PREMIER TERZO MILLE DIFFICOLTÀ: TRAMONTATA LA STAFFETTA, BOCCIATO GIORGETTI, CAZZARI IN ALTO MARE
ATTENZIONE DEL COLLE SUL TESORO, CERCASI FIGURA DI STANDING INTERNAZIONALE… PER I MINISTERI TRE TECNICI GRADITI A FORZA ITALIA
Ci sarà un premier terzo. Dopo ventiquattro lunghissime ore di incontri, telefonate, messaggi, tavoli tecnici, colloqui fra sherpa, la montagna della trattativa fra il Movimento 5 stelle e la Lega ha partorito un topolino.
E per tutta la giornata i leghisti sono curiosamente taciturni sul confronto in corso: facce scure all’uscita del vertice con i pentastellati sul programma, il primo di una serie, sembra di capire.
Matteo Salvini e i suoi restano molto perplessi sulla proposta del Movimento di un premier terzo con i due leader — Salvini e Di Maio — dentro a capo di due ministeri. Siamo agli inizi di una lunga trattativa che, se va bene, partorirà il nome del premier lunedì, ma solo il premier.
Per la squadra bisognerà aspettare ancora (tanto che anche il Pd valuta se rimandare l’assemblea nazionale programmata il 19 maggio).
Partiamo dalle certezze. Sembra definitivamente tramontata l’ipotesi di una staffetta fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Un’ipotesi istituzionalmente non ortodossa e che non avrebbe dato nessuna garanzia a chi avrebbe dovuto raccogliere il testimone. Senza contare che anche dalle parti di Arcore si preferirebbe di gran lunga un nome non ascrivibile al centrodestra, per avere le mani libere qualora decidesse di votare No sui singoli provvedimenti.
L’identikit di chi si siederà sullo scranno più alto di palazzo Chigi è ancora da costruire. La Lega punta forte su Giancarlo Giorgetti. Il plenipotenziario del segretario è la figura più spendibile per le camicie verdi dato il passo indietro del leader.
Ma fino ad ora si è scontrato con la forte opposizione stellata: “È troppo appiattito sulla figura di Salvini — spiega uno dei vertici del Movimento — in breve potremmo ritrovarci su giornali e tv con il racconto del Governo Giorgetti appoggiato dai 5 stelle”. Inaccettabile. Soprattutto dopo la gran rinuncia di Di Maio.
Il problema sostanziale è che i grillini non hanno un nome altrettanto spendibile. Non c’è, in poche parole, un numero due del capo politico in grado di poter aspirare a quel ruolo.
Qualcuno, nella maionese impazzita che è il totonomi di queste ore a Palazzo, pur fra mille cautele, ha avanzato l’ipotesi di Riccardo Fraccaro. Il quale, tuttavia, è “incastrato” nel ruolo di questore anziano alla Camera. Una casella troppo delicata — per la sua incidenza nella partita dei vitalizi — per essere smossa.
Per questo soprattutto da casa 5 stelle l’insistenza è forte per un nome al di fuori del recinto dei due movimenti politici. Il primo ad essere avanzato, ma che sembra già bruciato, è stato quello di Enrico Giovannini. Che ha ricevuto un brusco stop da parte dei leghisti: “Ma vi pare che possiamo accettare un ex ministro di Enrico Letta?”.
Così come perdono quota Carlo Cottarelli (di cui si parla per l’Economia) e Giampiero Massolo (anche lui tuttavia potrebbe rientrare nella squadra di governo).
L’unica, timida, novità , è che il borsino indica quotazioni stabili per Elisabetta Belloni. Il segretario generale della Farnesina era stata indicata con insistenza come possibile guida del governo neutrale immaginato da Sergio Mattarella.
E potrebbe essere la mossa a sorpresa anche di quello gialloverde. Piace al Movimento, non è sgradita al Carroccio, e sarebbe un’ottima garanzia da giocarsi nei confronti del Quirinale.
Come in un domino, a seconda del lato su cui cadrà la tessera del primus inter pares del prossimo esecutivo si comporrà il resto della squadra.
A partire dal nodo di via XX settembre. Una casella sul quale il Colle ha, per evidenti motivi, puntato la lente d’ingrandimento.
Soprattutto in caso di un premier dai connotati più fortemente politici, la scelta dovrà essere fatta con il bilancino, e ricadrà su una figura di sintesi fra i due partiti e in possesso di uno standing internazionale. Se così non fosse, e a palazzo Chigi arrivasse una personalità più di sintesi, la strada potrebbe aprirsi anche per un politico (ecco ritornare il sempiterno Giorgetti).
Sempre fortemente condizionata dalla figura apicale, l’articolazione dei ministeri. Vincenzo Spadofora, consigliere politico di Luigi Di Maio, parla di una squadra snella – meno di 20 ministri – giovane, competente.
Al M5S dovrebbero toccare Esteri (anche per le posizioni fortemente eterodosse assunte dalla Lega sullo scenario internazionale), Difesa, Sviluppo economico, Sanità e Politiche Sociali (dicastero che dovrebbe assorbire le deleghe sul reddito di cittadinanza). Alla Lega Interno, Lavoro, Agricoltura, Trasporti e Ambiente. Ma è solo una bozza, gli incastri sono tutti da sciogliere.
Anche perchè nel pacchetto sarebbero inclusi anche tre tecnici d’area graditi a Forza Italia. Non tre ministri riferibili al partito degli azzurri, ma uomini in quota Lega concertati con lo stato maggiore forzista.
Tutto ancora in alto mare. Lo si capisce anche dal tweet di Salvini che rispolvera la vecchia narrazione sulle ruspe anti-rom, in barba agli avvertimenti lanciati oggi da Sergio Mattarella contro il populismo e il sovranismo.
“Abbiamo chiesto due tre giorni al presidente Mattarella per chiudere tutto, se si chiude. Sennò si vota”, dice il leader leghista.
Per dare linfa all’avanzare dell’accordo, al termine della prima riunione tecnica sul programma è stato diffuso un comunicato congiunto dai toni al limite dell’entusiasmo
Un tavolo, quello sulle future proposte di governo, che ha anche il compito di fungere da luogo di decantazione della trattativa, nel quale i due contraenti possono accelerare e frenare a seconda di come si sta mettendo il match su premier e ministri.
Ma se i tatticismi sono pur veri, è da sottolineare come manchi totalmente qualsiasi riferimento al conflitto d’interessi, tema caro ai 5 Stelle e rilanciato ancora oggi in molte dichiarazioni pubbliche come al centro della discussione.
Sempre Spadafora a Porta a Porta assicura che “nel contratto ci sarà “, ma intanto nella lista ufficiale non compare.
Un segnale preciso nei confronti di Arcore, che continua ad essere il gigantesco elefante nel salotto in cui Salvini e Di Maio stanno dando vita a una partita a poker dalle regole bizzarre: tutti devono risultare vincitori.
(da “Huffingtonpost”)
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