MIGRANTI, LA NAVE DELLA STRAGE TORNA IN MARE
A SEI ANNI DAL PIU’ GRAVE MASSACRO NEL MEDITERRANEO,, IL RELITTO E’ STATO SALVATO DA UNA ASSOCIAZIONE DI VOLONTARI, IN MEMORIA DELLE 1.100 VITTIME
Non hanno avuto soccorso dalle istituzioni, morendo imprigionati in un guscio di legno e metallo. E solo i volontari hanno lottato per salvarne almeno il ricordo, quel terribile relitto che incarna il dramma dei migranti nel Mediterraneo.
Dopo due anni di abbandono sono riusciti a liberarlo dall’oblio della burocrazia e farlo tornare in mare, diretto in Sicilia: ad Augusta, dove diventerà il fulcro di un progetto culturale che ha già raccolto interesse in tutto il mondo.
Stiamo parlando della barca dove nelle prime ore del 18 aprile 2015 hanno perso la vita quasi 1.100 persone: bambini, donne, uomini trascinati nell’abisso mentre cercavano di fuggire dalla povertà.
Un anno dopo il governo italiano e la Marina Militare hanno recuperato a 370 metri di profondità i resti del peschereccio, con la stiva colma di corpi.
Un’operazione che ha permesso di ricostruire parte delle loro storie, dei loro sogni, delle loro speranza: come il ragazzino che aveva cucito negli abiti la sua pagella, la prova di un’educazione scolastica che riteneva decisiva per il suo futuro.
È la testimonianza più importante del massacro che da decenni avviene davanti alle nostre coste, un terribile monumento che obbliga ad aprire gli occhi. Le immagini del relitto minuscolo in cui erano accatastate più di mille vite rendono concreta la disperazione di chi affronta il viaggio verso l’Europa e mettono a tacere ogni propaganda xenofoba.
All’indomani del recupero, ci sono state idee e proposte per rendere onore alle vittime, esponendo quel reperto sconvolgente a Milano o a Bruxelles, ma sono state parole senza concretezza. Allora l’artista svizzero Christoph Buchel lo ha fatto trasferire fino alla Biennale di Venezia, mettendolo in mostra nell’edizione 2019 come un’opera d’arte: un’installazione choc.
Chiusa la rassegna, però, l’imbarcazione è rimasta abbandonata in balia di una controversia legale durata due anni. C’è stato persino il rischio che finisse rottamata. Ma il “Comitato 18 Aprile” non si è arreso e con il contributo del Comune di Augusta ha permesso un nuovo viaggio, proprio nel sesto anniversario del dramma.
A bordo di una chiatta, il barcone è salpato verso la Sicilia dove sarà il fulcro del progetto “Il Mare della Memoria”. Che – come spiega Mariachiara di Trapani, una delle animatrici dell’iniziativa – “individua nel relitto un nodo simbolico cruciale per comprendere le trasformazioni chiave del nostro tempo, mirando a unire memoria, immaginazione e progettazione per il futuro”.
La prima fase sarà la manutenzione, perché nessuno si è mai preoccupato di preservare la barca rimasta da cinque anni all’aperto.
Poi ci sarà il lavoro sensibilizzazione e di contestualizzazione per dare un “nuovo significato” che unisca arte e ricerca: fare della testimonianza del massacro “lo strumento per facilitare convergenze e collaborazioni, tra ricerca scientifica, lavoro umanitario e riflessione artistica”, continua Di Trapani.
L’obiettivo finale è arrivare a creare un museo diffuso dei diritti umani. Il Comune di Augusta da tempo ha votato l’allestimento di un “Giardino della Memoria” che ricordi il destino dei migranti nel Canale di Sicilia. Una volontà ribadita dall’amministrazione e dal sindaco Giuseppe Di Mare che assieme alla mobilitazione del “Comitato 18 Aprile” hanno reso possibile il ritorno nell’isola del relitto. Ma questo sarà solo il punto di partenza, da cui lasciare germogliare molto altro.
C’è stato un momento alla Biennale che ha colpito gli ideatori di questo progetto. Quando uno dei superstiti del naufragio è arrivato a Venezia e si è trovato davanti lo scafo. La sua unica preoccupazione è stata quella di spiegare ai visitatori cosa fosse accaduto, chi erano le altre persone rimaste per sempre a bordo: la necessità di mantenere viva almeno la memoria.
Per questo adesso saranno coinvolti direttamente testimoni e familiari delle vittime della strage del 18 aprile e degli altri affondamenti nel Mediterraneo ma anche le comunità che hanno accolto le salme. In questo disegno, Augusta diventerà il crocevia di una rete di contatti con musei, artisti, organizzazioni della società civile, associazioni di sopravvissuti e migranti, istituzioni internazionali – a partire dalla Croce Rossa – e mondo universitario.
Tra i primi enti che stanno collaborando ci sono Cir Migrare, l’Università di Palermo, Grotwoski Institute Wroclaw, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense della Università di Milano, il dipartimento di antropologia della Columbia University.
L’idea è stata concepita da *2.51collective, un team multidisciplinare formato da volontari che hanno riservato, nella carriera professionale e nell’attività di ricerca, particolare attenzione all’affondamento del 18 aprile 2015. Il nome *2,51 si riferisce all’estensione del Mediterraneo, quasi 2,51 milioni di chilometri quadrati, perché fa del relitto il punto per tracciare una riflessione sull’intero mare. “Il progetto nasce dalla necessità di opporre ad una logica di patrimonializzazione della storia, della memoria, dei traumi diffusa nel panorama artistico-mediatico, la nozione di patrimonio universale, come ricchezza e responsabilità collettiva, come “bene comune””, conclude Mariachiara Di Trapani.
Uno degli aspetti più importanti è l’identificazione delle vittime: Croce Rossa Internazionale e Università di Milano sono già riuscite a dare un nome a quattrocento dei corpi recuperati sul relitto. Che possono così tornare persone e non più fantasmi, abbandonati al loro tragico destino nel disinteresse collettivo in una notte di sei anni fa.
(da “a Repubblica”)
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