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LO STORICO ALBERTO NEGRI: “NON E’ STATO UN BLUFF, MA UN REGOLAMENTO DI CONTI TRA PRIGOZHIN E PUTIN”

“LA RUSSIA IN UCRAINA HA GIA’ PERSO”

Alberto Negri risponde poco dopo aver concluso un pasto di tutto rispetto: souté di cozze. Cotto a puntino e gustoso. Esattamente come è stato “cucinato”, nella giornata di sabato 24 giugno, Evgeniy Prigozhin. La cui ribellione è rientrata in giornata “e non si può certamente definire una vittoria. Ma, caro Andrea”, ricorda con il suo proverbiale tatto lo storico inviato di esteri del Sole 24 Ore, oggi firma de Il Manifesto, “è bene non essere precipitosi. Qui tutti sono cremlinologi come erano tutti virologi durante la pandemia”, scherza, “e anche da sabato a oggi ne abbiamo avuto conferme”. E spiega perché la Russia in Ucraina ha già perso…
Tutti parlano del futuro della Russia senza conoscere la Russia. Ci sono interpretazioni di ogni tipo: chi dice che Putin è al capolinea politico, chi parla di una possibile rotta in guerra. “Ma il novanta per cento dei cremlinologi parla senza conoscere la Russia”, dice Alberto Negri, giornalista e storico inviato di esteri, “come fanno tutti i presunti esperti di Russia dagli Anni Cinquanta, quando la cremlinologia è diventata di moda con John Foster Kennan”, teorico del contenimento anti-sovietico. Ma c’è una certezza, nota: “Quello di Prigozhin non è stato un bluff”.
Negri, come risponde a coloro che invece sono certi della teoria del finto golpe?
Rispondo ricordando che l’analisi seria parte facendosi domande. E allora verrebbe da chiedersi perché mai si dovrebbe considerare un bluff la mossa. Provando a capire nel profondo la partita in atto, possiamo certamente avallare una pista: che non è stato un bluff, ma piuttosto un regolamento di conti interno.
Prigozhin iniziava a dare fastidio a Putin?
Decisamente. In un sistema autocratico e dittatoriale come la Russia, lo ricordiamo, nessuno può fare concorrenza a Putin. Non c’è spazio per due capi, o per un capo e una figura che si presenta come il suo naturale alter ego. Prigozhin ha fatto di tutto per presentarsi come tale, addirittura non nascondendo le voci su sue possibili ambizioni presidenziali.
Il “Frankenstein” di Putin, questo Prighozin. Lui e la sua Wagner a lungo sono stati funzionali ai suoi disegni…
Certamente. La questione del regolamento di conti si percepisce in particolare pensando a quanto in passato la Wagner e i suoi mercenari siano stati strategici per Putin. A partire dalla sua comparsa nel 2014-2015 il gruppo Wagner ha gestito operazioni militari speciali in diversi Paesi senza che in contesti problematici, soprattutto africani, la Russia fosse costretta mandare truppe. Le lezioni afghane e cecene e lo shock costituito per Mosca dall’arrivo costante in patria delle bare dei caduti hanno chiamato l’impiego dei mercenari. Nel 2015 questo me lo aveva spiegato un funzionario del Cremlino: i mercenari, inviati in questi teatri e in scenari come la Siria, risparmiavano queste triste processioni.
Insomma, anche sulla tenuta di Bashar al-Assad la Wagner ha influito?
Ha influito come parte di un impegno russo che assieme a quello dell’Iran che vediamo oggi consolidato: Assad dal 2015 in avanti ha di fatto vinto la guerra civile e oggi è stato riammesso nella comunità internazionale dei Paesi arabi. Ha partecipato al summit della Lega Araba in Arabia Saudita, Stato che a sua volta si è riavvicinato all’Iran. È stato un asset decisivo in una corsa alla proiezione estera russa che ha conosciuto il suo insuccesso più clamoroso nel cortile di casa in Ucraina. Ed è proprio dallo scacco russo in Ucraina che nasce la resa dei conti con Prigozhin.
Come è maturato questo dualismo?
Partiamo dal definire una questione: la Russia in Ucraina ha già subito una sconfitta di fatto. I suoi soldati non sono arrivati a Kiev e questo è indubbiamente sinonimo di una sconfitta. Nelle autocrazie, dopo le sconfitte sono i generali, anche se ben performanti in guerra, a pagare il prezzo. Saddam, che fece uccidere i suoi cognati, e Gheddafi, che mandò in esilio Haftar, lo testimoniano. Prigozhin, per quanto abbia saputo conquistare Bakhmut, è partecipe di una campagna messa in scacco da una sconfitta. E quando un generale, anche se bravo, imputa ai vertici i problemi della guerra è naturale che venga fatto fuori. Specie se la sua parabola è compromessa dall’essere parte di un sistema non solo militare ma anche politico ed economico che lo porta a conoscere i segreti di molti potenti.
