LO CHEF LOCATELLI CHE OGGI RIAPRE A LONDRA: “A DIFFERENZA DELL’ITALIA QUA ABBIAMO DAVVERO CHIUSO PER TRE MESI”
“LA CASSA INTEGRAZIONE HA FUNZIONATO E ABBIAMO AVUTO PRESTITI GARANTITI DAL GOVERNO CHE ORA GRADUALMENTE RESTITUIREMO”… “IN ITALIA I RISTORATORI SONO POCO FLESSIBILI”
“L’incertezza ha generato la rabbia dei ristoratori italiani, ma non è scusabile la violenza”. Giorgio Locatelli, primo italiano all’estero ad essere premiato con una stella Michelin con la Locanda Locatelli, commenta così a HuffPost le proteste dei ristoratori contro le misure restrittive del governo italiano. Lo chef, dopo il successo della decima stagione di MasterChef – lo show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy -, è pronto a tornare alla guida del programma. Ma prima c’è il suo ristorante da riaprire – questa volta senza nuove chiusure all’orizzonte – per la prima volta dopo l’ultimo lockdown inglese.
Chef Locatelli, oggi riapre il suo ristorante a Londra.
“Finalmente riapriamo per la cena, siamo completamente sold out. Il telefono non smette mai di suonare. La gente vuole tornare a vivere la convivialità, che è un piacere di cui non ci si può dimenticare. Vedo che le persone sono contente di poter tornare a vivere certi piaceri”.
Che emozioni prova a poche ore dalla riapertura?
“Mi sento sollevato. Quando il ristorante è chiuso, senza nessuna entrata, è un problema. Ora possiamo ricominciare con una visione abbastanza ottimista. Non ci chiuderanno nuovamente tra due o tre mesi, questa è l’ultima volta che riapriamo. Ciò è molto importante perché possiamo pensare al futuro, possiamo fare dei piani, decidere un budget per progettare i prossimi sei mesi. Tapperemo i buchi che si sono creati. Per essere ancora qui si sono creati dei debiti che adesso possiamo ripagare”.
Ha detto qualcosa in particolare ai suoi dipendenti?
“Non ancora. Alle cinque riapriamo ma mezz’ora prima ceneremo insieme a tutto lo staff. Viviamo come una famiglia, non facciamo i briefing ma mangiamo insieme. Mi sono preparato un discorso, spero di riuscire a farlo per caricare tanto il mio staff. Ma i miei dipendenti sono già carichi, erano stufi e volevano tornare a lavorare. Tutto il nostro comparto vuole lavorare e non restare chiuso. Il nostro è un lavoro che non riesci a fare bene se sei obbligato. Abbiamo avuto problemi con dipendenti che, non avendo più contatti con i clienti, sono andati in depressione. Si rende conto?”
É stata una situazione difficile a livello umano oltre che economico.
“Il nostro non è un lavoro di produzione ma di contatto con il cliente. Tante volte il cliente riesce a darci tanto. Noi non siamo solo servitori, ma esiste uno scambio con i clienti che da ritmo alla nostra vita. Senza questo contatto ci manca un aspetto essenziale di quello che siamo davvero, di quello che valiamo e del nostro posto nel mondo”.
Qual è il clima a Londra, che ha appena raggiunto l’immunità di gregge?
“L’attenzione resta alta. Lo smartworking è ancora attivo in alcuni casi per non congestionare la città. Fino a oggi non c’erano tante persone per strada, ora staremo a vedere con le riaperture. La gente deve imparare nei prossimi mesi a comportarsi in un certo modo. Nonostante le tantissime persone vaccinate non si possono correre rischi. Dobbiamo rispettare le distanze e l’uso delle mascherine. Sono cose importantissime e di base. Vedo le persone per strada che ora, nonostante la mascherina sul volto, sorridono. Prima vedevo solo gente con la testa bassa. C’è un sentimento di rinascita”.
La situazione in Italia è diversa. I ristoratori sono scesi in piazza per protestare contro il governo.
“Io personalmente manco dall’Italia da tanto tempo ma non posso non avere un’idea della situazione. Mi sono accorto di una cosa: la cassa integrazione italiana non ha funzionato e ha resto impossibile la vita a molte persone. Molti lavoratori del mondo della ristorazione si sono ritrovati senza entrate e con una famiglia, dei figli e un affitto da pagare. Come fai? Lo lasci sulla strada? Chi deve pagarlo?”.
In Inghilterra il sistema della cassa integrazione ha funzionato diversamente?
“In Inghilterra il sistema ha funzionato benissimo. Qui i dipendenti erano più tranquilli, avevano i soldi necessari per vivere e ora sono tutti pronti per ricominciare. In Italia non è stato così. Le persone sono arrabbiate per questo ma io non condono mai la violenza. È brutto vedere le persone che lavorano nel mondo dell’hospitality usano la violenza per dimostrare le proprie intenzioni. Ho sentito una persona dire che noi ristoratori ‘siamo tutti nella stessa barca’. Ma non è vero. Siamo tutti nello stesso mare ma su barche diverse. Un ristorante con 50 dipendenti è diverso da quello che ne ha tre. Le chiusure, le riaperture, la suddivisione delle regioni per colori, hanno creato indecisione e quindi anche rabbia. In Inghilterra hanno deciso di chiudere tutto. Se avessero fatto così anche in Italia forse la situazione sarebbe diversa. Ma è stata dura anche per noi”.
Mi spieghi.
“Siamo stati chiusi per tre mesi. Abbiamo fatto dei prestiti, garantiti dal governo, per non chiudere. Ma dovremo restituire i soldi, abbiamo preso dei rischi. In Italia non c’è una rappresentazione ministeriale della ristorazione e questo è un problema. In Inghilterra sono stati nominati degli assistenti del Ministro del Turismo che si sono occupati delle singole categorie come ristoranti, hotel, pub. Avere persone che rappresentano singole categorie è più efficace. I politici devono capire esattamente quali sono i problemi delle singole categorie. La gente è disperata e io non sarei così positivo se il sistema inglese non si fosse preso cura adeguatamente del personale del mio ristorante. Ho vissuto meno ansia sapendo che il mio staff aveva abbastanza soldi per vivere”.
Qual è la lezione che il mondo della ristorazione deve imparare dalla pandemia?
“La lezione importantissima è che dobbiamo avere flessibilità nel mondo della ristorazione. Bisogna essere capaci di cambiare e dobbiamo ricordarci che il nostro business è dedicato a persone che consumano in modo differente. Il mondo è cambaito rispetto a 50 anni fa e il ristorante è lo specchio dei cambiamenti. Anche un ristorante aperto da 30 anni, se non si adegua ai nuovi clienti, è un locale nullo. Dobbiamo essere capaci di cambiare e trasformarci. In Italia ci sono ristoranti gestiti dalla stessa famiglia da tantissimi anni che non cambiano mai. Il business di chi non è capace di cambiare non vale niente”.
(da Huffingtonpost)
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