LA TORINO-LIONE “LOW COST”, PERCHE SOLO ORA?
IL PROGETTO ORIGINALE PREVEDEVA 25 MILIARDI DI COSTO TOTALE, ALTA VELOCITA’ CON RITORNI FINANZIARI TRASCURABILI… ORA IL PROGETTO E’ SUDDIVISO PER FASI, IL COMPLETAMENTO AVVERRA’ IN FUNZIONE DEL TRAFFICO, CIOE’ MAI
Dopo due decenni, ecco il colpo di scena: il progetto è “fasizzato”: all’inizio si costruirà di fatto la sola galleria di base.
Il completamento della linea avverrà probabilmente in funzione della reale crescita del traffico, e lo stesso Sole 24Ore, grande sostenitore fino ad ora del progetto originale senza “se” e senza “ma”, prospetta che non si farà mai.
Non è difficile crederlo: le previsioni ufficiali di traffico mettono in luce da molti anni che si tratta di un progetto essenzialmente dedicato alle merci, e le parti escluse dal progetto non apportano particolari vantaggi a questo tipo di traffico, almeno sino a quando non raggiunga livelli comparabili alla potenzialità residua della linea esistente.
Vediamo ora qualche caratteristica del nuovo progetto, definito anche “Tav low-cost” da alcune fonti.
Si tratta di costruire la sola galleria di base, per ridurre drasticamente le pendenze da superare. Da Chambery a Lione, i francesi costruiranno comunque una tratta alta velocità , ma è un progetto tutto interno a quel paese.
I costi del progetto che interessa l’Italia di fatto sarebbero solo quelli della sezione transfrontaliera della tratta internazionale, che è poi l’unica che l’Europa forse contribuisce a finanziare.
Si tratta di circa 8 miliardi (usiamo valori un po’ approssimati, perchè si tratta comunque di preventivi).
Se l’Europa ne mette due, alla Francia ne toccheranno due e mezzo, e all’Italia 3 e mezzo.
Un bel risparmio, rispetto a costi italiani del progetto originale con caratteristiche di alta velocità , che erano dell’ordine degli 11 miliardi (sempre se l’Europa ne avesse messi 2).
Ma il drastico ridimensionamento è una cosa buona? No, se la riduzione dei costi fosse inferiore alla riduzione dei benefici (e in questi termini bisogna ragionare per forza, non ci sono alternative se non mistico-ideologiche).
Non pare proprio, però, che la riduzione dei costi sia minore di quella dei benefici. Abbiamo fatto alcuni conti molto semplificati, basati su un modellino sviluppato da chi, da anni, propone invano un’articolazione del progetto per fasi, in funzione della domanda.
Lo strumento di calcolo adatto era dunque disponibile e, valutando più di una articolazione per fasi del progetto, ne indicava come più fattibile una assai diversa da quella della “low cost” attuale.
Vediamo cosa significa la tabella dei risultati: per fare un confronto, dai costi del progetto originale (Nltl) sono stati eliminati quelli, tutti francesi e invarianti, della tratta Av Lione-Chambery.
I costi detti “fasaggio” sono una stima dei costi economici totali del progetto attuale, inclusivi dell’esercizio e di altre voci specifiche delle analisi benefici-costi, su cui qui non è possibile entrare nei dettagli.
A fronte di una diminuzione di costi (attualizzati) di (14,7 — 9,1) = 4,6 miliardi, si avrebbe una diminuzione di benefici, sempre attualizzati, di (9,1 — 7,3) = 1,8 miliardi; beninteso a fronte di un esercizio ferroviario volto a saturare la potenzialità delle linee di adduzione alla rete nazionale, che già oggi costituiscono i principali “colli di bottiglia del sistema”, senza impegnarla con i previsti servizi navetta per il trasporto degli autocarri, poco efficaci in termini sia di chilometraggi evitati, sia di peso utile trasportato.
Anche se il rapporto fra benefici e costi resta deficitario, ne consegue comunque un beneficio netto per la collettività di (4,6 — 1,8) = 2,8 miliardi.
Se poi ci si aggiungesse il costo-opportunità dei fondi pubblici, (“Compf” nella tabella), data l’assoluta irrilevanza dei ricavi netti del progetto, il beneficio per la collettività del passaggio alla versione “low-cost” aumenterebbe ancora, ma anche qui non ci dilunghiamo.
Sembrerebbe un’ottima decisione, dunque.
Ma forse i calcoli su cui si basa, certo meno ottimistici di quelli ufficiali, sono sbagliati.
E qui sorge il problema maggiore: perchè non sono stati presentati i calcoli ufficiali sui quali si fonda la nuova decisione, pure così drastica?
Forse risultavano motivazioni ancora più solide.
Oppure, al contrario, negative (risparmi inferiori alla perdita di benefici), e solo la scarsità di fondi ha determinato una scelta così importante. Ma non è dato saperlo.
Si noti che in questa fase la quantità di fondi che arriverà dall’Europa è irrilevante: si parla dell’utilità socioeconomica netta del progetto.
I fondi europei per l’Italia infatti sono sostanzialmente una “invariante”: quelli che eventualmente andranno a questo progetto saranno sottratti ad altri, all’interno degli equilibri politici complessivi dell’erogazione delle risorse per infrastrutture ai diversi paesi.
Peraltro, da notizie recenti sembra che i fondi europei per il progetto siano di ammontare tutt’altro che certo.
Ma immaginiamo che il ridimensionamento sia stata una decisione saggia.
Emerge una questione molto rilevante: perchè non è stata presa prima, avvalendosi di analisi comparative tra soluzioni diverse, come sempre auspicato da lavoce.info, dalle migliori pratiche internazionali e da studiosi indipendenti?
Quale idea sull’uso dei fondi pubblici stava alla base del faraonico progetto originario?
Quali interessi si intendeva far prevalere rispetto a quelli della collettività (non è difficile certo immaginarlo, senza dietrologie particolari)?
Ora, la necessità di un riesame urgente di tutte le altre grandi opere, concepite con logica identica, sembra davvero improcrastinabile: quali sarebbero i costi e i benefici, anche ambientali, di un ponte di Messina senza la ferrovia, che ne raddoppia i costi per pochi treni al giorno?
E per un terzo valico Milano-Genova progettato non in funzione dei (pochi) passeggeri, ma solo delle merci, cioè con standard e costi molto inferiori?
Lo stesso vale per la linea Av Napoli-Bari, e per molte altre grandi opere, concepite evidentemente senza alcuna considerazione della scarsità delle risorse pubbliche.
Andrea Debernardi e Marco Ponti
(da “lavoce.info”)
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