LE COSTE ITALIANE SVENTRATE DAI BALNEARI, UN DISASTRO PER L’AMBIENTE E PER L’ECONOMIA
LO STATO INCASSA APPENA 100 MILIONI DI EURO, I CONCESSIONARI HANNO UN GIRO D’AFFARI DA 30 MILIARDI… IL 60% DELLE SPIAGGE DEVE ESSERE LIBERO
I connotati paradossali della vicenda delle concessioni demaniali delle spiagge italiane sono già ampiamente noti, mentre sembrano sottovalutati gli aspetti ambientali che, a guardar bene, sono quelli davvero essenziali. E che riguardano la tutela e la conservazione delle spiagge che sono patrimonio inalienabile di ciascun italiano. Che non solo non sono state garantite dai concessionari, ma sono state addirittura ignorate e disattese. Soprattutto le costruzioni non removibili, in cemento e mattoni, messe in opera dai concessionari nei decenni. Varrà la pena di ricordare che l’articolo 1161 del Codice della Navigazione parla di «esclusione del diritto collettivo d’uso … in modo da impedire la fruibilità… o da comprimerne in maniera significativa l’uso…» e che, in questo contesto, nessuna costruzione è legittima sulle spiagge demaniali.
Sarebbe stato il caso di approfittare della direttiva europea non solo e non tanto per censire i chilometri di spiaggia italiani liberi da concessioni, ma soprattutto per censire quante e quali costruzioni non removibili sono state erette sul patrimonio di tutti quanti noi per favorire il guadagno di pochissimi. Ma anche il censimento delle spiagge si è rivelata una simpatica buffonata: se devo censire un bene comune dovrei appellarmi agli organismi preposti e, in campo ambientale, in Italia, per fortuna, ce ne è uno davvero autorevole che è l’Ispra, per non dire di Cnr, Università, istituti oceanografici e marini, osservatori geofisici. E poi ci sarebbe il buon senso, che indica che non puoi considerare tutta la linea di costa della penisola e delle isole, ma devi censire le spiagge, tenendo però fuori le aree marine protette, i tratti non balneabili, le spiagge abbandonate, quelle dove sorgono le città, per un totale di tratti di costa bassa e sabbiosa non disponibili in concessione a priori di circa il 30% (sottostimando) o meno.
Non stupisce che né l’una né l’altro abbiano guidato il censimento governativo, che nella “Relazione sullo stato di avanzamento dei lavori del tavolo tecnico consultivo” sulle concessioni è arrivato a stimare il totale delle linee di costa in 11.172,794 metri. Una cifra così precisa che fa presumere che tutte le coste italiane siano difese da un perimetro di cemento, perché, se fossero davvero naturali, nessuno potrebbe conteggiarle in maniera esatta, visto che sono in grado di variare di un centinaio di chilometri in pochissimi anni. E, in extremis, a cercare di propalare l’idea che si possano dare in concessione anche le coste rocciose, prefigurando scenari ambientali da incubo, prima che impossibili, perché ciò significherebbe coprire letteralmente di infrastrutture tubulari, metalliche e di legno, fissate, rocce e scogliere (cosa che già accade dovunque si tentano queste sciagurate strade).
Un risultato fantastico, un allungamento delle spiagge senza precedenti, visto che tutti sappiamo che l’Italia ha circa 8.000 chilometri di spiaggia: come hanno fatto a diventare oltre 11.000? Ci sono riusciti grazie agli stessi balneari che erano ben rappresentati al tavolo tecnico, in cui non hanno avuto alcuna voce in capitolo scienziati e ricercatori degli istituti sopra menzionati. Così risulterebbe che solo il 19% delle spiagge è attualmente dato in concessione nel nostro Paese, quando i dati reali ammontano al 69%, una discrepanza che fa tutta la differenza del mondo: nel primo caso non c’è alcun bisogno di applicare la direttiva europea, perché la risorsa non è scarsa, nel secondo bisogna applicarla immediatamente, perché altrimenti la consumiamo tutta.
Fortunatamente la Ue ha già smascherato la presa in giro che è stata messa in piedi e ricordato che c’è già una procedura di infrazione in atto, che ricadrà sulle spalle di tutti noi, che quelle spiagge le vorremmo e le vogliamo libere perché sono di tutti. Per questa ragione propongo un manifesto per la liberazione delle spiagge patrie che si articola nei seguenti punti:
1. Tutte le coste italiane sono patrimonio inalienabile dello Stato e non possono essere privatizzate
2. Il 60% delle spiagge deve essere, tornare o restare libero
3. Il restante 40% può essere gestito in concessione demaniale dai Comuni che possono attrezzarle e metterle a disposizione a prezzi calmierati. I servizi sono gratuiti. Come accade in Francia, Spagna, Grecia e Portogallo
4. Una parte di quel 40% residuo può essere data in concessione ai privati che possono attrezzarla a canoni consistenti con il valore e la scarsezza del bene, con garanzie ambientali rigorose e con gare rinnovate su tempi brevi. A tutt’oggi, a fronte di 100 milioni circa di canoni riscossi, il fatturato dei quasi 13.000 concessionari balneari è di 30 mmiliardi di euro (ammesso che non ci siano entrate non dichiarate). Stabilimenti e lidi devono garantire l’accesso libero alla battigia. Portarsi cibo e bevande in quei contesti deve essere consentito
5. Nessuna struttura permanente (cemento, mattoni o acciaio) può essere imposta sul demanio costiero. Cabine, chioschi, spogliatoi, ristoranti e quanto altro devono essere rimovibili. Eventuali strutture permanenti già presenti vanno abbattute a spese di chi le ha costruite. Il reato di abusivismo sulle linee di costa non è sanabile da alcun condono statale. Per troppo tempo i concessionari si sono sentiti padroni di un bene che è di tutti e hanno costruito dove non avrebbero dovuto, arrivando a risultati clamorosi, come il “lungomuro di Ostia” o gli scempi adriatici
6. Da novembre a marzo nessuna struttura, neanche rimovibile, può persistere sulle spiagge e i litorali vanno sgombrati a ogni stagione.
Così una nazione tutela il proprio patrimonio inalienabile e ne fa attrazione culturale, paesaggistica, ambientale e turistica (e economica) collettiva in nome di un bene comune che non può essere la sommatoria di singoli interessi corporativi. Sottrarre alla speculazione le coste è motivo di soddisfazione per tutti gli italiani, garantirne la libera fruizione e tutelarne le caratteristiche fisiche sono un obbligo di chi amministra. Per fortuna già molti concessionari si comportano così, qui non ci si rivolge a loro, ma a tutti gli altri. E a chi finge di non sentire.
(da lastampa.it)
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