L’ECONOMISTA GIAMPAOLO GALLI SPIEGA PERCHE’ IL GOVERNO MELONI HA PROBLEMI BEN PIU’ SERI DEL PIL CHE CRESCE POCO
IL DIRETTORE DELL’OSSERVATORIO SUI CONTI PUBBLICI ITALIANI LI ELENCA: “L’INCERTEZZA INTERNAZIONALE, LA RIDUZIONE DELLA SPESA PUBBLICA E PREVISIONI POCO CHIARE INSERITE NEL PSB”
Sono le settimane in cui il governo Meloni lavora sulla sua legge di bilancio, ma soprattutto quelle in cui il Parlamento ha dato il via libera al Piano strutturale di bilancio (Psb): il documento su cui si baseranno i conti dell’Italia per almeno i prossimi cinque anni. Ha fatto molto discutere il fatto che il Pil quest’anno non arriverà a salire dell’1% – come invece aveva preventivato il governo Meloni – ma al massimo dello 0,8%.
Fanpage.it ha intervistato Giampaolo Galli, economista e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani all’Università Sacro cuore di Milano, che ha un lungo passato di incarichi di alto livello (dalla Banca d’Italia, a Confindustria, alla Commissione europea).
Secondo Galli, concentrarsi sulla stima crescita del Pil di quest’anno significa fare “troppo rumore per poco”. Le questioni a cui il governo Meloni dovrà fare attenzione sono altre. L’instabilità internazionale, ad esempio. O la necessità di ridurre il debito pubblico facendo crescere pochissimo la spesa pubblica nei prossimi anni – e questo include i finanziamenti alla scuola, le pensioni, i contratti pubblici – con quella che comunque Galli non vuole chiamare “austerità, ma semplice “prudenza”, che è “del tutto appropriata” vista la situazione italiana. Infine, l’esecutivo dovrà render e conto di alcune stime molto ottimistiche sul calo del deficit che ha inserito nel Psb.
Professore, è stato un documento dell’Istat a portare al ribasso della stima di crescita del Pil di cui si è parlato molto: ci spiega nel modo più semplice possibile come siamo arrivati a questo punto?
Due cose sono successe. Prima l’Istat, avendo i dati definitivi soprattutto dei bilanci di alcuni milioni di micro imprese, ha rivalutato il Pil degli anni passati. Questa prima operazione ha abbassato un po’ il rapporto debito/Pil e deficit/Pil, e questa revisione è già incorporata nel Piano strutturale di bilancio di Giorgetti. Dopo che il ministro ha pubblicato il Piano, l’Istat ha fatto un’ulteriore operazione: in pratica, alla luce dei nuovi dati, ha usato una miriade di indicatori per capire come sono andati i singoli trimestri dei vari anni passati, compresi i primi due trimestri del 2024.
E sul 2024 ha calcolato che la crescita del Pil era stata più bassa di quanto si pensasse?
Sì, si è abbassata la crescita del Pil “acquisito”, cioè il livello di Pil che si avrebbe se il dato del secondo trimestre di quest’anno si ripetesse identico nel terzo e nel quarto trimestre. Il Pil acquisito si è ridotto dello 0,2%. Dall’1% di crescita stimata per quest’anno, siamo scesi allo 0,8%.
Il governo ha sostanzialmente ammesso che non si arriverà all’1% di crescita, e politicamente questo ha fatto discutere. Dal punto di vista delle finanze pubbliche, quanto è significativo il ribasso?
Non molto. Penso si sia fatto un po’ troppo rumore per poco.
In che senso?
La stima sul deficit di quest’anno – che è poi il dato più rilevante – non si basa sull’andamento del Pil, ma sulle entrate e sulle uscite dello Stato. Perciò cambia poco rispetto a quello che c’è scritto nel Piano strutturale di bilancio.
Questo ribasso non avrà un forte effetto sulla legge di bilancio, dunque?
No, direi di no. Non c’è nulla che ci possa indicare che il ribasso si replicherà anche nei prossimi anni. Dal 2025 in poi si prevede una crescita del Pil attorno all’1%. Per le future decisioni del governo avranno molto più peso le incertezze geopolitiche e la guerra in Medio Oriente rispetto a uno 0,2% di Pil in meno.
