PRIORITA’ SCONFIGGERE IL SOVRANISMO: PRIMA DELLA GUERRA CIVILE NULLA PUO’ ESSERE COME PRIMA
E NON CONFONDIAMO IL POPOLO CON LA PLEBE CHE SCEGLIE SEMPRE BARABBA
Il 29 maggio 1453 d.c. cadde Costantinopoli, ultimo baluardo dell’Impero romano che aveva governato il mondo per secoli.
Eduard Gibbon, lo storico inglese che ci ha lasciato, nel XVIII, uno dei saggi fondamentali sul declino e la caduta dell’Impero romano, descrisse così i giorni che precedettero quell’evento:
“Molto diverse erano le condizioni dei cristiani, che con forti e impotenti lamenti piangevano le loro colpe o la punizione dei loro peccati…. I cittadini accusavano l’imperatore per aver rifiutato ostinatamente di arrendersi al momento opportuno, prevedevano gli orrori della loro sorte e desideravano la tranquillità e la sicurezza della servitù turca”.
Come i cristiani descritti da Gibbon, tanti oggi, esponenti politici e commentatori dell’opposizione di sinistra, sono diventati i migliori alleati di Matteo Salvini nel chiedere di andare al voto il più presto possibile. E come i cristiani di Costantinopoli sembrano desiderare ”la tranquillità e la sicurezza della servitù” leghista.
Credo che, in cuor suo, nessun dem possa credere di essere in grado di misurarsi con ”il Barbarossa in campo”. Anche perchè non saprebbe che cosa dire agli elettori.
Così Nicola Zingaretti vuole andare alle urne non per competere nel grande gioco, ma per capitalizzare — se sarà possibile in serie B — il risultato delle elezioni europee e, soprattutto, per comporre delle liste che, a elezioni avvenute, gli diano il controllo dei gruppi.
”Al voto! Al voto!” gridano tutti come forsennati.
Le regole, le procedure, gli assetti dei poteri istituzionali sembrano diventati tanti lacci e laccioli — è stato detto — di un’area ambigua della Costituzione (sic!) in cui interviene (arisic!) un presidente non votato.
Ma quali sarebbero le linee si condotta conformi alla sovranità popolare? Seguire i diktat di una forza politica che (con il 17% dei voti in Parlamento) crede di poter parlare a nome di 60 milioni d’italiani?
E’ vero, il 26 maggio questa percentuale è stata raddoppiata, ma per un altro Parlamento, che si guarda bene dall’avvalersene, come se fossero voti affetti da un virus pandemico.
Ma quali sono le regole lasciateci dai Padri costituenti?
1°) Quando si apre una crisi di governo, il pallino passa nelle mani del Capo dello Stato che agisce secondo la sua discrezione ed il suo convincimento.
2°) E’ suo diritto/dovere procedere a consultazioni, dare mandati esplorativi, tentare la formazione di un nuovo esecutivo (di cui nomina sia il premier che i ministri) che è vivo già all’atto del giuramento, ma che, per essere vitale, ha bisogno di un voto di fiducia delle Camere.
3°) Tocca comunque al Presidente della Repubblica — e non a Salvini – convincersi che non esistono alternative alla fine anticipata della legislatura e procedere di conseguenza, sentiti i Presidenti delle Camere.
E’ bene ricordare che, dopo le elezioni del 2018, Mattarella, pur di far decollare la legislatura (per come era composto il quadro politico uscito dalle urne, anche allora vi sarebbero state le condizioni per rimandare tutti a casa) arrivò persino a promuovere un governo (Cottarelli) con inclusa una clausola di dissolvenza automatica, qualora fossero maturate le condizioni di una soluzione stabile.
Poi, pur di dare un esecutivo al Paese, accettò persino il parto podalico del governo Conte, a procedura del tutto invertita. E non si venga a dire che la maggioranza giallo-verde avesse avuto il mandato dagli elettori e che i programmi fossero conformi.
Si trattò di un inciucio talmente spregiudicato da fare il giro del mondo e dall’essere assunto come modello del sovranpopulismo in marcia.
Che cosa ci sarebbe non solo di illegittimo, ma anche di scorretto, se un eventuale governo di garanzia – promosso dal Capo dello Stato, con un programma limitato ad affrontare talune delle tante emergenze del Paese e a mantenere attivo il canale di comunicazione con Bruxelles aperto da Conte e da Tria — ottenesse via libera, ancorchè travagliata, in Parlamento?
Una scelta siffatta sarebbe preferibile anche nel caso che al nuovo governo, privo di fiducia, toccasse di gestire soltanto l’ordinaria amministrazione. A fronte di tale prospettiva (che inevitabilmente dovrebbe coinvolgere il Pd e il M5S — Grillo lo ha capito, forse anche Renzi – magari anche qualche forzista non ”totizzato”) si è urlato all’inciucio.
Non solo da parte di Salvini il quale reagisce come se la disobbedienza ai suoi ukase equivalesse ad un colpo di Stato; ma persino da parte di Zingaretti e compagni. In sostanza, il Capitano, per arroganza, bullismo, tracotanza si è messo nel sacco da solo.
Se ne è accorto e cerca di uscire (la sua ultima conferenza stampa ha dato assicurazioni a tutti, dalla Ue ai mercati).
Invece di legarcelo dentro i suoi oppositori lo aiutano a uscire, perchè — sostengono — tutto ciò che si fa contro Salvini lo aiuta e lo rafforza. E chi lo ha detto?
Che cosa potrebbe fare il Capitano: mettere in sciopero l’UGL? Inventarsi una marcia su Roma? Ma Salvini non è il leader del partito più vecchio d’Italia che ha preso parte a tutti i governi Berlusconi?
Un anno fa un osservatore che avesse previsto il finale a torte in faccia del governo del cambiamento sarebbe stato considerato un po’ folle. Si dice che non si possono alleare i partiti che hanno fatto il jobs act e quelli del reddito di cittadinanza.
Ma risulta forse che il M5S — al di là delle sparate di Di Maio – abbia messo in discussione il pacchetto-lavoro del governo Renzi se non per aspetti tutto sommato secondari?
Poi vi è lo spettro del Russiagate. Sul piano politico vi sono delle novità da considerare. Se l’atteggiamento verso l’Unione europea e l’euro è il vero discrimine della lotta politica, non si può dimenticare che i parlamentari pentastellati sono stati determinanti con i loro voti per la elezione di Ursula Von der Leyen, sia pure a conclusione di una campagna che era iniziata reggendo la coda ai gilet gialli.
Questa ”svoltina” ha una ricaduta positiva anche in Italia. Giuseppe Conte è riuscito a convincere i pentastellati a non reagire alla sconfitta elettorale del 26 maggio, tornando sulle barricate. Li ha persuasi, invece, a ”romanizzarsi” quel tanto che basta per tirare a campare (e trovare una posizione nel nuovo quadro politico).
Un filo questo che porta a Bruxelles, passando per il Quirinale. Nell’ultima chiamata prima della guerra civile — sono parole di Rino Formica — nulla può più essere come prima, anche sul piano delle alleanze.
L’Italia, con l’aiuto dell’Europa, ha un problema primario: combattere i conati di sovranismo ovvero di un mix maleodorante che amalgama populismo, culto della personalità e fuhrerprinzip. In questa battaglia c’è posto per tutti. Ognuno è benvenuto; lo sono persino i ”badogliani” del M5S.
Quanto al popolo, non facciamoci illusioni. Ricordiamoci l’invito di Hanna Arendt a non confondere il popolo con la plebe che è sempre pronta a scegliere Barabba.
(da “Huffingtonpost”)
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