MATTEO RENZI, IL RUNNER CHE SI E’ FATTO PALUDE
PERSO IN INTRIGHI DI PALAZZO MENTRE IL PAESE LOTTA CONTRO IL VIRUS
C’è il mondo che cambia verso ogni due settimane, e c’è Matteo Renzi, l’unico esemplare del globo malato alle prese con mutamenti epocali, paradigmi saltati, cigni neri puntuali come un dpcm, che ha il lusso e la sventura di non cambiarlo mai.
Fedele a se stesso, il boy scout, il bullo, il rottamatore, l’iPhone più veloce del West, s’è messo in testa che deve mettere in croce lo strano governo che ha contribuito a creare, e non c’è pandemia che tenga, alla verifica, al tagliando, al rimpasto occorre pensare.
In un certo senso è persino rassicurante abbandonare al proprio destino gli amatissimi virologi e risvegliarsi in un remake post apocalittico di Goodbye Lenin, ma invece che nella cortina di ferro ritrovarsi in piena Prima Repubblica, alle prese con liturgie di palazzo, manovre parlamentari, pizzini ai giornali e a leader dell’opposizione, tradimenti nei fatti ma inesorabilmente smentiti.
Il virus, vero unico leader globale, mette in ginocchio pezzi da novanta come Macron e Merkel, intere economie, stili di vita consolidati, e Renzi che fa?
Una serie di interviste in cui parla di lockdown e misure insufficienti e di un premier populista, ma ogni parola che dice ne evoca un’altra: rimpasto di governo.
La stessa che una cellula dormiente come il senatore Marcucci in pieno dibattito al Senato, tira fuori dal cilindro, in un discorso non concordato col gruppo del Pd, di cui, incidentalmente, è anche a capo.
Non c’è niente da fare, il tipo umano è fatto così. Di cambiare passo al governo se l’era messo in testa a febbraio, prima del Covid, e da lì non si schioda.
Allora si trattava di cambiare la legge sulla prescrizione, cosa buona e giusta, ma con il problema che i 5 stelle non l’avrebbero digerito e il governo ne avrebbe risentito negli equilibri profondi. Insomma, i tempi non erano maturi.
Che poi, se si tratta di Renzi, il punto è proprio questo. Il tempo è fattore determinante e lui, che è rapido come una faina, lo sa e fa dell’anticipo la sua forza creatrice e/o distruttrice. Se arrivare per primo sul campo di battaglia è lezione basilare dei bignami della guerra, Renzi della regoletta del blitz ha fatto pratica esistenziale e quotidiana.
Dal celebre tweet, “arrivo arrivo”, digitato ansimante sugli scaloni del Quirinale la sera dell’incarico a premier nel 2014 al culmine della guerra lampo con Enrico Letta, al “riapriamo tutto: fabbriche, negozi, scuole, librerie, messe”, detto troppo in anticipo lo scorso maggio quando si era in pieno lockdown, il passo è breve. Anzi veloce, frenetico, ansiogeno.
Degno rampollo dell’azienda di famiglia, la Speedy srl, in cui il nostro, da giovane, fece rapida esperienza. L’importante è stare fuori dalla “palude”, metafora che apprezza come poche. Vale la pena rileggersi Lapo Pistelli che lo conosce bene dai tempi della Margherita: “Matteo è talmente rapido da farti venire il mal di testa”. Un po’ meno comprensivo fu Giovanni Sartori che lo definì “un peso piuma malato di velocismo”.
C’è da scommettere che leggendo quelle parole venate di futurismo Matteo si sia offeso, si sia macerato nel non poter replicare duramente su whatsapp – i costituzionalisti sono meno raggiungibili dei direttori – e poi se ne sia fatto una ragione. E abbia ripreso a correre, su un lungarno, un tapis roulant o un Malecon dell’Avana, come accaduto davvero a margine di una visita di Stato, scortato da un bodyguard cubano troppo più in forma di lui.
Errore di comunicazione visuale persino troppo grossolano per uno che tiene a tal punto al linguaggio del corpo da andare dagli Amici teen della De Filippi in chiodo di pelle alla Fonzie e si veste strizzato Scervino – tessuti leggeri e high tech – per esprimere esplosività . Ma che importa? Fatta la bischerata, si volta pagina. Perchè di questo gli va dato atto. Renzi incassa e riparte. Come non fosse successo niente. Talmente convinto di sè da risultare inscalfibile. Come fosse l’uomo elastico, uno dei Fantastici Quattro della Marvel, prende musate pazzesche ma non si fa niente, concavo e convesso a seconda delle occorrenze, e tira dritto
Lo teorizzava anche un altro da cui – per via della smisurata spacconaggine ha mutuato il soprannome – quell’Alberto Tomba, “la bomba”, che gli errori in pista bisognava rimuoverli subito. C’è sempre una seconda manche.
D’altra parte, non sarebbe arrivato a essere il 39enne presidente del Consiglio più giovane della storia italiana se “il bomba” si fosse fermato alla prima sconfitta documentata. Al liceo Dante (il sommo, che ne avrebbe fatto sicuramente veloce sonetto) quando si candida a rappresentante studentesco ma la sua lista “Al buio meglio accendere la luce che maledire l’oscurità ” caracolla al cospetto dell’avversaria “Carpe diem”, nome che deve averlo segnato per il resto della carriera politica.
Ascesa costellata di cocenti sconfitte e pronte reconquiste.
Perde alle primarie Pd del 2012 ma si prende il partito un anno dopo. Perde il referendum più personalizzato dai tempi di Bettino Craxi (quello di “Andate al mare”) e invece che lasciare la politica come promesso in mille occasioni, si fa un giro in treno per ritrovare la connessione sentimentale col Paese, lascia Gentiloni e mezzo suo governo a palazzo Chigi, e dopo la traversata nel deserto – più una deviazione, nel suo caso – torna in scena al momento giusto, anzi in due.
Prima da Fabio Fazio, quando fa saltare le consultazioni tra Zingaretti e i 5 stelle e apre la stagione dei pop corn, da assaporare mentre va in scena l’horror del governo gialloverde.
Poi, quando i pop corn rischiano di diventare indigesti, salvando il Paese dai pieni poteri di Salvini e dalla new wave sovranista. In pieno stile turborenziano.
È lui stesso a raccontarlo al Foglio.“L’8 agosto, quando Salvini ha fatto la follia. Ero a casa a Firenze, appena rientrato da Roma. Mi arriva l’agenzia con cui Salvini chiude ufficialmente l’esperienza di governo. Respiro. E mi vedo il film. Papeete, tour nelle spiagge, caccia all’immigrato, mojito, dichiarazione contro Macron, cubista che balla, mercati che ballano, spread che aumenta…”
A quel punto il senatore si morde la lingua pensando all’idea di votare la fiducia a un governo con dentro Di Maio, e manda un sms all’unico del Pd con cui parla, Andrea Orlando: “Andrea, se fossimo seri ora sarebbe il momento di fare politica. Sentiamoci’. Poi prende la Mini della moglie Agnese e guida fino alla festa dell’Unità di Santomato, nel pistoiese: “Sono uno di quelli che quando ha bisogno di riflettere, ama guidare”. Figuriamoci.
Ma non è finita. Non pago della ritrovata centralità , pochi giorni dopo, fa quello che aveva in mente da anni, dal 40 per cento delle europee del 2014, ossia lascia il Pd.
In un lampo: un’intervista a Repubblica e un whatsapp al segretario Zingaretti. “A decisione presa”. Dieci anni dopo aver pronunciato per la prima volta la parola “rottamazione” di “un’intera generazione di dirigenti” del partito, è lui a levarsi dai piedi. Senza incentivi, direbbe. Una scelta fulminea in nome della sua libertà “ritrovata” che riesce a mettere d’accordo pur con sfumature diverse Goffredo Bettini (“L’operazione è un bene per tutti”), Lucia Annunziata (“Un’operazione di verità , stavolta non è criticabile”), Massimo Cacciari (“Finalmente”) e gran parte dei dem che tirano un sospiro di sollievo.
Al contrario di Conte (2) che da quel momento dovrà vedersela direttamente con lui. “Adesso Renzi può indebolire Conte, se per esistere dovrà marcare le differenze”, sentenzierà il saggio Rutelli, un altro che del ragazzo di Rignano legge mosse e pensieri.
Così dalle ceneri della fenice di Rignano nasce Italia Viva, che era stato lo slogan di una lontana Leopolda, la kermesse annuale per contare e contarsi nell’ex stazione di Firenze, progetto macroniano di un partito nazione. “Renzi — scrive Eugenio Scalfari — punta a ottenere un risultato politico che lo porti alla testa della struttura che ha in mente: un altro partito, vicino al quello democratico, ma da lui guidato”. Progetto difficile, perchè in primis, come osserva Michele Salvati, Renzi non è Macron, la cui novità è “nella provenienza da un mondo diverso da quello della politica politicienne”.
E infatti, Italia Viva respira nel Palazzo ma non cresce nel Paese. Anzi nonostante le fanfaronate del suo leader, “Si è vinto così anche grazie a noi”, è totalmente ininfluente alle ultime Regionali mentre il Pd si consolida. Ma non importa. Neanche stavolta. Riparte il fuoco di fila parlamentare e a metà ottobre arriva a sorpresa lo stop dei renziani al voto ai 18enni per il Senato. Ai dem, Graziano Delrio in testa, saltano i nervi. Poi c’è la nuova emergenza pandemia, ed eccoci ai continui distinguo, bollati come “irresponsabili” dal resto della maggioranza.
“Dopo sette anni di fuoco amico — sosteneva Renzi, uscendo da Pd — penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni”. Esatto. Persino coerente. Molto meglio spostare i litigi direttamente dentro il governo. Però il Paese è altrove, alle prese con il reale, col virus, e Renzi appare sempre più nella temuta palude, laddove la velocità rischia di portarti a fondo.
(da “Huffingtonpost”)
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