LASCIA SCAMPIA IL PRETE ANTICAMORRA: COMMOZIONE E RABBIA PER L’ULTIMA MESSA DI DON ANIELLO
IL TRASFERIMENTO DOPO SEDICI ANNI VISSUTI IN TRINCEA A FIANCO DEI PIU’ DEBOLI, PER UN AVVICENDAMENTO SENZA SENSO…”SONO STATO EMARGINATO DALLE ISTITUZIONI E ANCHE DALLA CHIESA: “OBBEDISCO CON LA RAGIONE, NON CON IL CUORE”… HA SOTTRATTO CENTINAIA DI GIOVANI ALLA CAMORRA
Lo scorso luglio oltre mille persone manifestarono contro la decisione delle autorità ecclesiastiche.
Ieri il saluto alla comunità : “Sono stato accusato di esibizionismo, mi sono limitato a stare dalla parte dei più deboli”
Commozione e rabbia per l’ultima messa a Napoli di don Aniello Manganiello, il prete anticamorra che lascia il capoluogo partenopeo dopo sedici anni vissuti in trincea in un territorio ad altà densità camorristica.
Don Aniello, oggetto di minacce di morte da parte della camorra, già la settimana prossima sarà a Roma dove è stato trasferito per ricoprire l’incarico di vicario parrocchiale nella chiesa di San Giuseppe, al quartiere Trionfale. Una scelta spiegata dall’Opera don Guanella con logiche di avvicendamento, e contro la quale si sono espressi nei mesi scorsi politici di destra e di sinistra.
Ieri circa un migliaio di persone ha risposto all’appello riempiendo la chiesa di Santa Maria della Provvidenza al Rione don Guanella sia per la funzione delle 10 dedicata ai bimbi, sia per quella delle 11.30 riservata al resto della comunità .
Le lacrime l’hanno fatta da padrone e lo stesso Don Aniello si è commosso. La sua lettera aperta, distribuita ai parrocchiani e letta durante l’omelia, una sorta di testamento spirituale ma anche un duro j’accuse nei confronti delle istituzioni e della Chiesa che lo avrebbero spesso lasciato solo nelle sue battaglie, è stata più volte interrotta dagli applausi e dalle grida di chi gli diceva di non andarsene.
“Una grande commozione – commenta il prete – che stempera la mia sofferenza. Mi sento violentato psicologicamente per un trasferimento che mi impedisce di proseguire un percorso. Come ho già detto obbedisco con la ragione, ma non con il cuore”.
Durante l’omelia Don Aniello ha esortato la Chiesa ad essere più severa nei confronti della criminalità con prese di posizione più dure: “Specie nell’amministrazione dei sacramenti – ha detto – c’è una certa superficialità . I sacramenti non si buttano via. Gesù disse di non dare perle ai porci”.
Quindi ha ricordato la figura del martire cileno Oscar Romero: “Anch’io come lui sono stato minacciato ed emarginato per essermi schierato dalla parte dei più poveri”.
“Avrei voluto la solidarietà delle altre parrocchie invece di sentirmi dire che ero scomodo o fuori dal coro. Tutto questo mi ha amareggiato. Così come l’accusa di aver strumentalizzato i mass media per crearmi l’immagine di prete anti-camorra. Ma io le minacce di morte le ho ricevute sul serio, non sono un’invenzione”.
Restano i ricordi e la conversione di alcuni camorristi di grido, come il boss Tonino Torre: “Saranno i tizzoni di fuoco che porterò con me per riscaldarmi quando sentirò freddo. Oggi – dice – mi commuovo quando lo vedo pregare in chiesa e arrangiarsi con lavori umili per pochi soldi. O la storia del pusher del clan di Lauro, Davide Cerullo o di Marco, un ex tossicodipendente che oggi allena i ragazzi del quartiere”.
Qualcuno adesso dirà che a Roma sarà al riparo dai rischi di Napoli, ma don Aniello non la pensa così: “Volevo restare, perchè una vita spesa per gli altri è una vita spesa bene”
Tra i parrocchiani qualcuno ha esposto dei cartelloni critici nei confronti della Chiesa partenopea.
‘Signore perdona la Chiesa per quello che ha fatto’, c’era scritto su uno di questi.
E’ finita con cinque minuti di applausi e i fedeli che non volevano lasciare la chiesa.
E con qualcuno che ha sparato fuochi d’artificio: “Sono stati i miei bambini – spiega don Aniello frenando su altre possibili interpretazioni – mi hanno voluto festeggiare così”.
Chi ha potuto assistere all’ultima Messa di don Aniello, chi ha visto uomini e donne, giovani e anziani, accostarsi alla Comunione singhiozzando per il forzato addio a quel simbolo di speranza per tanta gente del Sud, costretta a vivere nel degrado, che lui ha riscattato, non può che aver provato commozione.
Ma anche tanta rabbia per come le isitituzioni, in questo caso religiose, ma spesso anche politiche, nel nostro Paese, non sanno interpretare il desiderio di legalità e di riscatto delle gente umile.
I simboli diventano pericolosi, meglio liberarsene, chi sacrifica la vita per i più deboli finisce per diventare un cattivo esempio in una società dove conta non la sostanza ma il bluff.
Pronti a contendersi la bara ai funerali, nel caso che la camorra li faccia fuori, ma testimoni scomodi in vita di come uno Stato dovrebbe invece agire per estirpare la pianta della corruzione, del degrado, della malavita, della criminale omertà .
I servitori della Stato o della Chiesa, coloro che rappresentano l’emblema di come “agire”, di come “vivere la cristianità ” e la “legalità “, diventano un pericolo in questa nostra povera Nazione.
Come lo sono stati il generale Della Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o don Puglisi.
Uno Stato infame che sa farne degli eroi solo da morti, mai simbolo di riscatto da vivi.
Quelle lacrime che rigavano il volto di tanti giovani di Scampia sottratti da don Aniello a un destino di sangue rappresentano l’Italia che sa ancora lottare per un domani migliore.
Nonostante le istituzioni.
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