LA STORIA DEL BABY RONALDO, TROPPO POVERO PER GIOCARE A CALCIO
DALLA BIDONVILLE IN ROMANIA A TORINO, LA FAMIGLIA E’ TROPPO POVERA PER CHIEDERE LA RESIDENZA E SENZA QUELLA LA FEDERAZIONE NON PUO’ TESSERARLO: “UN VERO PECCATO, QUEL RAGAZZO HA GRINTA DA VENDERE”
Nell’appartamento del centro dove abita con la sua famiglia, non ci sono poster di calciatori. Sono pulite le pareti della sua cameretta. Oggi gli idoli degli adolescenti non si ammirano attaccati al muro, ma si portano sempre in tasca. «Non faccio il tifo per nessuna squadra. Le uniche partite che guardo sono quelle di Cristiano Ronaldo. La sua immagine è lo sfondo del mio smartphone».
Icona del calcio milionario tutto flash e paillettes. Dimensione lontanissima dal sintetico di via Petrella dove Francis, 14 anni, capelli a spazzola e Adidas blu con i tacchetti, si allena ogni settimana sognando di diventare forte come il suo idolo.
Anche se il sabato in campionato non gioca mai. Non può scendere in campo per un problema burocratico. La sua famiglia è troppo povera per poter domandare la residenza all’anagrafe. Certificato necessario per essere tesserato e disputare i tornei Figc.
La polisportiva
Quello di via Petrella è l’impianto sportivo di una società calcistica abituata alle sfide. Polisportiva Centrocampo. Squadra nata 1968 per merito di un gruppo di giovani di Barriera di Milano appartenenti alla sinistra extraparlamentare. Tra quei ragazzi c’era il presidente di oggi, Roberto Petito, 61 anni.
«Questo è un quartiere di frontiera: il 35% dei nostri atleti è di origine straniera – dice -. Molti hanno difficoltà economiche. Ma non abbiamo mai escluso nessuno». Poi, è arrivato nello spogliatoi il giovane Francis: è la partita si è complicata. Il ragazzo ha alle spalle un’infanzia difficile. Nato a Bacau, si è trasferito a Torino dieci anni fa con il padre, la madre e la sorella più grande.
Bidonville di Lungo Stura Lazio
«Non avendo i soldi, abbiamo vissuto sei anni nella bidonville di Lungo Stura Lazio – dice Francis –. Un inferno». Abbandonato per merito della famiglia. Che, ancora prima dello sgombero, si impegna e riesce a trovare un alloggio lontano dal fiume.
«Nel campo era dura giocare a pallone. Ma non ho mai abbandonato il sogno di diventare un campione», dice il giovane che, dopo le elementari, si è iscritto alla scuola media.
In Lungo Stura Lazio la passione del piccolo Francis s’incrocia con «Nessuno Fuorigioco», progetto di cittadinanza costruito intorno a una squadra dove tutti potevano giocare, anche senza documenti, compresi i figli dei nomadi. Ma con lo smantellamento del campo ordinato dal Comune, quest’estate i piccoli giocatori di «Nessuno Fuorigioco» sono stati costretti a fare il grande salto.
E nel Centrocampo trovano la società disposta a metterli alla prova lontano dai campionati amatoriali, ma in quelli della Federazione. Tornei con avversari, ritmi e regole diversi. Soprattutto, quando si parla di tesseramenti. «Francis non è un asso del pallone, ma è un ragazzo grintoso – dice Timothy Donato, il fondatore di «Nessuno Fuorigioco» –. Abbiamo provato in tutti i modi a tesserarlo. Ma non avendo la residenza è impossibile».
Riconoscimento
Quello di Francis è un caso limite. È comunitario e non ha un problema di documenti. Ma, pur vivendo da anni a Torino, non può chiedere il riconoscimento amministrativo dell’abitazione perchè il padre non ha un lavoro stabile. E guadagna meno di 5,5 mila euro. Non abbastanza per fare richiesta all’anagrafe.
«Senza residenza, però, non si può essere tesserati», dice Piero Volpi, l’allenatore di Francis che, in realtà , le prime partite dell’anno le ha disputate con la maglia del Centrocampo.
«Abbiamo deciso di farlo giocare lo stesso per non perdere il ragazzo – aggiunge il presidente Petito –. Ma quando è stato espulso per una brutta parolaccia, il suo nome è stato scritto nel referto dell’arbitro e la Lega ha scoperto l’assenza del tesseramento».
Il Centrocampo ha dovuto pagare una multa di 180 euro. Ma non si è data per vinta.
«Ci siamo rivolti a dei legali per trovare una spiraglio – aggiunge Donato –. Una possibile soluzione? Un sindaco, di qualsiasi parte d’Italia, che gli conceda la residenza». Strada auspicata anche da Roberto Scrofani, segretario del comitato piemontese della Federazione calcio.
«Quando abbiamo scoperto il caso, ho chiesto al Comune di concedergli la residenza perchè noi, come Figc, non possiamo andare contro le regole fissate dal ministero dell’Interno». L’obbligo della residenza, infatti, è stato posto per evitare il traffico di baby-calciatori tra i professionisti. E non per cancellare il sogno di Francis di diventare il nuovo Cristiano Ronaldo.
(da “La Stampa”)
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