PIU’ FATICA E MENO GUADAGNA: LA BEFFA DELLE DONNE CHE LAVORANO
SALARI FEMMINILI PIU’ BASSI A PARITA’ DI QUALIFICHE E ORARI
Finora sapevamo che tra lavoro pagato e non pagato le donne con carichi famigliari lavorano complessivamente un mese in più degli uomini in analoga condizione.
La traduzione del gap salariale in ore di lavoro ne calcola due.
Sommato ai 30 giorni che le donne lavorano in più per le mansioni domestiche – gratis – diventano tre mesi di mancati guadagni. Una doppia beffa.
Lavorano complessivamente molto di più degli uomini, ma guadagnano parecchio di meno.
Non inganni il fatto che a prima vista in Italia il gender gap nelle remunerazioni risulta più basso che nella media europea (7,3% di differenza, rispetto a una media EU del 16,3%).
Il fatto è che in Italia le donne occupate sono di meno e mediamente più selezionate che nella maggior parte dei paesi europei.
Le occupate sono più concentrate che altrove tra le donne con più alta istruzione.
I confronti salariali, perciò, avvengono tra uomini di ogni livello di istruzione e qualifica e donne in cui sono sovra-rappresentate quelle a istruzione e qualifiche alte.
Se si controlla per livello di istruzione e qualifica, l’Italia presenta un gender gap analogo a quello medio europeo.
Anzi, il Global Gender Gap Report la mette all’ultimo posto per quanto riguarda l’uguaglianza a parità di mansioni.
La differenza di retribuzioni con gli uomini non è sempre e neppure prevalentemente la conseguenza di una discriminazione esplicita, ovvero di una minore remunerazione per un lavoro identico.
I più bassi salari femminili a parità di qualifiche e di orari dipendono in larga misura da due altri fattori.
Il primo è la concentrazione delle donne in particolari settori: l’insegnamento primario e secondario, i servizi alla persona, le attività impiegatizie e amministrative del terziario, il settore tessile.
Si tratta di settori mediamente meno pagati di altri, anche se ci si può chiedere se ciò sia una causa o un effetto della forte presenza femminile in essi.
I motivi per cui le donne si concentrano lì sono diversi: orari di lavoro più favorevoli alla conciliazione con le responsabilità famigliari; modelli culturali che persistono a far ritenere certi lavori e certi settori tipicamente femminili o viceversa maschili.
Il secondo fattore che spiega le differenze salariali tra uomini e donne a svantaggio di queste ultime è la maggiore lentezza e compressione delle carriere femminili, a parità di titolo di studio e di settore professionale.
Non solo le donne, anche laureate, transitano meno spesso e più lentamente dei loro coetanei dai contratti di lavoro atipici a quelli standard, ma hanno anche una carriera più lenta e corta.
Che fare, dunque, per chiudere questo gender gap nelle remunerazioni e contestualmente quello nella partecipazione?
Le leggi antidiscriminazioni esistono già . Vanno fatte applicare più rigorosamente, ma non basta.
Sarebbe importante una de-genderizzazione delle occupazioni e prima ancora della formazione.
Aiuterebbero inoltre procedure, che esistono in diversi paesi, che impongono di verificare perchè, a parità di curricula e competenze, sia stato scelto un uomo invece di una donna.
Chiara Saraceno
(da “La Repubblica”)
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