LA RIDER: “MULTATA DALL’ALGORITMO PERCHE’ LENTA. RITMI INFATTIBILI, VENITE IN BICI CON NOI…”
BRUNA, RIDER DA 8 ANNI: “LA SANZIONE CON UNA RACCOMANDATA, MA NON LASCERO’ QUESTO LAVORO, LO ADORO”
«Ho aperto una raccomandata e ho scoperto che l’azienda mi voleva multare perché non ero
andata abbastanza veloce nel fare le consegne». Bruna, 33 anni, è la rider multata per la velocità media troppo bassa.
Il paradosso dell’algoritmo: pretende dai rider di Just Eat prestazioni «come Pogacar al Giro d’Italia»
Come ha reagito a quella raccomandata?
«Sono rimasta disorientata, senza capire. Faccio questo lavoro da 8 anni, da quando sono arrivata in Italia dal Brasile. Da 5 anni sono con Just Eat, da 3 con contratto regolare. Ci sono rimasta male, sapevo che le sanzioni stavano arrivando ad altri colleghi che cercavo di aiutare, facendo parte della Cgil. Una grande amarezza, soprattutto perché mi sono sentita un po’ tradita dall’azienda visto che ho sempre cercato di lavorare al meglio, questo lavoro mi piace. Avevo parlato coi responsabili di Firenze a maggio e mi avevano già detto che ero sotto la media, ma avevo replicato che andare più veloce per me era impossibile. Mi sono resa disponibile di ascoltare qualsiasi suggerimento di come migliorare il mio lavoro».
Qual è la velocità richiesta
«La mia velocità media si aggira intorno ai 15km/h, quella che mi veniva richiesta per quelle consegne era tra i 21 e i 26 km/h, in bicicletta è praticamente impossibile. Forse chi fa il Giro d’Italia… ma non hanno cassoni con il cibo da trasportare, né semafori. Inoltre, la velocità richiesta va oltre i limiti consentiti delle biciclette elettriche che arrivano fino a 25 chilometri orari. E poi io non posso andare velocissima perché ho piccoli problemi fisici».
Che tipo di problemi?
«Da bambina sono caduta battendo forte la schiena e mi è rimasta una specie di ernia. E ho un problema al ginocchio, che spesso mi fa male quando faccio le salite. Per non parlare dei sanpietrini nelle vie del centro di Firenze, che mi provocano dolori alla schiena».
E quindi come ha reagito alla lettera con la multa?
«Ho chiamato il sindacato per informarli della raccomandata ricevuta, loro mi hanno suggerito di rispondere con una mia lettera all’azienda. Ho scritto la lettera, ma non è servito a niente, perché credo che neppure l’abbiano letta».
Come fa a dirlo?
«Perché mi hanno risposto con una missiva con un testo pre-impostato di una lettera disciplinare, e che mi avrebbero scalato tre ore di lavoro. Mi sono sentita nuovamente frustrata, anche perché ho impiegato un pomeriggio a scrivere quella lettera».
Non ha contattato direttamente i suoi datori di lavoro?
«No, perché so quali sarebbero state le persone con cui avrei parlato. Avevo già parlato con loro a maggio, e mi avevano già comunicato che lavoravo troppo lentamente per i loro standard».
Ma non c’è qualcosa che vorrebbe dire loro?
«Di venire in bici con noi per rendersi conto di persona che quello che ci chiedono non è fattibile. E un’altra cosa: non siamo macchine, siamo esseri umani, e il nostro lavoro non può essere regolato soltanto da un algoritmo. Ogni consegna è unica e abbiamo pochissimo controllo mentre siamo in sella, tipo sulla presenza di altri mezzi, le condizioni della strada, del traffico…»
È arrabbiata?
«La rabbia non ha senso, ma sono frustrata per il fatto che proviamo a spiegare il nostro punto di vista ma sembra che nessuno ci ascolti».
E ora, cambierà lavoro?
«No, adoro questo lavoro perché mi permette di stare all’aria aperta. Per mantenermi faccio un secondo lavoro che mi mette a costante contatto col pubblico, ed è stancante, seppur in un modo diverso rispetto al rider».
Se dovessero arrivarle altre lettere?
«Proverò a continuare a respingerle e proverò a comprarmi una batteria elettrica per andare più veloce, ma non sarà semplice perché costa oltre la metà dello stipendio mensile da rider. Prima devo pensare a fare la spesa».
Come giudica l’azienda?
«Mi auguro che quello che viene messo in atto nei miei confronti e di altri colleghi non sia mobbing. Voglio credere che le persone siano buone e stiano provando a fare il loro lavoro al meglio, così come lo faccio io».
(da Il Corriere della Sera)
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