L’ACCOGLIENZA VIENE SEMPRE RICOMPENSATA, L’ALBANIA CE LO HA INSEGNATO
LA LEZIONE DI TIRANA: “SONO 30 ANNI CHE CI AIUTATE, E’ IL MINIMO ESSERE QUI”… “CI AVETE ACCOLTO E ADOTTATI, COMBATTEREMO INSIEME”
All’inizio degli anni ’90, con il collasso del regime comunista, l’Italia scoprì di essere diventata la terra promessa degli albanesi.
Di quel periodo l’immagine simbolo — in una storia piena di pagine buie — diventò lo barco a Bari di circa 20mila profughi albanesi dal bastimento Vlora, preso d’assalto dai migranti nel porto di Durazzo e dirottato verso l’Italia.
Era l’8 agosto del 1991, molti di quei profughi furono rispediti in Albania, molti altri furono rinchiusi nello Stadio della Vittoria, dove rimasero per 8 giorni in quello che si trasformò in un vero e proprio inferno.
Eppure quel momento così drammatico fu seguito da un’altra storia, una storia lunga trent’anni e fatta anche di sostegno e integrazione.
Un passato in nome del quale oggi è l’Albania a tendere la mano all’Italia, messa in ginocchio dall’epidemia di Covid-19.
“Sono 30 anni che ci aiutate e supportate: è il minimo che potevamo fare per questa nazione”. A parlare così è un infermiere di Pronto soccorso di 35 anni di Tirana, che fa parte della delegazione di 30 persone tra medici e infermieri arrivati a Brescia, dove prenderanno servizio nel principale ospedale della città per l’emergenza Coronavirus. “Sono consapevole di quanto sta accadendo negli ospedali bresciani, ma non mi spavento”, ha detto l’infermiere all’Ansa. “Da quando ho sentito che i numeri dei contagiati continuavano a crescere in Italia mi sono informata in ogni modo per poter aiutare il vostro Paese e ho risposto all’appello”, ha raccontato una dottoressa albanese. “Mia madre nel 2011 è stata operata a Pisa. Quei medici l’hanno salvata e ora io voglio restituire quanto è stato fatto”.
Un’altra infermiera ha aggiunto: “Per noi è una possibilità importante e sono sicura che vinceremo questa battaglia. Mio papà che è medico è stato contagiato da Covid 19 e io voglio aiutare i bresciani”.
Il volo con i 30 sanitari albanesi è atterrato questa mattina all’aeroporto Valerio Catullo di Verona, riaperto in via straordinaria per l’occasione, dopo essere arrivato ieri sera a Fiumicino. I medici e gli infermieri albanesi presteranno servizio negli ospedali di Brescia e Bergamo, nelle zone più colpite dalla pandemia.
“Non siamo privi di memoria: non possiamo non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà . Oggi siamo tutti italiani, e l’Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l’Europa e il mondo intero”, ha detto ieri il premier albanese Edi Rama, salutando all’aeroporto di Tirana il team di medici e infermieri. “Voi membri coraggiosi di questa missione per la vita, state partendo per una guerra che è anche la nostra”, ha aggiunto rivolgendosi al team sanitario.
E ancora: i nostri medici “non sono molti e non risolveranno la battaglia tra il nemico invisibile e i camici bianchi che stanno lottano dall’altra parte del mare. Ma l’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato, ospitandoci e adottandoci mentre qui si soffriva”, ha aggiunto Rama nel breve saluto cui era presente anche l’ambasciatore d’Italia in Albania, Fabrizio Bucci.
“Noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile. Le risorse umane e logistiche non sono illimitate, ma non possiamo tenerle di riserva mentre in Italia c’è ora un enorme bisogno di aiuto”.
“E’ vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere, e paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse è perchè noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non l’abbandonano”, ha concluso.
Quello di oggi è un nuovo capitolo di una storia iniziata più di trent’anni fa, ma tenuta in vita nei piccoli gesti quotidiani.
Gesti come quello di tre piccoli paesi del Molise, che lo scorso anno hanno inviato fondi alla comunità di Kruja, paese albanese gemellato con Portocannone. “C’è orgoglio nel vedere questo scambio di solidarietà . Abbiamo dato una mano durante il terremoto in Albania e ora sono loro a venire in nostro aiuto. Come comunità arbereshe del Basso Molise, poco prima che scoppiasse l’emergenza coronavirus, abbiamo inviato 3 mila euro alla comunità di Kruja, paese albanese gemellato con Portocannone, centro di origine dell’eroe Skanderberg, con cui siamo in contatto”, ha raccontato all’Ansa il sindaco di Portocannone Giuseppe Caporicci che, insieme ai primi cittadini Raffaele Primiani di Ururi (Campobasso) e Giorgio Manes di Monteciflone (Campobasso), hanno promosso una raccolta fondi tra le comunità a minoranza linguistica albanese. “Non è stato facile – ha proseguito Caporicci – ma l’abbiamo fatto. Nel nostro piccolo abbiamo dato una mano ai nostri connazionali. Lo scorso novembre sono stato in Albania e sono stato accolto nel migliore dei modi dalla comunità e dal Presidente della Repubblica Ilir Meta. Sono momenti belli, ricordi unici di vita”.
Primiani, amministratore di Ururi, ricorda come negli anni ’90 la comunità locale accolse molti albanesi fuggiti dal Paese dominato dalla dittatura. “Allora li abbiamo aiutati – spiega all’Ansa il sindaco del paese – Qui hanno trovato lavoro e un futuro. Ci sono famiglie che sono ancora qui a Ururi e anche a Campomarino. Siamo di origine arbereshe, siamo legati, parliamo l’antica lingua albanese del 1450. Mi auguro che dopo questa emergenza riuscirò a realizzare un murales dedicato all’eroe Skanderberg”.
(da agenzie)
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