LA POLITICA LENTA CHE AIUTA GLI EVASORI
RIENTRO DEI CAPITALI DALLA SVIZZERA, PIU’ PASSA IL TEMPO PIU’ L’EVASORE SI ORGANIZZA PER FARLA FRANCA
Secondo voi perchè ci stanno mettendo così tanto tempo ad approvare le norme sul rientro dei capitali?
Perchè così chi vuole mettersi al riparo ha modo di riuscirci, per un italiano che vuole continuare a sottrarsi al fisco basta prendere la cittadinanza svizzera o meglio ancora di Panama”, racconta un banchiere svizzero che da Lugano osserva il dibattito parlamentare che si trascina da oltre un anno sul rimpatrio dei capitali dai paradisi fiscali.
Prima la norma sulla voluntary disclosure, cioè sull’autodenuncia di chi rivela al fisco i soldi custoditi all’estero prima che scattino i nuovi accordi che spingeranno le banche a dare tutte le informazioni, era in un decreto legge del governo Letta.
Poi è stata stralciata, ufficialmente perchè il decreto rischiava di decadere senza approvazione. E allora si ricomincia come disegno di legge alla Camera, in commissione Finanze, qualche emendamento lo migliora, qualche altro (del Pd e avallato dal governo) cerca di trasformare una misura concepita per sanzionare gli evasori in un condono.
I tempi restano incerti, chi ha i soldi su un conto svizzero o li ha affidati a un trust ha tutto il tempo per prendere le sue contromisure.
Un libro appena uscito della giornalista Nunzia Penelope, Caccia al tesoro (Ponte alle Grazie), ci rivela i retroscena della “legge morta due volte”, cioè quella sulla voluntary disclosure che prevede un’aliquota del 27 per cento sulle somme che si autodenunciano al fisco più una certa protezione legale sui reati connessi (almeno quelli fiscali, non quelli che hanno permesso di accumulare la somma, tipo traffico di droga o frodi finanziarie).
Nel libro di Nunzia Penelope si racconta di cosa sta succedendo in Svizzera mentre noi perdiamo tempo, come dimostrano i brani riportati dell’audizione in Parlamento della Unione Fiduciaria, una società costituita da otto banche popolari che offre servizi di “protezione di patrimoni”, quelli di cui ha bisogno che vuole mantenere una certa discrezione sull’esistenza e la provenienza di somme consistenti.
I rappresentanti della Unione Fiduciaria, il direttore generale Filippo Cappio e l’avvocato Fabrizio Vedana, spiegano ai parlamentari che per come era concepita nella prima versione la voluntary disclosure avrebbe creato parecchi problemi agli evasori in Svizzera che avessero fatto emergere le loro somme, perchè rischiavano di trovarsi subito imputati per riciclaggio, “il tema non è semplice, è una bomba che gira e che rischia di scoppiare in mano all’ultimo che la maneggia”.
E spiegano anche che “se al contribuente si chiede troppo c’è il rischio di non ottenere niente: invece di aderire alla sanatoria, se ne andrà a stare all’estero anche lui, trasferendo la residenza oltre ai soldi. Ci risulta che lo stiano facendo già in tanti”.
Se poi il modulo da compilare, com’era previsto, ha 40 pagine e basta un errore per essere accusati di falso, allora gli incentivi a partecipare all’operazione trasparenza si riducono ancora. Insomma: una norma troppo tenera è un regalo agli evasori, una troppo dura rischia di spaventarli e di farli rimanere nell’anonimato.
Ma la cosa peggiore è una norma troppo dura adottata con enorme lentezza che permette ai titolari di depositi di origine illecita di organizzarsi per essere sicuri di farla franca quando scatteranno le nuove regole.
E anche le banche, costrette controvoglia a cooperare, hanno modo di individuare quelle scappatoie che permettono di rispettare formalmente la trasparenza senza perdere i capitali degli evasori, magari trasferendoli in una filiale di Singapore o nascondendoli in un trust blindato.
“Non si sa esaattamente quale parte di 42 minuti circa di audizione dell’Unione Fiduciaria abbia colpito maggiormente i parlamentari; sta di fatto che il 29 marzo 2014 il decreto sulla voluntary disclosure viene lasciato morire. Una forma pietosa di eutanasia, tanto era già chiaro che il Parlamento non lo avrebbe mai approvato”, commenta Nunzia Penelope nel suo libro.
E a proposito delle alternative ora sottoposte alla Camera, dopo l’abbandono del decreto originario, la Penelope nota anche che “uno dei disegni di legge, tra l’altro, recepisce perfettamente tutte le richieste di ‘sconto’ avanzate dei fiduciari, e un secondo propone addirittura di allargare il beneficio ai capitali evasi ma rimasti in patria, lasciando cinque anni di tempo per decidere se aderire o meno”. Insomma, siamo passati da una norma forse troppo dura al progetto di un condono.
È la lotta all’evasione secondo i politici italiani.
Stefano Feltri
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