Il ministro Giorgetti ha parlato di “sacrifici per tutti” nei prossimi anni, mentre la presidente del Consiglio Meloni ha rivendicato che non ci saranno sacrifici né aumenti delle tasse. Chi ha ragione?
I numeri dicono che il deficit italiano dovrebbe scendere (stando al Piano strutturale) dal 3,8% del Pil di quest’anno al 2,9% l’anno prossimo, e addirittura al 2,1% nel 2026. Questo vuol dire che la spesa pubblica dovrà aumentare in modo molto, molto, molto, molto contenuto. In molti casi crescerà meno dell’inflazione, o comunque non recupererà l’inflazione passata. L’orientamento della politica di bilancio è restrittivo, su questo non c’è dubbio.
Quando parliamo di “spesa pubblica” che non cresce o cresce pochissimo parliamo di sanità, istruzione, pensioni…quali conseguenze concrete possiamo aspettarci?
Non vuol dire necessariamente che ci saranno enormi sacrifici e maggiori tasse, ma sicuramente molte spese dovranno crescere a un ritmo molto modesto. Anche se va detto che il governo ha escluso la sanità, da questo elenco. Sicuramente questa situazione creerà delle fasce di scontento e insoddisfazione.
Stiamo andando verso un ritorno dell’austerità?
L’austerità secondo me è un’altra cosa. Parlerei di “prudenza”, e quella di Giorgetti mi sembra del tutto appropriata. Noi abbiamo un debito pubblico altissimo.
Quindi non è una ‘colpa’ del governo, ma una necessità legata al debito, se l’esecutivo si troverà ad affrontare una stagione di tagli alle spese?
Siamo il Paese che ha lo spread più alto in Europa, analogo a quello della Grecia (ma il debito della Grecia sta scendendo molto rapidamente rispetto al Pil). Siamo l’anello più ‘deboluccio’ della catena dell’Eurozona. Indubbiamente dobbiamo stare attenti. E sicuramente è nell’interesse dell’Italia ridurre questo spread.
Lo spread misura quanto è più alto il nostro debito pubblico (rispetto al Pil) in confronto ai Paesi più ‘virtuosi’ della zona Euro. Perché sarebbe utile abbassarlo?
Perché per pagare gli interessi sul nostro debito pubblico spendiamo ogni anno un mare di soldi: tanto quanto per l’istruzione. È un enorme spreco. Lo ha ricordato il presidente della Repubblica: la nostra spesa per gli interessi supera quella di Germania e Francia messe insieme. È un dato che grida vendetta, perché quei soldi li potremmo usare per la sanità, per la scuola…
Lei ha decenni di esperienza con i conti pubblici. C’è qualcosa di questo Piano strutturale del governo Meloni che non le torna?
Diciamo che c’è una domanda a cui il ministro Giorgetti non ha risposto.
Quale?
Nel 2024, per via della buon andamento delle entrate e altri fattori, il deficit sarà decisamente più basso rispetto a quanto il governo aveva stimato ad aprile nel Def: doveva essere il 4,3%, sarà il 3,8%. È un calo dello 0,5% del Pil, ovvero circa 10 miliardi di euro. E fin qui nessun problema. Ma non è chiaro perché negli anni successivi il governo abbia previsto che il deficit continuerà a scendere, dello 0,8% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026.
Insomma, nel Piano il governo ha scritto che il deficit continuerà ad abbassarsi parecchio, ma si capisce sulla base di cosa. Perché è così importante?
Il deficit tendenziale è il dato su cui si basano tutte le stime della Ragioneria di Stato, tutti i calcoli per stabilire se ci si può permettere di varare una misura o un emendamento parlamentare, eccetera. Un deficit tendenziale così basso, come stimato dal governo, creerebbe lo spazio per fare manovre espansive: uno spazio di circa 50 miliardi di euro. Ma non è chiaro perché sia così basso, nelle loro previsioni. E questo crea dei forti interrogativi. Interrogativi su cui, dal punto di vista politico e tecnico, non sono arrivate risposte finora.
(da Fanpage)
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