“NON MORIREMO PER VLAD IL MATTO”
LA GRANDE FUGA DALLA RUSSIA DI PUTIN… LA STORIA DI VIKTOR CHE INSEGNA STORIA ALL’UNIVERSITA’
Quando Putin invade l’Ucraina, Syktyvkar è una città povera della Russia nord occidentale di circa 250 mila abitanti che fonda la propria sopravvivenza sull’industria di legname e sull’estrazione di gas.
Viktor (nome di fantasia, ndr) è nato 26 anni prima tra le fabbriche di questa città circondata dalle foreste, ma i suoi genitori sono ucraini. È anche per questo che quando inizia la guerra la sua vita cambia radicalmente e decide di fuggire in Romania.
«Dopo le proteste in strada, i problemi sono continuati al lavoro», racconta a TPI il docente di storia diventato riservista dell’esercito russo. «L’università in cui insegnavo ha rifiutato di rinnovarmi il contratto per le mie origini, così ho iniziato a insegnare in una scuola, dove però mi hanno chiesto di tenere lezioni sul tema dei Soldati russi liberatori dell’Ucraina. La mia famiglia si trovava sotto le bombe in quel momento e ovviamente ho rifiutato».
A marzo, Viktor scende in piazza con la sua ragazza Alyonushka e alcuni amici per partecipare alle proteste contro la guerra, ma la maggior parte di loro finisce arrestata, picchiata e multata. Evita il carcere e inizia a mettere soldi da parte per lasciare il Paese.
Nikolai, il docente che lo segue nel suo lavoro di ricerca all’università, è stato appena sospeso dall’insegnamento per le posizioni anti-governative che esprime sui social e il supporto che fornisce ai suoi studenti dissidenti sempre più sotto pressione e incalzati a partecipare a manifestazioni di propaganda bellica.
Grazie alla sua doppia cittadinanza russo-canadese, in grado di evitargli le rappresaglie più dure legate alla sua attività di contestazione, il professore cerca di mediare con il rettore dell’università per tutelare studenti e studentesse. «Chi si rifiuta di prendere parte a questi eventi pro-guerra, deve rinunciare a frequentare le lezioni ed è tenuto a prestare servizio militare finendo per combattere in Ucraina», spiega Nikolai a TPI.
Destinazione Bucarest
Il motivo per cui Viktor, una volta cacciato dall’università, riesce a evitare la coscrizione obbligatoria è che, all’età di diciotto anni, è stato giudicato non idoneo a svolgere il servizio militare per motivi di salute. Il suo permesso è però valido solo nei periodi di pace e Viktor è stato inserito tra le riserve dell’esercito.
Intanto la città di Syktyvkar subisce le conseguenze della guerra, l’inflazione cresce e le proteste si affievoliscono dopo l’iniziale mobilitazione: «In una città piccola come la nostra, dove la propaganda è ovunque, per molte persone è stato difficile continuare a protestare, soprattutto vedendo quello che accade nelle grandi città», ci spiegano Viktor e Alyonushka.
Le notizie della repressione violenta che arrivano da Mosca e da San Pietroburgo colpiscono gli abitanti, che scelgono di mantenere un profilo basso. «I pochi che non temono le botte e continuano a scendere in strada contro la guerra chiedono delle donazioni per riuscire a pagarsi le multe, che superano i 10 mila rubli».
Manca un mese al discorso con cui Putin chiamerà alle armi anche i riservisti e Viktor riesce ad acquistare il biglietto per un volo di sola andata per la Romania al costo di 35 mila rubli (circa 625 euro), dopo aver ottenuto un visto per rimanere a Bucarest trenta giorni.
Quando arriva l’annuncio della “mobilitazione parziale”, i prezzi per i biglietti raggiungono le centinaia di migliaia di rubli. Il 22 settembre, alle 6 del mattino, Viktor lascia la Russia e Alyonushka, e in quelle stesse ore comincia il rastrellamento dei riservisti. «Nonostante le difficoltà economiche e il timore di partire, avrei voluto andarmene anche prima. Per me, come per tanti altri miei conoscenti che stanno cercando il modo di scappare, era disgustoso ed emotivamente difficile restare lì. Sembrava di essere nel Terzo Reich», racconta a TPI dopo essere atterrato all’aeroporto di Bucarest.
L’annuncio dello Zar
A poche ore dal discorso del presidente Putin del 21 settembre che segna l’inizio della “mobilitazione parziale” in Russia, nel Paese si re-innescano alcuni focolai di protesta. Dopo un lungo periodo estivo di silenzio nelle strade, interrotto solo da qualche isolata contestazione, a guidare le manifestazioni sono ancora una volta le chat dei movimenti di opposizione attivi sui gruppi Telegram, che non hanno smesso di fare contro-informazione e diffondere dure critiche sull’operato del regime. Sulle chat gli antagonisti del governo si danno appuntamento nelle piazze e davanti agli uffici locali di registrazione e arruolamento militare. Proprio alcuni di questi uffici, secondo il sito di informazione indipendente MediaZona, avrebbero subito diversi tentativi di incendio da parte dei manifestanti durante la prima settimana di mobilitazione.
