LA STORIA DELLA PROCURA DI BELLUNO CHE ARCHIVIA UNA DENUNCIA PER ODIO ON LINE PERCHE’ NON HA ACCESSO AI SOCIAL
UNA CANDIDATA ERA STATA INSULTATA, LA MOTIVAZIONE DELL’ARCHIVIAZIONE E’ AL LIMITE DEL PARADOSSO E DEL RIDICOLO
Da anni, molti uffici (pubblici e privati) hanno adottato un sistema di connessione che impedisce ai dipendenti di connettersi ai social network dai pc interni e utilizzabili solo per lavorare.
Ed è in questo contesto che si è sviluppata una paradossale vicenda che arriva da Belluno. Esattamente dagli uffici giudiziari della Procura della provincia veneta.
Tutto è partito nel 2020, quando Assia Belhadj – candidata con la lista “Il Veneto che vogliamo” a sostegno di Arturo Lorenzoni durante le ultime elezioni Regionali – ha sporto denuncia contro alcuni haters che l’avevano presa di mira con insulti ed epiteti di stampo razzista e xenofobo.
Ma, nonostante le evidenze, il gip ha accettato la richiesta della pm e ha archiviato il caso. E la motivazione è al limite tra il paradosso e il ridicolo.
«La rete in uso all’ufficio non consente l’accesso a Facebook». Questa è la motivazione che, secondo quanto riferito dalla stessa Procura di Belluno, ha bloccato la denuncia e ha archiviato il caso. Gli stessi uffici giudiziari della città veneta hanno poi aggiunto un altro particolare: le indagini, in passato, «venivano svolte da personale che usava il proprio computer privato e il proprio profilo Facebook».
Quel personale, ora, non c’è più e quindi le indagini si sono scontrate contro uno scoglio tecnologico che ha l’amaro sapore del paradosso.
In un altro passaggio della notifica di archiviazione della denuncia (e delle indagini) sporta da Assia Belhadj, arrivano anche altri dettagli che hanno portato allo stop richiesto dalla pm Katjiuscia D’Orlando e confermato dalla giudice per le indagini preliminari Enrica Marson: non è stato possibile individuare gli autori dei messaggi d’odio nei confronti della candidata italo-algerina.
Una vicenda sempre più paradossale, visto che la donna dice di aver presentato la sua denuncia mostrando quella valanga di messaggio di odio xenofobo e si sarebbe potuti risalire all’identità reale di quei profili andando a cercare – la magistratura ha questa possibilità – l’indirizzo mail con il quale sono stati creati. Ma l’impossibilità di accedere ai social attraverso la rete internet degli uffici della Procura di Belluno, ha impedito anche questo passaggio.
La donna, mediatrice interculturale che vive in Italia da 16 anni, regolarizzata italiana e con figli nati nel nostro Paese, si è detta molto delusa per questa scelta fatta dalla Procura, soprattutto perché le evidenze potevano portare a un proseguimento delle indagini
E invece: «Chi doveva decidere ha deciso che le più di 100 persone che si sono permesse di offendermi, prendermi in giro, minacciarmi, deridere me e la mia religione, chiamare “straccio” il velo che porto, dirmi che mi devo curare, associare la mia persona all’Isis, darmi della medievale, eccetera, non possono essere processate perché non si riesce a risalire alla loro identità e non si riesce a risalire alla data di pubblicazione dei post (seppure ho denunciato che sono stati pubblicati nei 15 giorni successivi alla mia candidatura)».
(da NextQuotidiano)
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