L’IMPRESA DEL NORD CHE HA NOSTALGIA DELLA VECCHIA LEGA, NON SI SENTE RAPPRESENTATA DA SALVINI E SOGNA ZAIA E GIORGETTI
PER DIFENDERE I LORO INTERESSI CERCANO UN PARTITO CHE NON C’E’
Il Covid-19 riapre la questione del nord. Ed è un tema politico che coinvolge il ceto dirigente, quell’èlite che trova in questo pezzo di Paese travolto dal virus dei virus il fulcro di un intero sistema.
Il nord appunto è in ansia, ribolle, è in difficoltà perchè teme di non riemergere dal Coronavirus. Non a caso proprio ieri Carlo Bonomi, nella sua prima relazione da numero uno di Confindustria, ha inviato un messaggio forte e chiaro al governo di Giuseppe Conte: basta con la burocrazia, con la moltiplicazione di nuovi istituti e di procedure, con i bonus a tempo, qui il Paese riparte se si mette mano agli investimenti, se si snellisce il sistema e si gettano le basi per riforme strutturali. Con un non detto, forse.
Per ricominciare l’Italia non può non prescindere dal nord. Questo pezzo di Stivale si sente orfano perchè non è rappresentato politicamente. Perchè Matteo Salvini ha rideclinato il leghismo in chiave nazionale.
Eppure, secondo Gabriele Albertini, sindaco di Milano dal 1997 al 2006, che non nasce politico ma imprenditore di una ditta che si occupava di pressofusioni in alluminio, prima di buttarla in politica, di sciorinare scenari, è necessario disvelare un sentimento diffuso.
E qual è? “Quando sono entrato in ditta — racconta – e mi occupavo del personale c’era un mondo che andava dal sindacale alla politica che era antimpresa. Un sentimento che è rimasto intatto. Allora la ricetta vera è: porre al centro della nostra Costituzione sì il lavoro, ma anche l’impresa”.
Ecco Albertini sostiene che si debba rimodulare l’articolo 1 della Carta Costituente: “Sarebbe un gesto simbolico. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ma anche sull’impresa”. Può bastare? L’ex primo cittadino di Milano si ferma, riflette, e prova a tratteggiare il passo successivo: “Bisognerebbe poi intervenire sul rapporto di lavoro, sul fisco, sui lacci e lacciuoli, come li chiamava Guido Carli”. In sostanza, sbrurocratizzare. “Oggi per aprire una attività — insiste Albertini — bisogna chiedere permessi a diverse entità . E’ un processo complicatissimo”.
Dello stesso avviso è Paolo Agnelli, presidente di Confimi industria, alla testa di 40 mila piccole e medie imprese del manifatturiero ed erede dell’impero dell’alluminio fondato nel 1907. Il quale parla da Bergamo, epicentro del Covid-19: “Urge – osserva – fare un piano di rilancio del Paese partendo da una struttura di esperti, composta da imprenditori e da qualche economista, da gente insomma che conosce, che ha lavorato per davvero. Penso a una figura come Leonardo Del Vecchio, il patron di di Luxottica. D’altro canto ci siamo resi conto in queste settimane che il governo non è in grado di emettere provvedimenti che hanno un senso logico. Sembra quasi non conoscano la burocrazia italiana. Quando è uscito il decreto liquidità siamo rimasti sbalorditi lo abbiamo detto: si deve agire in deroga. Lo hanno capito che abbiamo perso un trenta per cento di produzione?”.
Gli fa eco Sandro Venzo, altro imprenditore e presidente di Confartigianato a Bassano del Grappa. Venzo sbotta dalla regione guidata da Luca Zaia: “Qual è il progetto industriale del Paese? Mi servo dei dati del Sole 24ore, il Pil dell’Eurozona è -7,7%, quello dell’Italia -9,5. Un Paese che vuole ripartire deve fare scelte diverse, ma radicali, non solo non arrivano i 25 mila euro, ma tenga conto che il decreto appena approvato mette 130 milioni di euro sui monopattini e 200 milioni sulle auto. Ci rendiamo conto?”.
Ed è a questo punto che Venzo introduce un argomento, un altro tema che divide il nord dal governo, vale a dire l’autonomia: “Il sistema va cambiato, lasciar volare quelli che volano e insegnar a camminare quelli che camminano. Per me l’autonomia significa questo. Il più bravo della classe deve essere visto come modello”.
In questo contesto l’altro tassello che manca è la Lega d’antan, quella di Umberto Bossi che aveva un radicamento vero nel territorio e fungeva da cinghia di trasmissione con il governo.
Una funzione che oggi è interpretata dal duo Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Un Carroccio di governo, pragmatico, vicino al tessuto produttivo, che non sposa posizioni anti Ue a colpi di tweet, che si discosta dai Bagnai e dai Borghi, e che soprattutto si ricordi di questo pezzo di Paese.
“La Lega di governo? C’è questa venatura più moderna, meno populista e più vicina agli imprenditori. Su questo tipo di Lega si può fare un investimento, sperando che questa leadership sia maggioritaria”, afferma Albertini.
Insomma più Giorgetti, meno Salvini? Al solo sentire il nome dell’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio gli imprenditori si mettono sull’attenti. “Salvini – dice Agnelli – ha avuto il merito di portare tanti voti, non so se riuscirà a tenerli. Ho visto che ha messo gli occhiali, mi auguro che voglia seguire Giorgetti. E che soprattutto abbandoni certe posizioni”.
Il nord operoso e realista non digerisce la propaganda della Bestia ed è nostalgico della vecchia Lega. Non a caso sia Venzo che il signore delle pentole condividono l’idea di Giorgetti di un governo di unità nazionale per uscire dall’emergenza. “Sarebbe la soluzione ideale. A giugno ci sarà il precipizio e a settembre si salvi chi può”, avvertono. “I dati dicono che la Lega sta scendendo con Salvini a fare il Capitano”, ricorda Venzo che un attimo evoca il nome di Luca Zaia, il presidente della Regione Veneto che ha fatto la differenza in questa emergenza, che oggi svetta nei sondaggi e addirittura secondo alcuni istituti di ricerca avrebbe superato il premier Giuseppe Conte.
Roberto Papetti, direttore del Gazzettino, il quotidiano principale di Venezia, spiega così le ragioni dell’exploit del doge: “Zaia si è posto come punto di riferimento, ogni giorno una conferenza stampa, ha avuto la forza e il coraggio di prendere alcune decisioni. Ad esempio, è stato lungimirante sui tamponi, sulla chiusura di Vo’ Euganeo. Aveva un consenso alto che poi si è ingigantito. Questa volta però c’è un dettaglio”. Quale? Continua Papetti che dal suo osservatorio intercetta prima di altri i fenomeni politici: “Rispetto al passato è un successo più nazionale. La sua leadership viene riconosciuta nel resto del Paese. Ecco perchè Zaia si trova di fronte a una scelta. Nel momento in cui si tornerà alle urne, e non sappiamo quando, il centrodestra dovrà scegliere un leader. E chi sarà ? Salvini saprà imporsi come candidato o in virtù del mutato clima politico ci si domanderà se non sarà il caso di puntare su una figura come quella di Zaia? Il presidente del Veneto ha un rapporto ottimo con Forza Italia e Berlusconi, non ha mai avuto una frizione con Giorgia Meloni e ha un profilo molto più tranquillizzante”.
(da “Huffingtonpost”)
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