NEL GOVERNO LO SCONTRO PIU’ ACCESO TRA MELONI E SALVINI RIGUARDA LA LEGGE ELETTORALE: FRATELLI D’ITALIA VUOLE CANCELLARE I COLLEGI UNINOMINALI PER EVITARE CHE LA SINISTRA FACCIA CAPPOTTO MA LA LEGA, CHE RISCHIA DI ESSERE FORTEMENTE RIDIMENSIONATA, SI OPPONE
SI TRATTA PER ARRIVARE A UNA PROPOSTA UNITARIA MA LA VIA È STRETTA: C’È DA DECIDERE SULLE PREFERENZE, SULLE SOGLIE DI SBARRAMENTO, SULL’ENTITÀ DEL PREMIO DI MAGGIORANZA, SULL’INDICAZIONE DEL PREMIER
Nel centrodestra c’è un problema. Non riguarda la linea del governo ma è causato da un convitato di pietra che presenzia a ogni riunione e influisce su ogni scelta: la riforma della legge elettorale. Ecco qual è il dossier che alimenta le fibrillazioni nella maggioranza e sotto traccia produce le tensioni più forti tra Meloni e Salvini.
È vero che al momento sono state solo commissionate delle schede ai partiti e che Donzelli — chiamato dalla premier a coordinare gli sherpa — si è limitato a raccogliere le indicazioni degli alleati. Ma da quelle schede appare chiara la linea di frattura tra Fratelli d’Italia e Lega: l’eliminazione dei collegi uninominali.
L’idea di abolirli per Meloni è prioritaria, perché la prossima volta non sarà come l’ultima volta, quando il centrosinistra si presentò in ordine sparso e il centrodestra potè fare bottino in Campania, Puglia, Calabria e persino in Toscana.
Con le opposizioni unite il risultato del 2022 potrebbe essere ribaltato. E c’è da scommetterci che sulla rive gauche un campo largo o anche solo una tenda sarà allestita, non foss’altro perché il prossimo Parlamento eleggerà il futuro capo dello Stato. E il danno potrebbe addirittura tramutarsi in beffa, per la premier e non solo per lei: con l’attuale sistema di voto, infatti, sarebbe elevato il rischio di un pareggio, magari con maggioranze
diverse nei due rami delle Camere.
L’ipotesi di tornare a governi di larghe intese è vissuta come un incubo da FdI e pure dal Pd tendenza Schlein, che non a caso osserva con interesse le manovre di Meloni.
Ma il taglio dei collegi non piace affatto a Salvini, che ha visto drasticamente ridimensionarsi il progetto della Lega nazionale e oggi può contare sulle roccaforti rimaste al Nord per far valere il suo potere contrattuale nella coalizione. I dati delle ultime elezioni lo dimostrano: con il 9% ha ottenuto 94 seggi su 600 in Parlamento.
Senza l’attuale meccanismo e magari con l’introduzione delle preferenze, il capo del Carroccio — che ha già subìto lo sfondamento di FdI in molte importanti aree del Settentrione — lascerebbe per intero a Meloni il potere di rappresentanza. E una simile evenienza finirebbe per produrre contraccolpi sulla sua leadership nel partito, fino a minacciarla.
Davanti a un tale scenario scatterebbe inevitabilmente una reazione di Salvini per puro istinto di sopravvivenza. E la riforma del sistema elettorale finirebbe gambe all’aria, magari nelle votazioni a scrutinio segreto in Parlamento, dove si coalizzerebbe il malcontento di quelle forze politiche che si sentissero penalizzate. Così di fatto salterebbe il centrodestra. I segnali di nervosismo sono stati colti da palazzo Chigi e si sta cercando una soluzione di compromesso.
Il cantiere è aperto: c’è da decidere sulle preferenze, sulle soglie di sbarramento, sull’entità del premio di maggioranza, sull’indicazione del premier. E c’è da stabilire anche il timing
della legge. Secondo Lupi, infatti, «sarebbe inopportuno varare la riforma a ridosso delle urne, perché le forze politiche non devono poi essere costrette ad organizzarsi all’ultimo momento».
Non è dato sapere se il centrodestra riuscirà a fare una prima sintesi sulla legge entro agosto. È certa la volontà della maggioranza di avviare il confronto formale con le opposizioni in autunno. Anche se, al di là delle smentite di rito, i contatti sono in corso da mesi.
Si scorgono tracce dappertutto. In ogni caso la priorità di palazzo Chigi è trovare un’intesa nella coalizione, altrimenti il bradisismo che si registra su ogni tema sarà destinato ad aumentare per effetto della legge elettorale.
(da agenzie)
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