LO STORICO MELLONI: “LE MANI DI TRUMP SULL’ELEZIONE DEL SUCCESSORE DI PAPA FRANCESCO. ATTENTI AL POTERE DELLA RETE”
“DA SEMPRE LA CHIESA INTERESSA AGLI ASPIRANTI IMPERATORI: E’ LA PRETESA DI CHI CREDE AL DIRITTO DELLA FORZA PIU’ CHE ALLA FORZA DEL DIRITTO”
Il professore Alberto Melloni, uno dei più noti e stimati storici del cristianesimo, ha maturato una tesi sorprendente (e inquietante) sul prossimo conclave. L’ha esposta in un lungo articolo – L’opzione carolingia di J.D.
Vance – sulla rivista di geopolitica Le Grand Continent.
Quale sarebbe questa opzione, o tentazione, “carolingia” della Casa Bianca e del vicepresidente Usa? Un’Opa sulla Chiesa?
«In sintesi, sì. Del resto da sempre la Chiesa interessa molto agli imperatori e agli aspiranti imperatori. È la pretesa imperiale di chi crede al diritto della forza più che alla forza del diritto».
Non starà esagerando con Vance?
«Ma guardi che J.D. Vance è un personaggio di primissima grandezza. Basta leggere il suo libro Hillbilly Elegy, che rappresenta una vera teologia, una concezione del mondo secondo la quale – sostiene – noi poveri americani siamo messi così male perché qualcuno non ha fatto quello che doveva. Al cattolicesimo si imputa di non aver fatto argine a quella discesa in basso della classe media, La Chiesa di Roma ha denunciato i danni della globalizzazione non a favore dei vicini ma dei lontani».
Con Trump e il conclave cosa c’entra?
«C’entra tutto. Oggi alla destra quello che manca è un collante, che naturalmente non può essere quello nostalgico o totalitario, per questo l’interesse è verso un collante religioso. Negli Stati Uniti Trump si è appoggiato al protestantesimo evangelico, Vance invece offre al movimento Maga un’altra prospettiva, quella del cattolicesimo universale».
Perché i cardinali dovrebbero assecondare questo disegno egemonico?
«Perché, non detta ma chiaramente sul tavolo, c’è una minaccia terribile: se vi comportate bene saremo buoni con voi, altrimenti verrete trattati come abbiamo fatto con Zelensky. Non ci dimentichiamo che c’è anche Musk con Trump».
Il potere della Rete e dei social potrebbe arrivare fin dentro le sacre stanze del conclave?
«La Chiesa di oggi è vulnerabile a queste influenze. Ogni tipo di maldicenza è esposta a uno strumento nuovo, l’allusione di massa. Un esempio: un atteggiamento negligente oppure omissivo nei confronti di una denuncia del passato, da parte di un cardinale papabile, potrebbe diventare virale e tradursi nella fine di quella candidatura. Non c’è nessuno che possa resistere. Un meccanismo che può mettersi in moto da qui all’elezione»
Non sarebbe la prima volta che, nella storia, il potere politico prova a influenzare l’elezione di un Papa…
«Nel mio libro sulla storia del conclave, dal I al XXI secolo, dimostro che il meccanismo non è mai stato assente. L’ultima volta che una corona cattolica ha interferito pesantemente è stato nel 1903, quando l’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, mise il veto sul cardinale Mariano Rampolla, il favorito per la successione a Leone XIII».
Bisogna aggiungere tuttavia che l’udienza di Vance in Vaticano non è stata proprio sfavillante. È tornato a casa con un uovo di cioccolata dopo aver visto Bergoglio e Parolin.Un bilancio deludente?
«Vance era venuto a Roma con l’idea di chiedere l’incoronazione da vice-imperatore ed è tornato a casa con tre ovetti Kinder. Non so se l’idea sia venuta al Papa o al segretario di Stato Parolin, ma certo è stata una risposta appropriata a chi si è autodefinito baby-catholic».
Questa idea neo-carolingia di un papato condizionato dal potere “imperiale” che promana dalla Casa Bianca potrebbe concretizzarsi in un Papa conservatore o in che altro?
«In quello, oppure in una forma nemmeno troppo sottile di pressione. Come il fra’ Cristoforo dei Promessi sposi, la Casa Bianca intima a tutti “fate luogo!”. Con i dazi hanno fatto così: non si sa se i dazi resteranno oppure no, ma intanto si è capito chi comanda. Vance in sostanza ha detto alla Chiesa: vi dovreste fidare di me o vi dovrete fidare di me. Scegliete voi il verbo che preferite».
(da La Repubblica)
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