LA POLITICA SENZA MORALE
LA CRISI DELLA VITA DI BASE DEL PARTITO HA SPINTO I PIU’ INTRAPRENDENTI A CREARSI RETI AUTONOME
Cosa c’è alla radice della cupola corruttiva della capitale? Il debordare di una libidine di ricchezza e potere? Il diffondersi dell’irrilevanza e menefreghismo per le regole? La convinzione che così fan tutti e nessuno paga pegno?
Tutto questo, ovviamente. Ma si possono individuare anche altre cause.
Cause indirette, che rimandano alla politica e ai partiti.
L’assunto da cui partire è che “la politica costa”. Anzi, costa sempre di più.
Non a caso i bilanci ufficiali dei partiti sono aumentati costantemente e, a partire dai primi anni Duemila, le loro entrate sono più che raddoppiate.
E qui si parla soltanto di soldi contabilizzati nero su bianco nei libri mastri dei partiti. L’incremento delle entrate grazie ad un sistema di finanziamento pubblico generosissimo e senza controlli rispondeva alla necessità da parte dei partiti non tanto di mantenere “gli apparati”, morti e sepolti da tempo, quanto di sostenere i costi della politica d’oggi, fondata sulle consulenze dei professionisti del marketing, della comunicazione, del sondaggio, e della pubblicità .
Comprare sul mercato i migliori specialisti di ogni ramo costa, e tanto.
Di conseguenza i partiti si sono rivolti allo stato per attingere le risorse finanziarie necessarie, garantendosi, fino alla riforma del 2012, introiti statali sempre più consistenti.
Questo perchè, ufficialmente, le altre entrate nelle loro casse erano scese a livelli risibili.
Nell’ultimo decennio la voce tesseramento nei bilanci è andata quasi scomparendo: in nessun partito le quote degli iscritti fornivano più del 3-4% dei proventi complessivi (con l’eccezione dei Ds e del Pd nei quali l’importo delle tessere rimane a livello locale e non viene riportato nel bilanci del partito nazionale).
Questa torsione stato-centrica delle organizzazioni partitiche ha indebolito le strutture periferiche dei partiti. Ha impoverito il partito nel territorio.
Tutta l’attività politica si svolge al centro, dove si acquisiscono e si gestiscono le risorse sia finanziarie che strutturali.
Quindi chi vuole fare carriera – cioè essere eletto alle cariche pubbliche perchè quelle interne a livello locale non contano più nulla – necessita di risorse alternative, esterne alla struttura partitica.
L’isterilimento della vita di base e collettiva del partito ha spinto i più intraprendenti a crearsi reti autonome ed esterne. In una logica del tutto individualista, da free rider – e il caso di Matteo Renzi insegna – , il vettore del successo sta nella costruzione di una èquipe composta da esperti, fund raiser , facilitatori di relazioni con gruppi di pressione e di interesse, comunicatori, sondaggisti e quant’altro.
È disponendo individualmente di queste risorse, non gestite dall’organizzazione partitica, che si fa carriera. In fondo anche le primarie assecondano questa impostazione.
Prive di una regola standard nazionale, le primarie per le cariche pubbliche locali sono un moltiplicatore di costi e comportano il rischio di rapporti incauti e disinvolti con gruppi e persone. In una logica di competizione “individuale” – com’era al tempo delle preferenze – l’inquinamento di affaristi e maneggioni è un rischio concreto.
L’intreccio di corruzione e affarismo criminale che investe la capitale ha radici in questi mutamenti della politica, dell’organizzazione dei partiti, e della loro relazione con lo stato e il territorio.
La professionalizzazione della vita politica con conseguente necessità di acquisizione di maggiori risorse pubbliche, il deperimento di legami collettivi forti – quelli che sono alla base di un “vero” partito e non di una qualunque associazione volontaria – e la crescente individualizzazione dell’agire in politica, abbassano le soglie di protezione rispetto ai rapporti pericolosi.
Il filtro di partiti radicati sul territorio, attenti ad intrecci sospetti e a figure ambigue, e di nuovo proiettati al “bene comune” più che all’acquisizione di risorse è venuto a mancare, in una logica tutta proiettata alla comunicazione, al virtuale e all’accentramento nazionale.
Il primo baluardo al dilagare della corruzione, che a Roma sembra non aver trovato resistenza altro che nel sindaco Marino, passa per la ricostruzione di una presenza attiva e disinteressata nel territorio.
E poi, di fronte alla voracità dei politici e ai costi iperbolici per cene sfarzose, consulenze d’oro e regalie varie, conta soprattutto un cambio di passo: uno stile politico più parsimonioso e trasparente da parte di tutti gli amministratori della cosa pubblica, al centro come in periferia.
Piero Ignazi
(da “La Repubblica“)
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