LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA BY MELONI E’ “UNA FORZATURA DA GUINNESS DEI PRIMATI”
LA STAMPA: “PER LA PRIMA VOLTA UNA LEGGE COSTITUZIONALE VA QUASI PIÙ SPEDITA DI UNA LEGGE ORDINARIA. C’È DA CHIEDERSI ‘COME MAI’ IL SEDICENTE NUOVO CHE AVANZA RIPROPONGA COME ATTUALE L’IMMAGINARIO ANTICO DI TOGHE ROSSE E COMPLOTTI OVUNQUE…. GUAI A DISTURBARE IL MANOVRATORE, EREDITÀ PERFETTA NEL MONDO DI TRUMP CHE VIVE DI NEMICI CREATI AD ARTE
Preparatevi ai flash mob dei partiti di maggioranza attorno a palazzo Madama, alle  fanfare e al profluvio dichiaratorio a sottolineare che «oggi è una giornata storica».
fanfare e al profluvio dichiaratorio a sottolineare che «oggi è una giornata storica».
Ed effettivamente lo è perché di riforma della giustizia si discute da più di trent’anni, sin dai tempi di Bettino Craxi che sulla responsabilità civile dei magistrati fu costretto a mollare palazzo Chigi. Anzi – per i cultori della materia – se ne parla da dopo l’Unità d’Italia, quando la separazione delle carriere c’era e il dibattito verteva sulle garanzie per la pubblica accusa.
È una lunga storia di tentativi falliti, compresa la Bicamerale di Massimo D’Alema
C’è il titolo, e poi c’è lo svolgimento. Che qui racconta la realizzazione del sogno di Silvio Berlusconi cui peraltro il traguardo viene apertamente dedicato dagli stessi protagonisti. Ci provò più volte a realizzare la «grande, grande (diceva così, ndr) riforma della giustizia», brandita sempre come una clava.
Ma non ci è mai riuscito, ripiegando sulle leggi ad personam, tarate sui tanti conflitti di interessi. L’ultimo assalto, nel maggio del 2011, dopo la bocciatura del “lodo Alfano”, che dava l’immunità alle alte cariche, ma a novembre cadde il governo.
Allora, alla procura di Milano, c’era Ilda Boccassini ad indagare su Ruby, che non era la nipote di Mubarack e sulle cene, che erano tutto fuorché eleganti. Oggi è proprio un altro mondo: le inchieste, a Milano e non solo, colpiscono anche la sinistra.
Il problema del passaggio da una carriera all’altra di fatto non c’è più dopo la riforma Cartabia. E più in generale è complicato attribuire alla magistratura quel protagonismo post-Mani pulite, perché nel frattempo è crollata anche la sua popolarità.
E allora c’è da chiedersi “come mai” il sedicente nuovo che avanza riproponga come attuale l’immaginario antico di toghe rosse e complotti ovunque, quasi in preda a un riflesso pavloviano, attribuendo alla separazione delle carriere la soluzione taumaturgica di tutto ciò che non va. Giorgia Meloni avrebbe potuto chiudere la partita trentennale sulla giustizia in modo diverso, proprio perché uscito di scena Berlusconi con l
sue circostanze che inquinavano la discussione.
Ha scelto, nelle modalità, di continuare a giocare la stessa partita fino all’esibizione di uno “scalpo”. E il racconto conta ancora più del merito, piuttosto pasticciato tra Csm sorteggiati e la creazione di una casta di pm che rende le procure ancora più potenti, in una singolare eterogenesi dei fini.
La storia è la quella di una forzatura da guinness dei primati.
Primo: non ci sono precedenti di riforme costituzionali che, dall’inizio alla fine del percorso, non vengono modificate di una sola virgola.
Secondo: non ci sono precedenti di riforme approvate soltanto in due letture, e non tre, prima della cosiddetta “doppia conforme” (il passaggio alla Camera e al Senato per un sì o un no, senza entrare nel merito).
Terzo: mai è stato usato in commissione il famoso canguro, quella diavoleria per far cadere, in un sol colpo, un certo numero di emendamenti. Insomma, per la prima volta una legge costituzionale – che per definizione dovrebbe suggerire il confronto – va quasi più spedita di una legge ordinaria: approvata al cdm del 24 maggio del 2024 è licenziata oggi dalle Camere in via definitiva.
Il “come mai” è certo figlio della cultura del nemico, su cui scaricare i pasticci di governo: l’ultimo è la Corte dei conti, che ha bocciato il ponte sullo Stretto. Ma anche della necessità
politica di portare a casa qualcosa.
Archiviata l’Autonomia perché infattibile, accantonato il premierato perché rischioso, sui giudici si è scelto il terreno ritenuto più agevole per non archiviare alla voce “chiacchiere” il riformismo meloniano. E non c’è da stupirsi, nella modestia delle ambizioni, della “lunga durata” del berlusconismo in quanto a egemonia rispetto al resto.
Ciò che per gli altri era un’anomalia, da quelle parti è cultura della casa, introiettata da tutti sin dalla giovane età. Sulla giustizia ruppe Gianfranco Fini, non gli altri che poco si scandalizzavano quando sui giudici veniva detto il peggio: toghe politicizzate, colpo di Stato, persecuzione, giustizia a orologeria, brigatisti. Insomma: guai a disturbare il manovratore.
Eredità perfetta, nel mondo di Trump che vive di nemici creati ad arte.
Alessandro De Angelis
per “La Stampa”
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