LIBIA, IL NOSTRO PAESE NON E’ PIU’ NEL MEZZO: PARTECIPARE SI’, SPARARE NO, ERA UNA POSIZIONE RIDICOLA
SARA’ IL COMANDO NATO A DEFINIRE DI VOLTA IN VOLTA LA MISSIONE CHE GLI AEREI ITALIANI DOVRANNO COMPIERE… L’ITALIA ENTRA A PIENO TITOLO NELLA MISSIONE ONU CONTRO IL CRIMINALE GHEDDAFI
Gli aerei con i quali l’Italia partecipa all’«operazione Libia» potranno utilizzare le loro armi offensive e da bombardamento ogni volta che il comando operativo della Nato lo riterrà utile.
La svolta nella posizione italiana (fino a ieri si era detto che i nostri Tornado erano impegnati in numerose missioni, ma «non sparavano») è stata confermata nella conversazione telefonica di ieri sera tra Barack Obama e Silvio Berlusconi, ma nasce in realtà da una marcia di avvicinamento alla quale hanno lavorato per settimane i più stretti collaboratori del presidente del Consiglio, il Quirinale, i ministri Frattini e La Russa e la diplomazia italiana ai suoi livelli più alti.
Non è impossibile seguire il filo del nostro progressivo ripensamento.
Si ricorderà che l’Italia, a maggior ragione dopo che gli Usa avevano fatto un passo indietro rinunciando al comando delle operazioni in Libia, aveva insistito nella richiesta che ad assumere questa responsabilità fosse l’Alleanza Atlantica e non il duo anglo-francese.
Con qualche concessione alla «cabina di regia politica» voluta da Sarkozy, la linea italiana andò in porto e la Nato mise il suo dito sul grilletto.
Con alcuni risultati paradossali, però.
L’interpretazione della risoluzione 1973 dell’Onu sulla difesa dei civili non cambiò, i bombardamenti continuarono, e il ritiro di gran parte degli aerei Usa, lasciando in prima fila francesi e britannici, fece sorgere la necessità di coinvolgere altri velivoli che «sparassero».
Giunsero così a Roma le prime richieste del Segretario generale dell’Alleanza Rasmussen, ma la risposta italiana fu ancora no: in Libia eravamo l’ex potenza coloniale, facevamo già abbastanza, offrivamo le nostre basi agli alleati, insomma non volevamo andare oltre.
Un Consiglio dei ministri ratificò questo orientamento, ma non in maniera formale.
Dietro le quinte acquistavano contemporaneamente un peso non trascurabile le parole piuttosto univoche del capo dello Stato, che voleva piena e operativa fedeltà alle alleanze.
E diventavano più attivi, anche, quanti facevano presente che rimanendo a metà dal guado (partecipare sì, sparare no) ci facevamo carico di tutti gli oneri del caso ma non raccoglievamo alcun beneficio politico oggi nei rapporti con chi si esponeva e domani nella prospettiva di una revisione globale dei rapporti con la Libia dopo un eventuale e auspicato allontanamento di Gheddafi.
Espressione di questa scuola «realista», che tendeva a superare la nota contrarietà della Lega ad un nostro maggiore impegno in Libia, sono stati il riconoscimento del Consiglio di Bengasi come unico interlocutore libico dell’Italia, le dichiarazioni del ministro Frattini sulla riflessione da fare circa la fornitura di sistemi «non letali» agli insorti, e infine la decisione di inviare alcuni istruttori militari in Libia come avevano già fatto Gran Bretagna e Francia.
Gli ultimi dieci giorni hanno visto aprirsi la fase decisiva.
Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio di transizione di Bengasi, è venuto a Roma e, dopo averlo ringraziato per il riconoscimento, ha detto personalmente a Berlusconi che serviva un maggior impegno militare se ci si voleva liberare di Gheddafi senza spaccare la Libia in due.
Le stesse argomentazioni sono state espresse da Gates a La Russa, da Hillary Clinton a Frattini, ancora da Rasmussen a Berlusconi, ma la svolta si è verificata venerdì scorso quando il presidente del Consiglio ha ricevuto la visita del senatore Usa John Kerry, ex candidato alla Casa Bianca e notoriamente vicino al presidente Obama.
Da quel momento, acquisito il cambiamento, la nostra diplomazia si è mossa in discesa fino all’annuncio di Pasquetta.
I velivoli italiani potranno ora far uso di missili normalmente utilizzati per colpire postazioni antiaeree, ma è evidente che una volta eliminato il caveat sin qui in vigore sarà il comando Nato a definire di volta in volta la missione da compiere attraverso strutture di comando e controllo nelle quali peraltro l’Italia è puntualmente rappresentata.
La scelta fatta ieri dal governo, che rientra nel mandato parlamentare ricevuto, corregge una incongruenza che ci aveva collocati a metà strada tra la rispettabile posizione tedesca (un no su tutta la linea) e quella altrettanto rispettabile benchè opposta di Francia e Gran Bretagna.
Rimanendo nel mezzo, rischiavamo l’ambiguità e il ritorno di vecchi e poco edificanti stereotipi. Non solo.
Sul fronte interno, Berlusconi non dovrebbe essere a corto di argomenti per spiegare alla Lega che sbagliare approccio in Libia significa esporsi ancora di più alle ondate migratorie.
La vicenda libica, insomma, resta confusa e piena di trappole (come dimostra la continuazione dei bombardamenti lealisti su Misurata).
Ma la confusione italiana, almeno quella, è stata superata.
Franco Venturini
(da “Il Corriere della Sera“)
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