QUANDO I VARESOTTI DIVENTANO TERRONI
IL MONDO ALLA ROVESCIA: ORA E’ MARONI A CHIEDERE A RENZI RITORSIONI CONTRO GLI SVIZZERI
Sono nato a Somma Lombardo, ho fatto le elementari a Casenuove e il liceo a Gallarate, la mia ragazza nell’anno della maturità era di Cassano Magnago, dov’è nato e cresciuto Umberto Bossi.
Ho esattamente la stessa età – anno, mese, giorno – di Roberto Maroni, che è di Varese, dunque varesino, mentre io sono varesotto, in quanto del contado.
Ho conosciuto Bossi nel 1984 in via Turati a Milano, dove veniva a portare i suoi volantini farneticanti e dunque toccava a me, ultimo arrivato nella redazione di Repubblica, andarci a parlare e liquidarlo in fretta ma “senza che s’offenda, chè poi urla”, raccomandava il capocronista.
Da quando avevo tutti i capelli conosco le ragioni, irrazionali, della tardiva xenofobia del presunto popolo prealpino, per fortuna positivamente innervato e rinvigorito fin dagli anni Cinquanta dagli immigrati veneti, pugliesi, siciliani, sardi (il mio caso), campani, calabresi.
Dunque, popolo altrettanto spurio di quello padano, ancora da inventare ai tempi dell’Umberto milanese attivista di base.
Dalle mie parti i primi ad arrivare erano stati i veneti e i pugliesi, perchè l’Aermacchi, l’Agusta, l’Ignis, il Lanificio di Somma preferivano gli operai senza grilli per la testa. Oppure capitavano come avieri a Malpensa e poi mettevano su famiglia lì, a Vergiate, a Induno Olona, a Jerago con Orago.
A Casenuove, a metà anni Sessanta gli immigrati dalla bassa Padovana e dal Mezzogiorno erano più della metà dei 960 abitanti.
Ricordo i loro cognomi tutt’altro che autoctoni, come peraltro il mio: Milan, Zanatto, Zavagnin, Maraschiello, Esposito, Capuano, Augias.
Poi venne l’era dei leghisti. Che facevano proseliti chiedendo che gli insegnanti “siano solo settentrionali”, che “il lavoro venga dato anzitutto ai lombardi”, che “le nostre tasse non finiscano più a Roma ladrona”, che “i terroni bisogna mandarli a casa loro, tanto qui rubano i posti a noi”.
In Canton Ticino qualcuno prese subito a guardare con interesse all’ex comunista di Cassano Magnago, peraltro con famiglia a due passi dal confine, a Gemonio, dopo il matrimonio con Manuela Marrone, di evidenti origini siciliane.
La lega dei ticinesi, prontamente fondata dall’imprenditore luganese Giuliano Bignasca, ottenne in breve successi elettorali percentualmente perfino più rilevanti di quelli del partito di raccolta etnica padano.
La sua influenza sull’unione democratica di centro, antico partito di destra, fu nel tempo notevole.
Sommati, sono ora maggioranza nella Svizzera Italiana. Con conseguenze prevedibili: crescente xenofobia, maggiore attenzione alle iniziative delle frange populiste, l’isolazionismo come punto di riferimento condiviso.
Infine, il referendum cantonale chiamato “Prima i nostri”, vinto largamente ieri a larga maggioranza, che propone all’assemblea federale di Berna di limitare l’accesso e i diritti dei lavoratori – sessantamila! – che ogni giorno attraversano da sud la frontiera sciamando verso Chiasso, Lugano, Mendrisio, Locarno, su su fino a Bellinzona.
Gente che arriva quasi tutta dalle province di Varese e Como, terra di coltura del “leghismo duro” e puro.
Così, mentre l’erede di Bossi, Matteo Salvini trasferisce dai “terroni” ai “negri” le stesse parole d’ordine di trent’anni fa, i suoi confratelli svizzeri fanno lo stesso nei confronti dei varesini e varesotti.
Perchè più a Sud c’è sempre qualcuno da fermare o cacciare. O qualcuno da epurare in quanto meno onesto o più corrotto.
I “rottamatori” vengono rottamati, prima o poi.
Scagliare la prima pietra provoca spesso una “gragnuola” di pietre in risposta, magari dopo anni.
Lo sta scoprendo Maroni, che adesso chiede a Renzi (!) eventuali dure ritorsioni nei confronti degli amatissimi svizzeri.
Il mondo alla rovescia.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply