LETTA E ALFANO IN RITIRO, PRIME CREPE DA INCIUCIO
DURO CONFRONTO TRA I DUE EX DEMOCRISTIANI, FACCE TETRE: CORNICE PENITENZIALE AL RITIRO IN ABBAZIA… UNA MESSA IN SCENA A USO MEDIA, IN REALTA’ A MEZZOGIORNO E’ GIA TUTTO FINITO
Da hooligan del berlusconismo più feroce, quello della piazza anti-pm di Brescia, a democristiani dell’inciucio nel giro di appena un giorno.
Angelino Alfano e Maurizio Lupi sabato erano al fianco del Cavaliere che gridava “i pm non mi fermerano”, nella tarda mattinata di ieri sono invece saliti sul van scuro della Presidenza del Consiglio insieme con Enrico Letta e Dario Franceschini.
Altro che ritiro nell’abbazia di Spineto per “fare spogliatoio”.
Il vertice a quattro in autostrada, nel viaggio da Roma a Sarteano, vicino a Siena, si è trasformato in un durissimo chiarimento che ha prodotto la prima fragile tregua del governo Letta.
Alle sette di sera, nella sala stampa all’interno della tenuta di Spineto, si sono presentati i portavoce di premier e vicepremier e hanno letto un comunicato: gli esponenti dell’esecutivo non parteciperanno fino al prossimo test amministrativo a manifestazioni elettorali o dibattiti radiotelevisivi che non abbiano “pertinenza con l’ambito delle materie di cui si occupano”.
Una scena molto grillina, con il tavolo occupato dai portavoce, per una decisione su cui Letta e Alfano hanno preferito non mettere la faccia direttamente .
Del resto le facce dei quattro, all’arrivo nell’abbazia, erano tetre.
Un vera penitenza, per rimanere in tema di ritiro.
Sotto una pioggia improvvisa e violenta, i primi a scendere dal van sono stati Alfano e Lupi, seduti spalle all’autista.
Poi Letta, infine Franceschini.
Il “confronto” viene descritto “duro e franco”, senza esclusioni di colpi.
Il primo a sfogarsi è stato il premier, che si è spinto fino a una minaccia: “Caro Angelino, ti deve essere chiaro che io non devo governare a ogni costo. Quello che è successo a Brescia è inaccettabile”.
Al suo fianco, Franceschini annuiva convinto, facendo presente che il macigno Berlusconi è “è un peso insopportabile per i nostri militanti e dirigenti locali”.
Alfano si è difeso e ha rivendicato la partecipazione sua, di Lupi e di Quagliariello: “Una guerra di vent’anni non si può risolvere in due giorni. Noi ci stringiamo al nostro leader e non vogliamo maggioranze variabili su singoli temi”.
In pratica, un muro contro muro. Il primo “scazzo” tra i due giovani democristiani di un tempo.
Il segretario del Pdl telefona anche a B. per ottenere il sì alla decisione comune.
La tregua, prima di arrivare all’abbazia, viene tradotta come una vittoria del premier ai punti: “Un codice di comportamento”, che impedirà ai ministri di andare ad altre manifestazioni elettorali, come quella, per esempio, prevista il 24 maggio a Roma, al Colosseo, con Berlusconi e Alemanno per chiusura della campagna del candidato sindaco del Pdl nella Capitale.
Accanto al metodo c’è però pure la sostanza esplosiva della questione giustizia.
Di fronte al pacchetto reiterato sabato da B. (separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati, intercettazioni), Letta avrebbe opposto un’altra visione delle cose: “La giustizia non è tra le priorità di questo governo. Noi partiamo da Europa, lavoro e casa”. Stop.
Il problema, almeno a sentire i fedelissimi del premier, viene retrocesso nella terza e ultima cerchia del suo schema di lavoro.
È la trascendenza dell’inciucio di Letta: nel primo girone c’è l’attività di governo, nel secondo il rapporto tra esecutivo e Parlamento, nel terzo, solo nel terzo le tensioni dei partiti.
Questo il sentiero che ha brevemente ripetuto ai ministri una volta cominciata la prima sessione di lavori a Spineto.
Una riunione iniziata con due ore di ritardo. Letta in mezzo ad Alfano e al sottosegretario di Palazzo Chigi, Patroni Griffi, poi i venti ministri seduti lungo i due lati del tavolo a ferro di cavallo.
A loro è stata illustrata anche la decisione presa nel vertice di viaggio e i ministri l’hanno incassata come se già sapessero tutto o immaginessero i contenuti del chiarimento.
Qualcuno ha tentato di intervenire ma alla fine ci si è buttati nella discussione dei vari dossier. “Lezioni e tecnicismi”, risponde un ministro interpellato via sms durante il dibattito.
In realtà la “due giorni” tanto sbandierata da Letta, si riduce a due mezze giornate.
Dalle diciannove alle ventidue di ieri, dallo otto (si spera) a mezzogiorno di oggi.
Su ventitrè componenti del governo (compresi il premier e Patrioni Griffi) solo undici hanno preso il pullman per la “gita” da Palazzo Chigi all’abbazia di Spineto trasformata in un centro congressi molto esclusivo.
Da soli, con l’auto blu, sono arrivati Orlando, Carrozza, Delrio, Idem, Bray (per lui la solita Panda rossa già usata per il giuramento), Nunzia De Girolamo (che è ha pranzato con la figlioletta di 11 mesi per la festa della mamma), Trigilia, Saccomanni.
Poi i quattro del van.
Infine gli “sfigati” del torpedone dello spogliatoio, tra cui la guardasigilli Cancellieri e la Bonino, titolare degli Affari esteri.
L’ombra nerissima dei guai del Cavaliere ha dato una cornice penitenziale al ritiro.
I ventitrè hanno pure cenato in piedi: pappa al pomodoro, pizzette, affettati e formaggi, fagioli all’uccelletto.
Come vino il Brunello offerto dal sindaco di Montalcino.
Ma il paese confinante con Sarteano è Radicofani, laddove Eugenio Scalfari pescò la figura del brigante Ghino di Tacco per Bettino Craxi.
Oggi il nuovo Ghino di Tacco è il Cavaliere.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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