LE AFFINITA’ “ELETTIVE” TRA DI MAIO E SALVINI VENGONO DA LONTANO
QUANDO QUALCHE MESE FA, SCRIVEVAMO CHE SI STAVA LAVORANDO DIETRO LE QUINTE ALL’ALLEANZA, MOLTI LETTORI GRILLINI CI DEFINIVANO ELEGANTEMENTE “MESTATORI DI MERDA”
Poichè a restare nella memoria collettiva sono i titoli più che gli articoli dei giornali va riconosciuto che ieri il titolo di prima pagina di maggiore effetto è stato vergato dal direttore del Tempo Gianmarco Chiocci: “L’inciucio è un sacco Fico”.
Quella di “inciuciare” è l’accusa che gli antiberlusconiani a tempo pieno e il Movimento 5 Stelle avevano ripetuto per anni, in favore di telecamere, all’indirizzo al Partito Democratico, colpevole di aver provato a raggiungere accordi duraturi con l’ex Cavaliere e i suoi alleati.
Pur attento a non usare questo napoletanismo assurto nel politichese a sinonimo di “intelligenza con il nemico”, il 31 ottobre scorso raccontai in un commento che “da mesi si sta lavorando dietro le quinte sull’ipotesi di un’alleanza tra M5S e la Lega a vocazione nazionale”.
Fui sommerso dagli insulti via Facebook e Twitter: eccolo, urlavano in maiuscolo i militanti grillini, “il solito mestatore di m.” (sempre educati) che scrive di “scambi di opinioni” tra gli sherpa di Matteo Salvini e Luigi Di Maio finalizzati a valutare “le affinità , più numerose delle differenze” tra il partito eterodiretto dalla Casaleggio e Associati e quello fondato da Umberto Bossi. Tutte bugie, le mie.
Dopo che il centrodestra a guida salviniana e i Cinquestelle hanno eletto insieme i reciproci candidati dalle presidenze di Camera e Senato, è consentito affermare che le affinità ravvisate cinque mesi fa si sono trasformate in bozze di patti governativi, la consistenza dei quali sarà compito del presidente della Repubblica andare a verificare?
Tra Di Maio e Salvini non c’è stato nei giorni nè ci sarà alcun “inciucio”.
Tra simili non si inciucia bensì si procede sulla base di compromessi: se troveranno un minimo comun denominatore programmatico, nei primi mesi a Palazzo Chigi il centrodestra e il M5S governeranno cancellando la legge Fornero, realizzando una versione compact del reddito di cittadinanza, introducendo una specie di flat tax, facendo finta di concretizzare il proposito di Salvini di rimpatriare 600mila migranti, schierando l’Italia al fianco dei paesi più euroscettici.
Perchè è di queste misure e non di altre che si discuterà durante le trattative per la formazione di un esecutivo che abbia i voti alla Camera e al Senato.
A proposito di coerenza: Oscar Wilde sosteneva che è “semplicemente la confessione di un fallimento”. Va dato atto che Di Maio è coerente quando mette il veto a Paolo Romani, candidato di Forza Italia alla guida del Senato, in quanto condannato a un anno e quattro mesi per peculato: aveva dato alla figlia adolescente uno smartphone di servizio del Comune di Monza, del quale era assessore.
Il capo politico del Movimento è un po’ meno coerente quando dà ordine ai suoi senatori di votare la collega Elisabetta Alberti Casellati, che volle con sè la figlia nel 2005 come capo della segreteria del ministero della Salute. Non c’è reato, nel suo caso, ma garantire a un familiare, a spese dello Stato, uno stipendio di 60mila euro l’anno è peggio che regalare un telefonino comunale con annesso abbonamento).
Sarà interessante, mentre le delegazioni dei partiti faranno la spola con il Quirinale, seguire il dibattito tra i Cinquestelle sul blog ufficiale del partito, che non è più quello di Beppe Grillo, e sui social network.
Quali saranno le prese di posizione dei militanti della prima ora, i duri e puri delle battaglie per i beni comuni che Roberto Fico ha ricordato nel suo discorso di insediamento, rispetto alla possibile alleanza con gli eredi della destra estrema, con i tartufi berlusconiani o anche solo con la seconda generazione degli ex separatisti padani?
E quali le reazioni dei tanti ex elettori del Pd che tre settimane fa hanno scelto nelle urne il M5S nella convinzione che Di Maio e compagni avrebbero portato avanti il cambiamento da soli, mica con l’appoggio diretto o esterno del signore di Arcore?
La base grillina è abituata a farsi sentire, non si materializza solo il giorno delle elezioni (e questo è uno dei suoi indiscutibili pregi).
Ne fa parte anche il ventenne che una domenica pomeriggio provò a fare la pipì sul portone chiuso di Montecitorio. Fermato e identificato dai carabinieri in servizio davanti alla Camera, piagnucolò e fu lasciato andare.
Chissà se rifarebbe lo stesso gesto di disprezzo delle istituzioni, ora che il “padrone” del palazzo è uno di quelli che, in quell’autunno 2013, dicevano di volerlo aprire come una scatoletta di tonno.
(da “Huffingtonpost”)
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