Dove ha sbagliato Prigozhin?
La Wagner era stata creata per risolvere il problema delle bare dei soldati dell’esercito regolare che tornando in patria scioccavano l’opinione pubblica. Prigozhin è stato funzionale a questo disegno e in questa fase, a mio avviso, durante la sua lunga polemica coi vertici militari si doveva limitare alle parole: quando lo ha fatto nessuno lo ha mai colpito. Quando ha tentato il pronunciamiento per difendere la sua autonomia, tutto è crollato. Qui c’è tutta la cifra dell’uomo: la visione di una figura che ritiene che l’atto di forza possa risolvere una questione politica. Ma non è sempre così.
Ci sono casi paragonabili nella storia recente?
Il caso più simile a Prigozhin è quello di Arkan, il capo delle milizie serbe che si distinsero per violenza nella guerra dei Balcani degli Anni Novanta e in Kosovo. Arkan, come Prigozhin per Putin, era a lungo stato il braccio armato di Milosevic in Kosovo. Nel gennaio 2000 fu ucciso da un ex poliziotto sul divano dell’Intercontinental di Belgrado, poco dopo la sconfitta militare della Serbia contro la Nato. Arkan conosceva gli arcani del potere jugoslavo, essendo inoltre figlio di un generale di Tito. Prigozhin è più o meno nella stessa posizione. Questo chiaramente non vuol dire che è scontato che sarà fatto eliminare. Ma sicuramente la sua rotta lo portava in conflitto, viste le sue esternazioni, col potere costituito.
Putin aveva offerto alla Wagner l’opportunità di entrare sotto il controllo politico…
Nel momento in cui il generale alza la testa, ecco che diventa un problema. E per Prigozhin “alzare la testa” ha significato rifiutare la subordinazione alla Difesa a partire dall’1 luglio prevista dalla legge. Quando altre milizie hanno firmato l’accordo, non si è sottomesso e ha avviato l’ammutinamento. In tutto questo c’è la scenografia russo-slava: è arrivato a Rostov, ha parlato con il viceministro della Difesa e il vicecapo di Stato Maggiore dando l’impressione di una trattativa. Alla fine però la sua ribellione non ha avuto successo. E ora l’interrogativo sul suo futuro è apertissimo.
Come risolverà Putin la grana Wagner?
Serve un nuovo capo della Wagner a nuove condizioni economiche e politiche. La risoluzione sarà il documento di subordinazione al Ministero della Difesa in cambio di tutti i benefit: assicurazione, pensioni, premi che saranno accordati ai mercenari, a cui aggiungere la libertà e l’amnistia per gli ex galeotti arruolati da Prigozhin nelle sue milizie.
Oggi c’è un interrogativo aperto da tenere in considerazione alla luce della rivolta: che cosa succederà sul fronte ucraino dopo i fatti di sabato?
Quando una tensione interna diventa particolarmente forte e insopportabile, a quel punto il capo la esporta fuori. Non c’è da aspettarsi un cedimento russo come molti pronosticano, anzi. La guerra non è destinata a esaurirsi in tempi brevi.
E dentro la Russia?
Sul fronte interno, sentendosi minacciato, Putin potrebbe stringere le maglie del controllo politico. Occorre non cadere nel determinismo. Ci vorrà del tempo per capire se queste interpretazioni sono adeguate. Occorre osservare attentamente, nella consapevolezza che la prospettiva non sarà estremamente lunga: abbiamo di fronte a noi la scadenza delle presidenziali del 2024. Un’interpretazione è che esista una sacca di malcontento anti-Putin che può sfociare in un’elezione più contendibile. Staremo a vedere. Ma molto dipenderà dall’esito del conflitto e dalla prospettiva per la Russia che ha già perso il suo principale obiettivo.
La mancata conquista di Kiev, madre di tutto il caos ucraino…
Il 25 febbraio 2022, il giorno dopo l’invasione dell’Ucraina, ero a cena con un uomo del Cremlino e gli chiesi se Putin volesse arrivare a Kiev. Mi rispose che era un boccone troppo grosso: era chiaramente un uomo informato. E i fatti gli hanno dato ragione…
(da mowmag.com)

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