LE UMILIAZIONI DELLE MUSULMANE D’ITALIA: “SIETE TUTTE FIGLIE DI BIN LADEN”
CHAIMAA, ITALO-MAROCCHINA, STUDENTESSA DI LEGGE A MODENA, HA RACCOLTO ON LINE STORIE DELLE DONNE ISLAMICHE CHE VIVONO IN ITALIA, TRA PREGIUDIZI E IGNORANZA
C’è la ragazza incinta, in fila al comune, alla quale chiedono se in pancia porta delle bombe. C’è quella che si presenta al colloquio di lavoro, ma non fa in tempo a tirare fuori il curriculum che viene subito allontanata dal titolare.
C’è la signora che entrando in banca sente l’impiegata dire alla collega: “Oddio, una marocchina, una terrorista”. L’infermiera tirocinante viene offesa e cacciata dalla paziente. La giovane convertita, attaccata sui social perchè “sei una subdola demente, segui una religione di odio e di morte”.
Ci sono Haifa, Nada, Raya, Yasmeen, Inas e i loro racconti di donne velate: un susseguirsi di offese e ingiustizie, per colpa di un foulard che copre collo e capelli.
A raccogliere le loro confidenze è Chaimaa Fatihi: il suo computer e il suo cellulare si riempiono ogni giorno di sms ed email di sfogo.
Chaimaa Fatihi, 24enne italiana d’origine marocchina, studia Legge a Modena ed è membro attivo dei Giovani musulmani d’Italia.
Nel novembre del 2015, all’indomani della strage del Bataclan, a Parigi, una sua lettera contro i terroristi islamici viene pubblicata da Repubblica, da lì ne nasce un libro (“Non ci avrete mai. Lettera aperta di una musulmana italiana ai terroristi”, Rizzoli).
Da quel momento, senza volerlo, Chaimaa diventa un punto di riferimento per le tante ragazze velate italiane, un’amica con cui confrontarsi e sfogarsi. Da qualche settimana, la studentessa ha cominciato a raccogliere le loro confidenze, in una sorta di “diario delle discriminazioni”.
Yasmeen, per esempio, ha 20 anni, frequenta il Dipartimento di infermieristica, sta seguendo un tirocinio presso un ambulatorio e fa qualche visita domiciliare.
In un lungo sms a Chaimaa scrive: “La settimana scorsa mi sono presentata in divisa e con il mio velo a casa di una paziente, ho sorriso, ma non ho fatto in tempo a dire “buongiorno” che la signora ha iniziato a urlare e a umiliarmi solo perchè indossavo il velo. Mi ha giudicato senza darmi il tempo di entrare in casa e di fare il mio lavoro. Sono riuscita solo a dirle: “Sono italiana come lei, sono nata e cresciuta qui, che male c’è se sono musulmana?”. È stato uno shock. La signora mi ha vietato di ripresentarmi. Non sarà un episodio come questo a fermarmi, anzi, ora sono disposta a lottare ancora più di prima e a continuare sulla mia strada”.
Haifa racconta invece di quella volta che, mentre la mamma velata entrava in banca, la cassiera sbottava: “Oddio, una terrorista”. Raya, studentessa, ricorda quando alle medie la chiamavano la “figlia di Bin Laden” e un compagno le strappò l’hijab dalla testa davanti a tutta la classe. Non solo. Al telefono Raya non nasconde la rabbia per quell’altra volta in cui “ero in comune a fare la fila, ero incinta e un signore mi chiese se il bambino in pancia portasse anche delle bombe”.
Inas confida a Chaimaa di quando a un colloquio di lavoro il titolare le disse: “Assumere una ragazza con il velo alla reception non va bene perchè non offre una buona immagine ai clienti. Te lo dovresti togliere, sai?”.
E ancora: Faatina torna al momento in cui salendo su un aereo per un volo Oslo-Milano si sedette insieme al marito e al figlio dietro a due ragazzi, che cominciarono subito a messaggiarsi tra loro: “Attento, ci sono due musulmani dietro di te, spero non siano terroristi. Hanno un bambino, ma non si sa mai”.
Nada, italiana convertita all’Islam, riceve regolari insulti su Facebook e li gira a Chaimaa: “Vergognati, i tuoi nonni si rivolteranno nella tomba. Ma come si fa a convertirsi all’Islam, questa pseudo-religione di odio, di morte e mortificazione della donna. Lei e i quattromila che cambiano religione ogni anno nel nostro Paese siete dei subdoli dementi”.
Chaimaa commenta: “Per me è un dolore continuo ascoltare queste storie, tutte le ragazze che mi contattano sono e si definiscono italiane. La loro sofferenza è sentirsi rifiutate nel proprio Paese. Sono vicende tutte simili che si ripetono. Ci si sente estranee, ferite. Sono cicatrici che rimangono per sempre addosso. Dopo gli attentati terroristici, compiuti da gente che bestemmia il nome di Dio e tradisce l’Islam, la situazione si è fatta esplosiva. Come se tutto ciò di terribile che accade nel mondo fosse colpa nostra e del nostro essere semplicemente delle giovani musulmane italiane”.
(da “la Repubblica”)
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