OTTO PARLAMENTARI TOSIANI PRONTI A LASCIARE LA LEGA
“SALVINI STA TIRANDO TROPPO LA CORDA, LA PORTERA’ IN UN BURRONE”
Mentre Matteo Salvini e Flavio Tosi consumano le ultime ore del loro lunghissimo divorzio con una sequela di diktat reciproci, l’uragano Veneto comincia ad avvicinarsi anche a Roma.
E’ lì, tra Montecitorio e palazzo Madama, che gli effetti dello strappo potrebbero farsi sentire molto presto, con una scissione numericamente ancora più pesante di quella consumata mercoledì scorso nel consiglio regionale Veneto.
Cinque deputati e tre senatori, per un totale di otto parlamentari: sono questi i numeri su cui Tosi può contare, almeno sulla carta.
L’enclave più numerosa è alla Camera, dove il gruppo leghista scenderebbe sotto il numero di 20, il minimo per un gruppo parlamentare.
Attualmente i leghisti sono venti precisi, dunque basterebbe anche un solo addio per far sparire il gruppo: ma i precedenti vengono in soccorso alla truppa fedele a Salvini.
I partiti che hanno presentato il proprio simbolo alle elezioni possono chiedere e ottenere delle deroghe, come è già successo a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che sono meno di dieci.
Ciononostante, perdere un quarto del gruppo sarebbe un grosso problema per i leghisti.
Anche perchè dal gruppo uscirebbero tutti e cinque i deputati veneti.
Sicuri al 100% il veronese Matteo Bragantini (che è anche numero due del gruppo) e il veneziano Emanuele Prataviera. In bilico il padovano Roberto Caon, Filippo Busin e Marco Marcolin.
In Senato di sicura fede tosiana ci sono Patrizia Bisinella (compagna del sindaco di Verona), la bellunese Raffaela Bellot ed Emanuela Munerato, operaia di professione, che a fine 2011 si presentò in Aula alla Camera con la divisa da lavoro per il suo intervento sulla sfiducia alla manovra di Monti.
A palazzo Madama, nessun problema di numeri: il Carroccio passerebbe dagli attuali 15 a 12 senatori, quando il limite minimo è dieci.
E tuttavia, per una pattuglia parlamentare formata da 35 unità , l’addio di 8 eletti non sarebbe una passeggiata.
Sia in termini di risorse, che di agibilità nelle varie commissioni.
Bisinella, che in questi ultimi giorni ha fatto da pontiere, favorendo anche il pranzo di giovedì a Milano con Salvini, spiega: “Non è una questione di affetti personali, quello che stanno provando a fare alla Liga Veneta ed al suo segretario è inaccettabile. Al punto che alcuni di noi in Parlamento stanno valutando ogni mossa possibile…”.
La senatrice respinge l’ipotesi di abiura verso la fondazione di Tosi, uno dei diktat di Salvini: “Non ci siamo mai posti il problema della doppia appartenenza perchè era una cosa abbastanza chiara visto che siamo partiti due anni fa, legittimati anche dall’allora segretario Maroni. Mi sembra che Salvini in passato abbia detto che la fondazione potesse dare una mano a ‘Noi con Salvini’. Se serviva chiarezza, bastava dare regole. Sembra una pensata punitiva con intenti politici. La fondazione non è un movimento politico, è un’associazione che chiede le primarie di centrodestra”.
Oltre che a Roma, lo strappo avrebbe conseguenze pesanti anche in Veneto.
In consiglio regionale, attualmente la maggioranza dei leghisti è di fede tosiana, ma di fronte a una scissione molti potrebbero decidere di restare fedeli al Carroccio di Salvini e Zaia.
In queste ore Tosi sta contando le sue truppe sul territorio. Giovedì sera ha verificato di avere una robusta maggioranza, disposta a seguirlo anche nel frontale con Salvini, dentro il Consiglio della Liga veneta.
Da qui a organizzare una lista contro Zaia però ce ne passa. Il sindaco di Verona può contare sulla sua Fondazione “Ricostruiamo il Paese”, messa in piedi nel 2013 per le primarie del centrodestra che non si sono mai svolte, e ben radicata in Veneto e, a sentire i tosiani, anche nel centrosud.
Proprio quella fondazione da cui, secondo il diktat di Salvini, entro lunedì tutti i leghisti doc dovrebbero separarsi, pena l’espulsione.
“Non cerco di spaccare la Lega, sono in Lega da 25 anni, non cerco scissioni. Ma so che un piccolo, modesto consenso personale in Veneto Flavio Tosi ce l’ha”, dice il sindaco veronese.
E aggiunge: “Se il Consiglio federale della Lega mantenesse la posizione del commissariamento valuterei le dimissioni da segretario della Liga Veneta. Poi a quel punto liberi tutti, potrei anche candidarmi a governatore”.
Salvini però non pare avere nessuna intenzione di ritirare il commissariamento o di fare altri passi in direzione del sindaco ribelle.
In queste ore, e probabilmente per tutto il weekend, i pontieri cercheranno una sempre più difficile mediazione tra i due litiganti.
Pesa lo spettro della scissione a Roma (i fuoriusciti potrebbero andare nel Misto, o confluire in un secondo tempo in Area popolare se in Veneto Alfano sosterrà Tosi), ma anche la paura di perdere la regione.
Tra i parlamentari non schierati, c’è la preoccupazione che Salvini stia tirando troppo la corda. E che porti la Lega in un burrone.
Il punto dirimente sarà il commissariamento della Lega in Veneto. Tosi ha fatto votare il consiglio nazionale giovedì sera per respingerlo, e dunque rimandando la palla al Consiglio federale di Milano.
Salvini però ha già detto che “lunedì non ci sarà nessun federale, per me la questione del Veneto è chiusa”.
Il punto di mediazione potrebbe essere fare solo una lista della Lega, e riempirla di seguaci di Tosi e di Zaia con il manuale Cencelli.
Ma è un’ipotesi sempre più remota. E anche la Bisinella vede pochi spazi: ”Per ricucire occorre rispetto per il segretario e per il Consiglio della Liga veneta. Il commissariamento non ha fondamento giuridico…”.
Il sindaco di Verona oggi è andato a Palermo per presentare la sua Fondazione, che ha come simbolo un faro.
“Dopo poco più di un anno, siamo arrivati a più di sessanta riferimenti nelle province italiane e la gran parte di essi sono al centro sud. Adesso ci stiamo radicando in vista della ricostruzione del centrodestra che ora è distrutto, non è rappresentativo, è largamente perdente rispetto a Matteo Renzi. Dobbiamo quindi creare qualcosa di nuovo per ridare fiducia agli elettori”.
Lui per ora scherza sul dress code: “Io non sono un tipo da magliette, nè da felpe. Non è per irriverenza verso Salvini. Non ho mai fatto politica con questo tipo di comunicazione. Mi vesto normalmente…”.
(da “Huffingtonpost”)
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