LA FIGLIA DI MARCO TRAVAGLIO FERITA NELLA CALCA DI TORINO: LA PAURA IL SANGUE, IL PANICO IN UNA PIAZZA INVASA DA AMBULANTI
IL RACCONTO DELLA NOTTE DEL DIRETTORE DEL “FATTO”
Per una volta la politica può essere messa da parte, la vis polemica accantonata per lasciare spazio al coinvolgimento personale e all’affetto paterno.
Marco Travaglio racconta sul Fatto Quotidiano quanto accaduto alla figlia Elisa,18 anni, finita nel lunghissimo elenco dei feriti nella calca di Torino.
Per fortuna una ferita non grave, ma sono in tanti ad affollare i pronto soccorso della zona.
Erano andati tutti a vedere Juventus-Real Madrid in piazza San Carlo a Torino, poi è successo qualcosa che ha scatenato il panico. E Travaglio analizza proprio degli effetti del panico sulla folla, le voci incontrollate che si sono diffuse nella piazza e hanno fatto perdere ai più il controllo della situazione, ma anche le responsabilità di chi ha consentito che decine di ambulanti potessero vendere la birra in bottiglie di vetro: “Tutto virtuale, tranne il sangue”.
“Alle 22.15, subito dopo il terzo gol del Real, mi appare il suo numero sul cellulare. Provo a rincuorarla: “Dà i, pazienza, è andata così…”. Ma la voce dall’altro capo non è la sua. È quella del suo amico, che assicura: “Elisa sta bene, ma non può parlare, ha male a una gamba”. Brivido gelato nella schiena. Me la faccio passare a forza: ansima, piange, ripete “vienimi a prendere, voglio andare subito via di qui, c’è stato un attentato, una bomba, non so, mi hanno calpestata, mi hanno camminato sopra, non mi sento più la gamba sinistra, e gli scoppi continuano, stiamo scappando verso piazza Vittorio”. La prego di calmarsi e di restare collegata, intanto salto in macchina con mia moglie e voliamo a prenderla, appena in tempo prima che anche in piazza Vittorio Veneto si scateni il panico per l’ondata dei fuggitivi che, attraverso via Po e le strade laterali, sciamano via dal luogo della non-partita e del non-attentato. La carico in auto che trema ancora come una foglia e fatica a parlare. E mi fiondo al pronto soccorso più vicino.
Ci sono già i primi feriti, altri ne arrivano fino ad affollare il piccolo ospedale. Sanguinano, “mai visto tanto sangue, neppure in un film di Dario Argento” scrive il direttore del Fatto Quotidiano. Nessuno ha capito cosa sia successo.
Molti sono scalzi, a piedi nudi: nella calca hanno perso le scarpe, figurarsi le infradito. Altri hanno smarrito borse e zainetti, documenti e telefonini compresi: chiedono in prestito quelli superstiti per chiamare casa e rassicurare. Dicono che solo un petardo e uno scherzo da teste di cazzo è impossibile: qualcosa di grave dev’essere successo per forza. Chi ha sentito dire di una bomba, chi di un balcone crollato, chi di un’auto esplosa nel parcheggio sotterraneo, chi ha udito le raffiche di una mitragliatrice. E poi le voci di attentato, accompagnate dai rituali “una bomba, una bomba!” e dall’immancabile “Allah u akbar”.
Una folla scomposta di persone, la gran parte non è di Torino ma è arrivata da lontano per vedere la partita in un maxischermo in piazza e provare la sensazione di vivere la finale di Champions League come allo stadio con migliaia di altre persone.
Si è trasformata in una “folle serata”, prosegue Travaglio, che va poi ad analizzare le cause di quanto è accaduto.
Cause ben chiare a chi in quella piazza c’era, di cui “prefetto e questore dovrebbero rispondere”. C’erano bottiglie di vetro ovunque, perchè superati i controlli di sicurezza decine di ambulanti vendevano la birra in vetro, “una follia”.
“Tutto quel sangue si spiega solo con l’enorme quantità di bottiglie di vetro finite in frantumi durante il fuggi-fuggi. Un tappeto di cocci taglienti su tutta la piazza. I testimoni sanguinanti non parlano d’altro: “La polizia ha transennato la piazza per farci entrare solo dopo averci perquisiti e controllato gli zaini e le borse, a caccia di armi e bottiglie di vetro. Poi, appena dentro il recinto, decine di ambulanti coi carrelli vendevano birre in vetro”.
Così le transenne si sono rivelate non solo inutili, ma dannose, facendo da tappo all’onda di fuga, frenando il deflusso e aggravando a dismisura il bilancio.
Una follia di cui il prefetto e il questore dovrebbero rispondere. Alle 2 Elisa è ancora in sedia a rotelle col ghiaccio sulla gamba, nessuno ha potuto visitarla, ci sono casi più urgenti. Vuole andare a casa. La carichiamo in spalla e ce ne andiamo, sperando che non abbia nulla di fratturato.
“Non andrò mai più in piazza per una partita, e nemmeno allo stadio”, dice lei alla fine della più lunga serata della sua vita. In macchina, la radio informa di un attentato a Londra. Un attentato vero. Ma che differenza fa. Ormai i terroristi, anche quando non ci sono, è come se ci fossero.
(da “NextQuotidiano”)
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