo alcuni anni di “avvicinamento”, spiega l’Istat, il Sud ha riconominciato ad allontanarsi dal Nord nel 2011: le Regioni più penalizzate per l’indice di disagio e quello di disuguaglianza sono la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Puglia.
Il lavoro cresce, ma aumentano mismatch e part time involontario.
Per la prima volta dal 2008 c’è una ripresa dell’occupazione, ma più lenta rispetto a quella Ue tant’è che aumenta il divario, che passa dagli 8,7 punti del 2013 a 9,3 punti. Inoltre, mentre il Europa migliora il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, in Italia aumenta di 1,2 punti (per via della crescita dei disoccupati e delle forze di lavoro potenziali, pur in presenza di un aumento degli occupati).
Inoltre in Italia la quota del part-time involontario è doppia rispetto al resto dell’Europa, e oltre 5 milioni di occupati, il 23% del totale, hanno un titolo di studio superiore a quello richiesto per il lavoro svolto.
Sale dall’85,7% all’88,6% la quota di coloro che ritengono improbabile la possibilità di perdere il proprio lavoro. Il 45,3% degli occupati si dichiara soddisfatto del proprio lavoro, percentuale in aumento di un decimo di punto sul 2013.
Infine, nonostante la ripresa dell’occupazione sia stata soprattutto al femminile, oltre il 27% delle donne che vogliono lavorare non ci riesce, contro il 19,3% degli uomini, e con un divario cinque volte superiore a quello europeo.
Inoltre il tasso di occupazione aumenta sopratutto per gli ultracinquantacinquenni (+3,5 punti), mentre l’indicatore scende al di sotto del 50% per i giovani 20-34enni e non mostra segni di recupero per le altre fasce di età .
Cresce la spesa in ricerca e sviluppo, ma lontani dall’Europa.
Nel 2013 la spesa per ricerca e sviluppo guadagna il 2,3% in termini nominali e l’1,1% in termini reali. L’incidenza sul Pil arriva all’1,31% contro l’1,27% del 2012 ma siamo lontani dal target nazionale di Europa 2020 dell’1,5% e abbiamo ancora un gap di 0,7 punti percentuali rispetto al 2% della media Ue28.
Rosaria Amato
(da “La Repubblica”)
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