Viktor e Alyonushka seguono le proteste scorrendo con le dita il proprio schermo, ormai lontani diverse migliaia di chilometri l’uno dall’altra. Secondo Ovd-Info, il primo giorno delle manifestazioni sono state arrestate più di 1.300 persone in almeno 38 città del Paese e i dipartimenti di polizia hanno iniziato a inviare ai riservisti le prime convocazioni agli uffici di arruolamento militare. Le azioni repressive nelle grandi città russe si sono ripetute nei giorni successivi portando all’arresto di quasi altri 800 manifestanti, e proseguono tuttora.
Repressione e naja
Anche a Syktyvkar la situazione si fa più cupa, come racconta Alyonushka a TPI. In poche ore in città non si parla d’altro se non di come evitare il servizio militare e anche chi sostiene il governo prova a capire come riuscire a sfuggire alla leva, mentre tanti tentano la fuga in auto, come hanno già fatto suo fratello e molti suoi amici.
I confini della regione di Komi, di cui Syktyvkar è il capoluogo, sono però stati blindati e l’attività di reclutamento militare è diventata piuttosto intensa.
«L’esercito lascia gli avvisi di comparizione a casa delle persone e sul posto di lavoro. Per strada ci sono pattuglie di militari che fermano gli uomini intimando di presentarsi alle visite mediche di reclutamento, ma è solo una formalità», spiega Alyonushka. «Chi si presenta viene messo su un autobus e portato direttamente nei centri militari. Molte persone ci vanno perché temono le multe o di finire in prigione per più di dieci anni, molte altre che si informano tramite i media di Stato credono che si tratti di un campo di addestramento di sole due settimane, altre ci finiscono con la forza».
La testimonianza di Alyonushka è confermata da alcuni portali indipendenti di informazione come Novaya Gazeta e MediaZona. Queste testate riportano casi di abusi da parte degli uffici di reclutamento militare e interventi delle forze dell’ordine per strada, nei centri commerciali e alla frontiera del Paese, dove gli uomini considerati dell’età giusta per servire nella riserva militare vengono sottoposti a controlli intimidatori.
Dopo essere state fermate, alcune persone hanno dichiarato anche di aver ricevuto avvisi di comparizione sul posto. Oltre al reclutamento forzato e immediato di chi si presenta presso gli uffici di registrazione militare, MediaZona segnala casi in cui la notifica di arruolamento è stata consegnata in carcere ai manifestanti arrestati durante le proteste, minacciati dalla polizia di essere prelevati e portati direttamente nei centri di addestramento.
Un’accoglienza fredda
A Bucarest, con qualche parola di inglese in tasca, Viktor raggiunge suo fratello, fuggito dall’Ucraina per salvarsi dai bombardamenti. Sa di non poter tornare in Russia e teme di mettersi in pericolo provando a oltrepassare i confini ucraini per ricongiungersi con i suoi genitori. «Dopo lo pseudo-referendum nelle repubbliche di Donetsk e Luhansk, entrare e uscire dalla Russia sarà praticamente impossibile e sono convinto che sarà annunciata la mobilitazione generale», ci confida Viktor, che prosegue: «Anche se il governo per il momento dice che a essere chiamati in guerra saranno solo persone con esperienza nell’esercito, si tratta di una menzogna, come tutte le parole di Putin».
Dal suo arrivo in Romania, dopo un’accoglienza che descrive come fredda e sospettosa al controllo passaporti, Viktor trascorre la maggior parte del suo tempo in ambasciata, dove ha fatto richiesta per un visto ucraino, che potrebbe essergli rilasciato nell’arco di tre mesi.
«La possibilità che rifiutino la mia domanda è molto elevata e in quel caso non saprei cosa fare. Nel frattempo il mio visto romeno scade tra un mese e poi sarò senza documenti».
Il fratello di Viktor, che possiede lo status di rifugiato, lo sostiene nelle sue attività quotidiane, ma gli sconsiglia di andare in Ucraina, dove alcuni loro parenti sono stati feriti gravemente.
La vita del giovane riservista russo, in fuga dal suo Paese, in pericolo se raggiungesse l’Ucraina e con poche chance di essere accolto altrove, dipende dal suo passaporto. Anche Novaya Gazeta scrive che fare domanda di asilo politico in un altro Stato per evitare la mobilitazione parziale è difficile.
La Lettonia ha annunciato il 21 settembre che non rilascerà visti umanitari a coloro che evitano le armi, mentre la Germania ha affermato che il rifiuto del servizio militare non costituisce un motivo per concedere asilo politico ai russi.
(da TPI)
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