PER BERSANI “MONTI SERVE ALL’ITALIA, DEVE RESTARE SUPER PARTES”
IL LEADER DELLA SINISTRA FRENA: “MEGLIO NON SI CANDIDI”
Problema numero uno, convincere Monti che è meglio per tutti se resta una riserva della Repubblica senza scendere in campo; e viceversa convincere Renzi a schierarsi subito a fianco della «ditta».
Problema numero due, trovare il tempo per fare le primarie dei parlamentari, unico passpartout per non far imbestialire gli elettori avvelenati per la riedizione del Porcellum.
Problema numero tre, riuscire a vincere bene avendo i numeri anche al Senato: questione di prima grandezza, che si intreccia col fattore Monti.
Perchè se il professore presenta una sua lista, il rischio pareggio a Palazzo Madama, dove vige un complesso meccanismo di premi su base regionale, si fa molto più concreto.
Anche perchè circolano sondaggi che attribuiscono a Bersano un 30% di gradimento contro un buon 22-23% di Monti.
Ecco, se questi sono i nodi con cui deve fare i conti Bersani, nella colonna dei fattori positivi c’è solo l’accelerazione imprevista del premier: che di fatto, consente al leader Pd di cavalcare l’onda delle primarie, obbligandolo però a stringere i tempi della road map tra le capitali europee per legittimare l’affidabilità del new centrosinistra.
E se Bersani va ripetendo in privato «Monti è meglio che non scenda in campo», nel Pd fioccano le scommesse su cosa farà il premier: lo stesso leader, nei suoi conversari, continua a dire che non va tirato per la giacca e spera che il Professore non ceda ai richiami di parte. Perchè come dice uno dei suoi consiglieri «deve restare una carta per l’Italia e non per Casini, Fini o Montezemolo».
Del resto, l’elemento di novità di queste ore, ragionano al vertice del Pd, è che il Pdl è divenuto il vero avversario di Monti.
E ciò oggettivamente avvicina il professore allo schieramento che fa della «ricostruzione del paese» la sua bandiera.
Comunque vada, la prima cosa che farà Bersani nel caso di vittoria sarà sedersi al tavolo con Monti per decidere insieme come collaborare, «in quale ruolo lo deciderà lui».
E’ chiaro però, tra le righe dei discorsi di molti dirigenti, che la corsa al Colle più alto potrebbe complicarsi alquanto se il professore diventasse una controparte alle elezioni.
«Ma come fa in 15 giorni a organizzare una sua lista? », è la domanda ricorrente.
«Dovrebbe appoggiarsi ad un partito già esistente. E che interesse può avere a mettersi nelle mani di un leader di minoranza, sapendo che, se sta fermo, da chi vincerà avrà un riconoscimento istituzionale?».
Dall’ala sinistra, qualche resistenza a far diventare Monti «il santino di Bersani in campagna elettorale» viene dai «giovani turchi».
Matteo Orfini fa notare come «i limiti del governo Monti li abbiamo indicati anche noi, nutriamo rispetto per ciò che ha fatto, ma ora serve altro.
E non c’è un buon clima nel paese, oltre ai sondaggi sul governo che sono in caduta libera…».
Per quel che riguarda Renzi, il leader si augura che partecipi alla prossima riunione di Direzione prima di Natale e che spenda il suo volto e la sua verve in campagna elettorale.
E anche i più acerrimi avversari interni sperano di vederlo nei talk show e in giro a fare comizi, «lo dobbiamo coinvolgere e lui si deve fare coinvolgere e dimostrare il suo valore aggiunto… ». Ma l’impresa si presenta ardua e la freddezza nei rapporti è dimostrata dal fatto che in tutti questi giorni Bersani non abbia ancora chiamato Renzi.
Mercoledì riunirà i segretari regionali per decidere come fare le primarie per i parlamentari.
E Orfini, che è uno dei giovani della segreteria, mette subito le mani avanti: «Devono essere vere, tutti i parlamentari uscenti e i dirigenti le devono fare, senza tutelare le correnti con le quote o altre furbate. Se il 20% delle liste verranno decise centralmente, devono essere posti per la società civile o per eventuali esponenti del governo da candidare…».
Carlo Bertini
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