PDL, SALTA LA MEDIAZIONE: E’ COME PARLARE DI PACE SULLA STRISCIA DI GAZA, TRA LE RAFFICHE DI MITRA
NAUFRAGA OGNI SOLUZIONE DI COMPROMESSO, I FALCHI VOGLIONO IL PARTITO E BERLUSCONI SI SCOCCIA: “ALLORA DECIDO IO”
“Come sempre ascolto tutti, ma se non riescono a mettersi d’accordo, vuol dire che deciderò io”. È un referendum su di sè l’unica via per imporre una tregua.
Esausto, al termine di una giornata da incubo, Silvio Berlusconi tocca con mano che la mediazione è impossibile. È come parlare di “pace” sulla striscia di Gaza, nel mezzo delle raffiche.
Per la prima volta il Cavaliere è nel mezzo.
Per la prima volta è al tempo stesso unico mediatore ma anche bersaglio esposto al fuoco
È quando i mediatori messi in campo a metà pomeriggio gli comunicano che l’accordo è “impossibile” che salta anche il “piano” immaginato nella notte per arrivare a una soluzione prima del consiglio nazionale. E alla sospensione delle ostilità .
Prevedeva una riscrittura del documento approvato all’ufficio di presidenza, quello in cui Alfano e i suoi non si presentarono, in modo da tenere assieme lealisti e colombe.
Per poi convocare un ufficio di presidenza nella giornata di venerdì, per approvarlo in modo unitario. Sono Paolo Romani e Maurizio Gasparri a farsi carico del ruolo di mediatori.
Sono loro a incontrare Quagliariello e Schifani e a sentire Fitto e Verdini. Un tentativo che naufraga nel giro di un paio d’ore.
È sul “governo” che salta tutto. E che pure la lingua italiana, ricca di sfumature, diventa insufficiente a mettere d’accordo le parti.
Perchè non c’è niente da fare: il governo o si sostiene o non si sostiene.
E il tentativo di trovare una formula per collegare la non caduta alla decadenza tenendo assieme le istanze di Alfano (deve andare avanti anche dopo la decadenza) e quelle di Fitto (in caso di decadenza si torna all’opposizione) è impossibile.
Così come si rivela altrettanto impossibile il tentativo di tenere assieme le richieste di Alfano sul partito (due coordinatori, uno in rappresentanza dei falchi, uno per le colombe) e quelle di Fitto (gli organigrammi devono tener conto degli equilibri reali espressi in consiglio nazionale, dove i falchi hanno due terzi).
È in questo clima Berlusconi non trova supporti alla sua volontà di imporre la “pace”, evitando la scissione e portando il partito compatto alla prova della decadenza.
E si abbandona allo sfogo coi suoi: “Se non riescono a mettersi d’accordo decido io”.
A 24 ore dal Consiglio nazionale, per la prima volta Berlusconi si trova a giocare una partita nuova e insolita. Diversamente dai tempi di Fini non c’è un “nemico” da combattere, uno solo contro cui scaricare la tutta forza col supporto del grosso delle truppe.
Perchè il Cavaliere vorrebbe recuperare Alfano senza perdere gli altri. Ma al tempo stesso vuole piegare Alfano facendo leva sugli altri. E la conta è iniziata dopo che, in fondo, l’ex premier ha legittimato sia gli uni che gli altri.
Avvisa Alfano che può fare la fine di Fini ma poi lo riceve, ne ascolta le richieste e prova a mediare con gli altri.
È grato a Fitto per la battaglia ingaggiata ma non è disposto a dare tutto il potere a Verdini. Gioca stando al governo con l’uno (mandando messaggi a Letta e Napolitano) e all’opposizione con l’altro (minacciandone la caduta).
L’errore capitale di Angelino, che anche Romani e Gasparri hanno provato a spiegare, è porre la questione del sostegno al governo come una sfida: “Sbaglia chi crede che Berlusconi — è il loro ragionamento — voglia tirar giù il governo. Ma non può dirlo adesso.
Deve tenere alta la tensione in vista della decadenza. Solo sarà lui e solo lui a fare un gesto da statista”. E invece Alfano così rischia di uccidere due volte Berlusconi, imponendogli il sostegno al governo con la forza. E pretendendo che accetti da subito la decadenza.
Proprio attorno al dossier che al Cavaliere sta più a cuore si materializza un alone di sospetto tra il Capo e l’ex delfino: “Perchè — è la domanda che rimbalza a palazzo Grazioli — Alfano ci ha assicurato che la decadenza sarebbe slittata e invece D’Alì dichiara che i lavori sulla legge di stabilità vanno secondo i tempi previsti e quindi entro il primo novembre il Cavaliere sarà decaduto?”.
Chissà . L’accordo non c’è. E quando Fitto entra a palazzo Grazioli è lui a bollare come “inaccettabili” le richieste di Alfano.
Di fatto, spiega, Angelino vuole partito e governo senza avere i numeri. E bara anche promettendo sulla decadenza un rinvio che non c’è.
Il Cavaliere gli dà ragione e prende appunti. Rassicura. La mediazione non c’è.
Ultime 24 ore. Le più lunghe.
C’è una sola regola d’ingaggio: “Decido io”.
(da “Huffingtonpost“)
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