LA STRATEGIA DELLA PREMIER: COSI’ PARTE LA CAMPAGNA CONTRO CHI “FERMA IL PAESE”
SCINTILLE TRA NORDIO E LA RUSSA
«È quasi un assist». Nella cerchia di Giorgia Meloni c’è chi racconta così la decisione
della Corte dei conti sul ponte sullo Stretto, caro soprattutto a Matteo Salvini. Perché da giorni la premier lavora con i fedelissimi al leitmotiv attorno a cui imperniare la campagna referendaria per la separazione delle carriere, che sarà votata stamattina al Senato, per la quarta e
ultima lettura. Il ritornello, il messaggio da far passare, confidano dall’entourage della premier, sarebbe questo: i giudici bloccano il Paese.
Il ponte non si fa? Colpa dei magistrati. I centri in Albania? Bloccati dalle toghe. Meloni è intenzionata a puntare tutte le fiches sulla mala giustizia. Ha letto, in queste settimane, alcuni sondaggi interni. Il tema è molto sentito, soprattutto nel centrodestra. E dentro FdI si sono fatti l’idea che la chiave giusta per vincere la partita del referendum sia questa: raccontare inefficienze e storture (o presunte tali) della magistratura. «Non la vendetta dei Berlusconi», confida un colonnello di via della Scrofa. Quella è la lettura politica che vuole dare Forza Italia, che difatti ieri chiedeva a tutto il partito, da Nord a Sud, di istituire una «Giornata della giustizia negata» per il 21 novembre, anniversario dell’avviso di garanzia a Berlusconi nel ‘94. FI intende raccontare il «dramma» vissuto dall’ex Cavaliere e cerca «testimonial di casi emblematici», si legge nella lettera firmata da Antonio Tajani. Visioni diverse tra soci di governo, che sottotraccia stanno venendo a galla.
Prova ne è il balletto sulle piazze per celebrare la riforma, l’unica che la coalizione riuscirà a portare a dama entro le Politiche: il premierato procede a rilento, il secondo passaggio
parlamentare non è stato calendarizzato nemmeno per novembre, slitterà all’anno prossimo. Gli azzurri hanno già annunciato la loro adunata: oggi a piazza Navona, invitate alcune «vittime di errori giudiziari». FdI ancora non ha sciolto il nodo. Sui cellulari dei senatori è arrivato ieri un Whatsapp di preallerta: tutti convocati per mezzogiorno. Ma dove? «Seguiranno aggiornamenti». C’è chi spinge per trasformare piazza Navona, a cui si aggregherà la Lega, in una manifestazione unitaria; altri invece premono per un rapido flash mob autonomo, a San Luigi dei Francesi, sotto al Senato. Tajani non ci sarà: è in trasferta in Niger. Matteo Salvini si presenterà in aula, al momento del voto, in quanto senatore. E Meloni? I suoi la raccontano «tentata» dal blitz a Palazzo Madama, anche se non è la sua Camera di appartenenza. Sarebbe un modo per «metterci la faccia», soprattutto dopo la sentenza di ieri della magistratura contabile, che il centrodestra intende riformare al pari di quella ordinaria: si è appena concluso l’iter in commissione a Palazzo Madama.
Archiviato il voto di oggi, il centrodestra chiederà per primo la conta, il referendum, presentando le firme di un quinto dei parlamentari. Un modo per giocare d’anticipo su chi avversa la legge. E anche per provare a indirizzare il quesito. Nonostante i sondaggi, qualche preoccupazione c’è sulla riuscita
dell’operazione nelle urne. «A differenza di Renzi, Meloni non ha mai detto che se perde il referendum lascia la politica», metteva le mani avanti ieri il capo dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli. Nel frattempo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo avere bollato il dibattito parlamentare dell’opposizione come «litania petulante», replicava a Ignazio La Russa, secondo il quale «forse il gioco» della riforma «non valeva la candela». Per il Guardasigilli invece sì, «vale un candelabro…». Contro-replica di La Russa: «Sia il governo sia i magistrati danno tutti troppa importanza a questa modifica». Schermaglie. Ma anche il presidente del Senato insiste sul nodo vero: dal voto, previsto dopo Pasqua, non dipenderanno le sorti dell’esecutivo. «Meloni è assolutamente contraria a legare il proprio consenso a un qualsivoglia referendum».
(da agenzie)
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