“NON MI VOLEVI VICINO SUL PALCO, EH?”: A CAGLIARI, PER IL COMIZIO CON IL CANDIDATO GOVERNATORE TRUZZU, LITE TRA SALVINI E MELONI
I DUE SONO DIVISI SU TUTTO: LA DUCETTA E’ INCAZZATA PER LE AMBIGUITA’ DEL LEGHISTA SUL CASO NAVALNY… LE SPACCATURE SUL TERZO MANDATO
L’ultimo a salire sul palco è Matteo Salvini. Suona Mameli, sventolano bandiere. Il leghista si ritrova ai margini della foto di famiglia. Guarda la premier, che gli fa cenno: «Vieni». Lui va. E le sussurra: «Non mi volevi vicino, eh?». Lei sorride mentre canta — «l’Italia s’è destaaa » — e gli tira un colpetto di gomito all’altezza del costato. Sorrisi e falli di reazione, veleni e ipocrisie. I due si giurano «un governo di cinque anni», tutto facile perché «in Giorgia ho trovato un’amica». E intanto litigano. Costruiscono trappole dietro le quinte. E non si fidano.
Non perché lo scrivono «i giornaloni », ma perché — non è un mistero — preparano la resa dei conti dopo le Europee. E rischiano di frantumarsi già oggi sul terzo mandato.
Sul volo Az delle 14.15 che decolla da Fiumicino i due leader si ignorano. Meloni siede davanti, l’alleato è dieci file più indietro. Neanche sulla scaletta si ritrovano. Si parlano dietro al palco del comizio di Cagliari, cinque minuti e una foto. Non sufficienti a ritrovarsi sul terzo mandato: se la Lega non ritirerà l’emendamento — si vota oggi, aleggia un rinvio — FdI dirà no e farà scattare la conta.
La verità? Alessandra Todde, candidata dei giallorossi in Sardegna, ha già compiuto un miracolo: costringere la destra a cessare le ostilità per un giorno, mentre in Parlamento pianificano assalti. Evocare la pace, per paura di perdere un’Isola già vinta.
I sondaggi non si possono citare, ma insomma: i meloniani giurano di essere avanti, temendo però la rimonta. Soprattutto se Renato Soru dovesse fare flop, riducendo l’emorragia a sinistra.Ecco perché Meloni si trasforma.
Davanti ai militanti sceglie un tono teatrale: voce in falsetto, battute, un breve balletto, smorfie studiate, attacchi mirati. Performance di oggettivo livello scenico, toni durissimi. Contro il centrosinistra: «Il campo largo? Ma che è, un campo da calcio? I sardi non meritano di essere cavie di un esperimento che mette insieme gente che a Roma manco si guarda».
Ma non basta. C’è un fossato grande come la Russia a dividerli. Ci sono le tesi di Salvini su Navalny a imbarazzare Meloni. Da quando il dissidente è stato ucciso, Palazzo Chigi si è limitato a quattro righe di comunicato. Neanche ieri la premier condanna l’alleato, però. Poco prima del comizio, si concede un riposino in un hotel di Cagliari. Alcuni giornalisti l’attendono per chiederle di Navalny. Lo staff la fa uscire dal retro.
Nel faccia a faccia con Salvini però Meloni avrebbe chiesto all’alleato di «evitare ambiguità», anche in vista del G7 che presiederà sabato.
In Sardegna il massimo che la leader concede alla realtà conflittuale della destra è un brevissimo passaggio, «a volte discutiamo o ci sono specificità». Per il resto, il comizio diventa una piccola gara a chi spara il mortaretto più rumoroso. Utile magari a respingere l’appello alla resistenza antifascista di Todde. Tajani che fa finta di cercare cosa si ritrova in testa e dice: «Non vedo fez, né camicia nera, manganello e olio di ricino ». Salvini che rilancia: «Dirsi fascisti nel 2024 è fuori dal tempo». Meloni che spinge sul premierato: «Se passa, posso smettere di fare questo lavoro. Scherzo! Governeremo cinque, dieci anni…». Salvini che parla della droga: «È una merda. E chi si droga è coglione!».
Per poi aggiungere, forse la vetta di giornata: per fortuna le tv locali parlano della Sardegna, perché quelle nazionali non fanno «servizio pubblico» e l’hanno «cancellata». Sì, la Rai, in mano alla destra. Chiude Meloni, attaccando la sinistra: «Lo spread sale, dicevano, così mettiamo un altro governo tecnico, un inciucione… si sono svegliati sudati!». Domenica si vota, poi si torna a litigare.
(da La Repubblica)
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